di Alfredo De Vuono 

 

Stadio Sant'Elia. Prima della partita che oppone Cagliari ed Empoli (1-1), i due allenatori s'appartano per il consueto saluto tra pari grado. Ma i vissuti lineamenti di Zdenek Zeman - appena richiamato a furor di popolo su una panchina che scotta più del mozzicone della bionda che s'è appena acceso - e di Maurizio Sarri - prossimo a lasciare la squadra che l'ha definitivamente consacrato - sono molto, molto più distesi del solito. Le telecamere, perspicaci, li riprendono: l'attimo catturato con giustezza, l'incrocio non solo di sguardi ma anche di anelli di fumo, la catarsi del confronto spassionato tra il mago (Maurizio) e il boemo (Zdenek). E, mi raccomando, solo se siete costretti, come me, per onor di racconto, chiamateli così. Certo non 'Mister 33' - come gli schemi che un giornalista, all'epoca della Sansovino, raccontò che avesse in carniere - o 'Sdengo' - come lo chiamava l'amico-nemico Casillo, ai tempi del Foggia.

Potrebbero non inalberarsi, ovvio, ma ibernarvi con lo sguardo e lasciarvi lì, come degli enormi salmoni congelati, sul tavolo della pescheria in attesa che vi trancino per la più feroce delle casalinghe di Voghera.

Tanto fumo, tanto arrosto. Piuttosto, più che etichettarli, dipingerli di luoghi comuni e cercare di renderli 'social' durante interviste a base di pailettes e brillantini, fateli parlare di calcio. Date loro in mano dei ragazzini, possibilmente ossequiosi dell'autorevolezza e disposti a farsi plasmare, una squadra da adattare al loro credo, una piazza affamata di spettacolo, ed un concerto di non tifosi pronti a sbranarli, al primo passo falso. Ovvero, date loro il pane quotidiano d'una vita intera. Anzi, due: perché se cumulate le carriere di Zeman e Sarri arriverete a contare quasi 75 anni. Da Cinisi a Roma, e da Stia - forse - al Milan. Storie diverse di vite diverse di persone diverse: ma unite da un destino, e da un lento carrozzone di anelli di fumo che, uno dopo l'altro, le raccontano. Zeman e Sarri si conoscono, si stimano, si rispettano. E, probabilmente, si portano dentro, e appresso, anche quell'aura da venerabili santoni che il grande calcio, fatto di ben altre, mediatiche, cornici, fa fatica a far propria. E nonostante gli anni di differenza siano 'solo' 12, l'uno potrebbe tranquillamente essere il padre putativo dell'altro. 

Peccato che Sarri non lo ammetterà mai. Anzi, l'unica volta in cui gli è stato chiesto cos'ha in comune col boemo, ha risposto: "Mi appassiona. Come tutte le persone con idee forti, e coerenti con esse. Lo apprezzo sia come allenatore che come persona, ritenendolo schietto e vero. Le differenze tra noi ci sono di sicuro, ma se proprio vogliamo trovare qualcosa che ci accomuna dal punto di vista tattico c’è la voglia di tenere il pallino del gioco ed essere sempre propositivi". Perché uno zemaniano di spirito non lo ammetterebbe mai: sarebbe solo un clone pallido e amorfo. Eppure la storia professionale e l'approccio, non solo tattico ma anche emozionale, è quello. Un po' come il confronto tra du accaniti fumatori quali sono, che disquisiscono della qualità, della robustezza e del gusto di due marche diverse di sigarette.  

 

Le prime sei squadre della venticinquennale carriera da allenatore di Sarri - Stia, Faellese, Cavriglia, Antella, Valdema e Tegoleto - non hanno neanche una pagina wiki dedicata. La settima, la Sansovino è società aretina che gioca in una cittadina di 8.000 abitanti. Allo stesso modo, sono 5 le squadre dewikipediate di Zdenek: Cinisi, Bacigalupo, Carini, Misilmeri ed Esakalsa. Boemo trapiantato in Sicilia: dalle rive d'un quartiere residenziale prossimo alla Moldava, alla Mondello di zio Cestmir, ex Slavia Praga, Juventus, e C.T. cecoslovacco. Solo una visita di cortesia insieme alla sorella Jarmila, si racconta. Ma mentre il 21enne Zdenek si gode un sole così silente e corroborante, i sovietici invadono Praga. Un motivo per restare in Italia. Praticamente per sempre. Boemo per indole, italiano per volontà. Al pari di Maurizio, napoletano solo per anagrafe e toscano di stirpe: i suoi sono di Vaggio, tra Arezzo e Firenze, ma, nel 1959, papà Amerigo, ex ciclista, lavorava in un'impresa edile in Campania. E qui nacque proprio Maurizio, che però è figlinese al 100%. Ed, in quanto tale, toscano un po' anomalo. Meno chiacchierone, più burbero - ma anche questo, non fateglielo notare -, e, come si autoproclama egli stesso, "caparbio ai limiti della cocciutaggine". Perché il calcio, soprattutto quando vieni da un'infinita gavetta in provincia, non è né showbiz da sputare addosso agli astanti, né banali etichette con le quali circoscrivere i personaggi, né miracolo sportivo di cui decantare le lodi.  

