"Guardiola dovrebbe essere l'eccezione, non la regola.

Ultimamente si è innescato un meccanismo a catena, attraverso il quale sono state affidate squadre importanti ad allenatori senza esperienza, che per questo poi si sono bruciati"

Forse è proprio vero che il destino di ognuno di noi vive in quel luogo virtuale che risiede perfettamente a metà tra l'inconscio e il subconscio.
E che, come dicono in Africa, puoi svegliarti anche molto presto, all'alba, ma il tuo destino si è comunque svegliato mezz'ora prima di te. 
Quello di Maurizio Sarri, in ogni caso, è particolarmente mattiniero. Se non, addirittura, insonne.

Ben sei anni fa (ottobre 2014, per la precisione), quando ancora il Sarrismo era poco più di un'utopia anche per i più navigati conoscitori della Serie B, il nostro affidò quest'analisi alla stampa. Si commentava il tumultuoso approdo di Pippo Inzaghi alla guida del Milan, e Maurizio da Figline cercava così, altrettanto tumultuosamente, di andare a legittimarsi i meriti, rispetto all'opinione pubblica, della sua epocale e proverbiale gavetta.

Una gavetta che l'ha portato sino all'apogeo del calcio italiano, dove, suo malgrado, è stato - a posteriori, giustamente, e anche per colpa sua - mangiato, digerito e cacato in un amen, tanto dall'ambiente quanto dalla reggenza.
E sostituito con l'emblema più seducente della categoria degli allenatori senza esperienza: Andrea Pirlo.


Doveva anna' così, fratellì.

Ci resteranno nel cuore e nella mente, intarsiati come si faceva nel Trecento senese, la dolcissima filosofia e l'archetipo lussureggiante del tuo calcio. Ma, soprattutto, il tuo approccio a questo mondo, o almeno quello che era un tempo. 
Che, in un editoriale dal titolo 'Fumo e arrosto. La boccata di Zeman, il soffio di Sarri', sempre a quell'epoca - quella empolese -, descrissi così.

Quasi platonico ed, a dirla tutta, anche vagamente zemaniano. 
Di chi la filosofia la custodisce gelosamente per i suoi momenti d'intimità riflessiva, e che invece, come consiglia il medico, ai suoi ragazzi negli spogliatoi fa mangiare la pizza.
Di chi, nei rari momenti in cui stacca da moduli e avversari, legge Bukowski e Fante, ma che poi prepara tanto metodicamente il suo lavoro settimanale tanto da dedicare alla sua organizzazione l'intera tesi di cui sopra.

Di chi non ha paura. Né di ciò che lo aspetta, né della fatica mentale e fisica dello sbarco in un ambiente in cui la tuta, se va bene, si è abituati a portarla solo in palestra. Lo stress e la fatica, d'altra parte, sono di chi "Si alza alle 6 del mattino per andare a lavorare in fabbrica". 
E che poi, dopo 10 ore di sudore, torna a casa, abbraccia la famiglia, si stende sul divano, e si gode una meritata sigaretta. E lo fa anzitutto prolungando la boccata con la stessa, profetica, poetica, silente e illuminata rilassatezza di Zeman. Per poi, all'opposto, espirare quel piccolo, grigio, tornado di piacere con la medesima, operaia, frenesia di Sarri.

Un soffio corroborante, che ha lo stesso gusto di chi, soddisfatto, sa bene che il fumo uccide. 
Ma anche, come diceva Accatino, che la vita mica scherza.