“Sai perché il calcio è così amato, vecchio?” Mister R cambia argomento, come fosse in vena di fare conversazione. “Io penso di averlo capito dopo tutti questi anni. Il pallone è la perfetta metafora dell’universo.

Quando lo controlliamo ci dà la sensazione di poterlo far girare come vogliamo, di poterlo dominare, di avere in mano la nostra vita. Ma è solo un’illusione.

Capisci? Un’illusione che per molti è tutto ciò che potranno mai avere.”

C’è un momento, leggendo La colpa è di chi muore, in cui l’idea del “calcio come sogno” si rovescia senza rumore.

Non è una grande rivelazione, non è un colpo di teatro: è la lenta presa d’atto che il sogno, per molti, è una promesssa di cui altri riscuotono il capitale. A guidarci in questa presa d’atto è Dante Millesi - giornalista, fondatore del sito “Calcio & Dintorni”, napoletano del Rione Sanità, un passato da ragazzo che ha sfiorato l’azzurro del Napoli di Maradona e un presente da cronista intransigente e, per questo, ferito.

Quando un cadavere riaffiora nelle acque di Lugano, Millesi sente che in quella morte si annoda qualcosa che lo riguarda da vicino: un rimorso antico, una colpa sospesa, un conto che la vita non ha mai davvero chiuso. 

“La colpa è di chi muore”: un noir dove il calcio smette d’esser favola

Fin dalle prime pagine, Bellinazzo costruisce un noir d’indagine classico nei movimenti - domande, piste, depistaggi - ma vibrante per materiali e ambientazione: il mercato nero intorno al calcio, la tratta dei giovanissimi talenti africani, la catena di intermediari che lucrano sul desiderio. È un mondo in cui la tecnica romanzesca si intreccia con il mestiere del cronista; e, quando un romanzo nasce da chi conosce i numeri e gli interessi che muovono il pallone, la finzione trova un ancoraggio di verità che non ha bisogno di proclami.

“La verità non basta, serve il coraggio di scriverla”, suggerisce la nota di quarta: e Millesi del coraggio fa la sua colpa e la sua assoluzione.

 

Una spirale che parte da un lago e arriva al cuore del sistema

Il primo innesco è un corpo nell’acqua. Il lago di Lugano non è solo una scena del crimine; è uno specchio che restituisce a Millesi la sua immagine più antica, quella del ragazzo che “stava per” e non “è mai diventato”. Da lì, le traiettorie del racconto si aprono su due livelli: l’inchiesta ufficiale guidata dal PM Cristina Ghiglione - ex compagna di Dante, storia finita sul più bello e rimasta a macerare in domande - e l’inchiesta ufficiosa, parallela, quasi clandestina, cui il protagonista si dedica per un bisogno che precede il dovere.

Sul cammino, gli interlocutori sono figure tagliate con un bisturi morale: Tiziana, giovane collega per cui Dante prova un’attrazione che lui stesso fatica a nominare; Claudio Romano, agente di calciatori e padre di Tiziana, che gli apre una pista sporca e lucidissima al tempo stesso, quella del traffico di ragazzi africani; ancora Cristina, la magistrata, con la sua equazione di rigore e tenerezza.

A ogni nuovo tratto dell’indagine, l’immagine del “cerchio” evocata dal testo si fissa nella mente: non un elegante arabesco narrativo, ma un cappio che stringe—sugli indagati, sulle vittime, e infine su Dante.

C’è un ulteriore filone, vivace e malinconico, che Bellinazzo usa come contrappunto: per un debito di riconoscenza, Millesi si ritrova a tentare di salvare una piccola squadra lombarda di Eccellenza dalla retrocessione. In questo livello “laterale” - che laterale, poi, non è - il calcio torna spogliato di glamour e investimenti, riportato al gesto tecnico imperfetto, al fango, ai campi di periferia, al bilancio morale prima ancora che economico. È qui che la parola “squadra” recupera il suo senso comunitario, qui che la narrazione della “grande corruzione” trova la sua misura umana.

Marco Bellinazzo - LA COLPA È DI CHI MUORE
Marco Bellinazzo - LA COLPA È DI CHI MUORE

Geografie morali: Milano, Lagos, Parigi, Lugano

La mappa del romanzo è un atlante dell’economia del pallone. Milano è il centro amministrativo, la città dove gli affari si firmano e le carriere si inventano; Lagos è la sorgente del talento, la città-porto da cui partono i sogni, spesso incartati male; Parigi è uno snodo - elegante e ambiguo - dove i contatti si fanno opportunità; Lugano è liminare: geografia di confine, finanza e silenzio, un lago che restituisce corpi ma non sempre responsabilità. Bellinazzo non indulge nell’esotismo: le città sono funzioni narrative e morali, coordinate di un sistema.

Nota sulla quarta di copertina

La presentazione firmata da Maurizio De Giovanni coglie l’essenza del libro: un noir che è insieme indagine, viaggio nei meccanismi oscuri dello sport e racconto di formazione.

Non è un’iperbole: è un riassunto onesto del progetto letterario. Leggendo, si ha davvero l’impressione di trovarsi “nel punto esatto in cui il talento incontra il dolore” - un incrocio che la narrativa sportiva evita spesso per imbarazzo e che Bellinazzo percorre con asciuttezza.

“Vede, in Nigeria il calcio è una religione. L’unica religione che ci unisce, per essere più precisi. Da noi si gioca a calcio come se si pregasse.

Ci sono decine, centinaia di scuole, college, dove i ragazzi si allenano. E tutti hanno il sogno di diventare dei campioni e di giocare in Europa. C’è da capirli, sa, la maggior parte viene da aree poverissime e spesso il calcio è l’unica opportunità per loro e le loro famiglie. E naturalmente ci sono molti truffatori, molte organizzazioni che se ne approfittano. È una piaga. Non solo per il mio paese. Portano via i ragazzi e molti finiscono più disperati di prima.

Noi vigiliamo, ma è come cercare di fermare un fiume con le mani.” 

La responsabilità di osservare, capire, sognare

La colpa è di chi muore è un titolo che resiste in gola. Chiude il libro e rimane.

Non perché elargisca sentenze, ma perché restituisce al lettore la parte che gli spetta: la responsabilità di guardare senza scappare.

Bellinazzo non ci chiede di “tifare” per la verità; ci chiede di reggerla. Dante Millesi lo fa a modo suo: inciampando, esagerando, sacrificando pezzi di sé. È un protagonista che non si ama “nonostante”, ma “per” le sue incrinature.

Se cercate un noir che lasci segni - come “certi tiri sbagliati, certi amori finiti, certe verità che nessuno vuole ascoltare” - questo romanzo è per voi.

E se amate il calcio, vi farà bene leggerlo: perché, per tornare a sognare, a volte bisogna prima smettere di raccontarsela.