 

I miracoli - anzi, i miracolati - , per entrambi, semmai sono altri. Sono gli Inzaghi, catapultati alla guida del Milan senza alcun tipo di sudiciume fangooso raccattato sulla tuta da ginnastica sul campo ai bordi del quale non trovi gli inviati di Sky ma le spine dell'ortica. "Guardiola dovrebbe essere l'eccezione, non la regola. Ultimamente si è innescato un meccanismo a catena attraverso il quale sono state affidate squadre importanti ad allenatori senza esperienza, che per questo si sono bruciati" *, decanta Sarri. Una cui punta d'invidia, in qualche misura, si percepisce pure, tra le righe. Ma, anche questo, non fateglielo notare: non lo ametterà mai. 

"Io ad Inzaghi invidio solo i piedi: ho giocato una vita a calcio e non li ho mai avuti"

 

Sarri e Zeman, difatti, hanno anche questo, in comune. C'hanno provato entrambi, da ragazzini, a mettere gli scarpini. Ma con non eccelsi risultati. "Il mio soprannome in squadra era 'Pistone' perché in campo mi muovevo molto", racconta Zeman, della sua esperienza tra gli allievi dello Slavia. Dove peraltro ha anche sperimentato sulla sua pelle i rudimenti del gioco a zona poi fatto suo: "A Praga una volta mi dissero: “prendi quella posizione” e non “prendi quell'uomo”. Da allora non ho più cambiato idea".

Anche Sarri c'ha provato. E gli è servito a capire molte cose: "Ai miei tempi si marcava solo a uomo. Poi mi sono innamorato della zona e l' ho studiata, ma non quando giocavo".

E, da che mondo è mondo, il cardine indispensabile per una buona zona, è la difesa a 4. "Mi piaceva la difesa a 3, poi ho capito che era più offensiva quella a 4, che non costringe gli esterni ad arretrare". Una manovra tesa a tenere in mano il gioco, sia per Zeman che per Sarri. Ma il cui obiettivo non deve essere la sterile permanenza del pallino: quanto, piuttosto, l'attacco collettivo e armonico: "Voglio sempre che la palla resti poco all' interno dello stesso reparto, quindi bisogna verticalizzare il gioco il più possibile oppure scaricare all'indietro, giocando lateralmente il meno possibile. Gli esterni devono attaccare gli spazi, mentre dietro al centravanti deve esserci un giocatore che faccia sia il trequartista che la seconda punta: in questo ruolo ho spesso dovuto inventare giocatori, come Ciccio Baiano". A questo punto del collage di storie e di parole, per gioco, non vi ho volutamente espresso di chi, dei due, è quest'ultima dichiarazione. Ma lo farò **, ovviamente, alla fine del pezzo.

 

 

Ma prendere a cuore i Sarri e gli Zeman non è per nulla facile. E' roba da romantici, da surrealisti, quasi da hipster. Se per il boemo tracciare rotte e fermate dei voli poemici dei suoi oppositori è solo un esercizio di stile (e di cronaca), farlo per il mago di Figline è lavoro giornalistico ben più stimolante. Sono, d'altra parte, le ore che anticipano l'annunciato incontro tra Galliani ed il Presidente Corsi, a cui verrà chiesto di liberare, sulla parola, il suo tecnico. Direzione Milan, come fa fatica a nascondere lo stesso imprenditore: "Se arrivasse la chiamata d'una grande, non troverei gli argomenti giusti per trattenerlo. Né per noi, né per lui. Al Milan? Gli ho detto che non può andare ad Arcore in tuta".

Già, la tuta. Indispensabilmente nera. Altra leggenda metropolitana nata dalla penna d'un collega: "La storia del nero è che per un paio di campionati casualmente avevo tuta scura ed abbiamo vinto due campionati...E' diventata una sorta di scaramanzia". 

E' anche vero che, tra una tuta da ginnastica ed un abito scuro con camicia bianca - ogni riferimento a Inzaghi, anche qui, è puramente casuale - Sarri non ha dubbi. E dire che quella camicia, che stringe un collo nato per gonfiarsi come le vene che lo percorrono, il tecnico meno pagato della massima serie l'ha indossata per anni, quando lavorava al Montepaschi e stilava transazioni a Londra, in Germania, Svizzera e Lussemburgo. Poi, anche queste parole sue, ha scelto come unico mestiere quello che avrebbe fatto gratis. C'è chi ne ha fatto un motto buono da condividere sui social. Lui, però, dei social se ne frega. Anzi, se potesse rimuovere l'ennesima etichetta affibiàtagli dalla notorietà, forse sarebbe proprio questa: "Mi chiamano ancora l'ex impiegato. Come fosse una colpa aver fatto altro".

