Denis Bergamini non si sarebbe suicidato, perché potrebbe esser stato ammazzato. Ora non sono solo i tifosi del Cosenza, a urlarlo a gran voce. E non solo molti suoi ex compagni di squadra, coi quali condivideva il sogno della promozione in Serie A, a ritenerlo possibile. E non solo i vivaci partecipanti - oltre 12mila, non proprio uno sparuto gruppo di visionari - del gruppo Facebook 'Verità per Donato Bergamini' - a sostenerlo. E non solo un'associazione benefica, a sostegno della famiglia, a ribadirlo.

Ora c'è la scienza, quella del 2017 e delle iper-tecnologie che possono riesumare una salma e indicarlo, a dire la sua. Mediante una superperizia medico-legale i cui esiti - anticipati dal 'Quotidiano del Sud' - sarebbero determinanti: soffocamento, e non impatto con l'autocarro in movimento dell'autotrasportatore Pisano, la causa del decesso. Nulla di confermato, per il momento, ma neanche smentito.

Denis Bergamini, il campioncino Fantagazzetta

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Il tir che secondo le prime indagini, testimonianze e ricostruzioni aveva "arrotato" il corpo del ragazzo, "tuffatosi a pesce" ed intenzionalmente sotto le sue ruote, potrebbe averlo solo "sormontato parzialmente" - come ribadito più volte dall'avvocato Anselmo, legale della famiglia Bergamini - e non investito.

Esattamente quello che serviva al procuratore capo Facciolla per spalancare gli sviluppi della terza inchiesta sulla morte del calciatore del Cosenza calcio, Donato Bergamini, trovato cadavere a Roseto Capo Spulico quel maledetto 18 novembre di 28 anni fa, poche ore dopo il suo abbandono del ritiro della squadra bruzia, all'epoca militante in Serie B.

Queste le sostanziali novità degli ultimi giorni, che fanno un pizzico di luce su quanto tutti chiedono da decenni: capire se, e chi, abbia mai potuto uccidere un ragazzo così promettente, un giovane dal sicuro avvenire e dal sorriso contagioso. E soprattutto perché. Ritornare quindi alla dinamica dell'accadimento, che a questo punto potrebbe essere completamente diversa rispetto a quanto preso per buono all'epoca. Ovvero, un inspiegabile suicidio per motivi non meglio individuati, dalla dinamica non chiara e dai contorni che anno dopo anno si sono fatti più lugubri. Fino ad oggi.

Avrebbe avuto 55 anni, oggi, Denis Bergamini, se fosse stato ancora in vita.

E probabilmente avrebbe chiuso col mondo del calcio, dopo una carriera che sarebbe proseguita in Serie A, alla corte della Fiorentina di Giorgi (che l’aveva allenato proprio al Cosenza), o del Parma di Scala (che entro pochi mesi, da quando lo aveva richiesto, sarebbe stato promosso ed avrebbe fatto di lì a breve la storia del nostro calcio). Che, d'altra parte, ci avevano provato fino a fine estate, insieme al Padova, a strapparlo al Cosenza: che, dalla sua, aveva invece respinto tutte le proposte e gli aveva accresciuto sensibilmente l'ingaggio.

La sua esperienza in Calabria, calcisticamente florida, sarebbe in ogni caso probabilmente terminata alla fine di quella stagione, la 1989-1990, che Donato ebbe il tempo solo di iniziare. E forse non perché si sia tolto la vita, come ha ribadito a Rai 1 Donata Bergamini, sorella del calciatore che da allora lotta affinché venga restituita verità a suo fratello, alla famiglia, ed alla storia di e del Cosenza: "Perchè i motivi, al di là della sua voglia di vivere, erano tantissimi. Era una verità lampante già dall'inizio".

Già. Perché quello, per il calciatore, era un anno di potenziale rinascita, personale e professionale, dopo un infortunio che lo aveva tenuto ai box per troppi mesi: "Era l'anno più bello per lui, tant'è che Denis si sarebbe dovuto sposare con la sua fidanzata. E pochi giorni prima aveva chiesto di comprare il terreno accanto a casa nostra, per poter costruire casa ed andare ad abitare lì con lei". Da qualche tempo Bergamini s'era lasciato con la sua ex compagna, Isabella Internò, testimone oculare del tragico accadimento ed oggi indagata, al pari del camionista del Fiat Iveco accanto a cui venne ritrovato cadavere.

I motivi, adesso, potrebbero finalmente diventare verità. Sconvolgente verità, come pronostica l'avvocato Anselmo attraverso i social network:

"La verità su cosa sia accaduto a Denis Bergamini potrebbe andare oltre ogni immaginazione. Ho sempre creduto che la medicina legale avrebbe potuto alzare il velo di ipocrisia, falsità e depistaggi che ha coperto fino ad oggi la sua uccisione. È sorprendente come ora a Castrovillari lo Stato sia presente e si sia riappropriato del proprio ruolo dopo tanti anni. Senza arroganza ma con efficienza. Quel che so è che più vado avanti e più sento che questo sarà uno dei processi miei, in tutto e per tutto. Qui lo Stato processerà sé stesso. Finalmente".

D'altra parte è sempre più percepibile come, in merito a questa storia, anche la macchina burocratica della giustizia abbia sbagliato, o comunque ritardato, qualche mossa che in passato sarebbe stata risolutiva. Ma il tempo è galantuomo, e tende anche a correggere gli errori del passato. Lo vogliono in tanti, lo chiedono tutti: anche il calcio, che ha perso e per tempo anche colpevolmente dimenticato un suo figlio prediletto.

Chissà, forse un giorno tutta questa inconcepibile storia sarà solo una delle tante pagine nere nel libro dello sport: meglio nera, in ogni caso, che vuota. E, quindi, piena di interrogativi, domande sibilline e risposte ancora da scrivere. Una storia, seppur macabra, in cui potrebbe a breve comparire un movente ed un assassino, che come scritto proprio da Donata sui social "ora trema, e fa bene". 

A quel punto tutti sapremo la verità su come è morto Denis Bergamini: la famiglia ed i tifosi avranno giustizia, ed anche il Cosenza Calcio otterrà qualcosa. Come il ritorno della 'sua' maglia numero 8, ritirata lo scorso luglio, ed indossata per l'ultima volta da Domenico Mungo (ora passato alla 4). 24 anni, centrocampista centrale come Bergamini, nato in provincia di Reggio Emilia (Castelnovo ne' Monti, per la precisione), a giusto un paio d'ore di macchina da Argenta (Ferrara), dove nacque Denis. Sua, peraltro, è stato anche l'ultima rete della stagione dei lupi rossoblu: al 'Marulla', lo scorso 21 ottobre, contro il Bisceglie. Gol vittoria e 3 punti portati a casa, che però non sono serviti a smuovere dai bassifondi della classifica di Serie C (girone C) il club che fu di Denis. Terzultimo, a dispetto delle aspettative di inizio stagione che volevano i cosentini a giocarsela con le prime quantomeno per la zona play-off. Senza la 8 di Bergamini, d'altra parte, la magia atta a innescare la fragorosa gioia della curva intestata a lui, la Sud, stenta a scattare. Ma quando tutto questo sarà finito, e la verità resa nota, il ricordo di Bergamini tornerà a sorridere. La sua curva a gioire, e la sua casacca numero 8 a rivivere. Magari nello spirito, nella corsa e nella dedizione di chi sarà il suo erede.