Si diceva, dell'ostilità. Per (buona parte del)l' opinione pubblica a tinte rossonere e non, Sarri è, oltre che un bersaglio comodo per la satira - lo Jean Reno della ribollita ed il Fortunato Cerlino aka don Pietro Savastano del pallone -, il classico figlio del nulla, adatto solo alle piccole, e la cui dimensione nasce e s'esaurisce in provincia. Proprio com'erano visti, all'epoca, anche Sacchi, Zaccheroni e Allegri. Ovvero, tre degli ultimi cinque tecnici ad aver vinto uno scudetto al Milan. Ma esercitare opinione, a priori, su quella che potrebbe essere l'evoluzione del Sarri rossonero, è un rischio che non sentiamo di accollarci, vista l'eccessivamente fluida situazione ambientale e societaria. Quel che più diverte, piuttosto, è la percezione della sua crescita in quel di Empoli, a partire dalle riflessioni dei suoi stessi tifosi, reperite in un noto forum di tifosi. E da parte dello stesso utente.

(Al momento della firma) "Cazzo sembra Luca Giurato...Almeno quello faceva ridere. [...] Un poveraccio insomma che forse non sa fare il suo lavoro e non sa dv andare a sbattere la testa".

(Dopo qualche mese) "Di Sarri mi piacciono solo le veloci triangolazioni a centrocampo, mi fanno letteralmente impazzire. Per il resto credo sia tutto merito del presidente, di Saponara, di Tavano e Maccarone".

(Qualche riga più tardi) "Mister che lascia calci piazzati e corner a Valdifiori, detto anche Banana Joe".

(Il rinnovo del 2013) "Bene. Bravo, se lo merita".

Appunto. Questo è Sarri, questo è Zeman. Scoperta, ciccia e, se succede, rimpianto.

 

Il Milan di Sarri sarà, se sarà, un costrutto pragmatico molto giovane e molto italiano. Nel quale i tanto decantati schemi del fatidico Gianni Vio saranno spazzati fuori dai - non 33, ma - soli 5 o 6 che nascono dai piedi di Valdifiori e che vengono, come spiega lo stesso allenatore nella sua tesi, si riepilogano alla domenica sia "relativamente alle palle ferme e quali devono essere le nostre risposte, [...] le disposizioni degli avversari sulle palle ferme contro e gli schemi che noi abbiamo scelto per questa partita". Un Milan dal baricentro alto, con "due mediani davanti alla difesa e quattro giocatori che sappiano essere ficcanti, veloci, muoversi negli spazi anche senza palla. I quattro davanti devono dare qualità, gli altri l'equilibrio". Perché "il 75 per cento dei gol arrivano su azioni veloci, che durano 3-4 secondi. Vuol dire avere recuperato palloni e averli giocati rapidamente, vuol dire avere avuto accelerazioni. Se il baricentro è alto, è più facile". 4-2-3-1 o 4-3-1-2, entrambi vissuti con spirito propositivo e, con l'entusiasmo di un ragazzino che ha realizzato il proprio sogno.

D'altra parte, come spiega il suo agente Titi ***, "se fosse stato un politico, sarebbe stato un ideologo e non un parlamentare". Un approccio al calcio quasi platonico ed, a dirla tutta, anche vagamente zemaniano.

 

Di chi la filosofia la custodisce gelosamente per i suoi momenti d'intimità riflessiva, e che invece, come consiglia il medico, ai suoi ragazzi negli spogliatoi fa mangiare la pizza. Di chi, nei rari momenti in cui stacca da moduli e avversari, legge Bukowski e Fante, ma che poi prepara tanto metodicamente il suo lavoro settimanale tanto da dedicare alla sua organizzazione l'intera tesi di cui sopra. Di chi, del Milan, non ha paura. Nè di ciò che lo aspetta, né della fatica mentale e fisica dello sbarco in un ambiente in cui la tuta, se va bene, si è abituati a portarla solo in palestra. Lo stress e la fatica, d'altra parte, sono di chi "si alza alle 6 del mattino per andare a lavorare in fabbrica". E che poi, dopo 10 ore di sudore, torna a casa, abbraccia la famiglia, si stende sul divano, e si gode una meritata sigaretta. E lo fa anzitutto prolungando la boccata con la stessa, profetica, poetica, silente e illuminata rilassatezza di Zeman. Per poi, all'opposto, espirare quel piccolo, grigio, tornado di piacere con la medesima, operaia, frenesia di Sarri. Un soffio corroborante, che ha lo stesso gusto di chi, soddisfatto, sa bene che il fumo uccide. Ma anche, come diceva Accatino, che la vita mica scherza. 

 

* Intervista a SportWeek, ottobre 2014

** Sarri (e non Zeman, per quanto potrebbe sembrare) durante l'esperienza a Pescara. Parla di Baiano che ha allenato a fine carriera, alla Sangiovannese

*** Intervista a Panorama, settembre 2014