Oltre al dramma sportivo vissuto dalla Juventus ieri a Cardiff nella finale di Champions League, a Torino centinaia di tifosi della Vecchia Signora hanno vissuto momenti di terrore che di drammatico avevano cose ben più serie: scene di ordinaria follia in Piazza San Carlo, lì dove il popolo bianconero si era riversato per vivere assieme l'evento sportivo dell'anno, e che solo un'incredibile serie di fortunate coincidenze ha fatto si che il tutto non si trasformasse in una vera e propria mattanza. In casi del genere la miglior cronaca dei fatti non può che essere fatta da chi certe cose le ha toccate con mano, viste con i propri occhi, ed allora in questo breve approfondimento su quanto accennato si vuole semplicemente dare spazio allo sfogo dei diretti protagonisti: cos'è successo realmente in quei luoghi? Di chi sono le responsabilità di quel quarto d'ora di paura che chissà per quanto tempo sarà protagonista nella memoria della gente? Si sarebbe potuto evitare tutto ciò? Com'è possibile che un momento comunque di aggregazione si è trasformato in un qualcosa che assomigliava più ad un teatro di guerra anziché altro?

  Il racconto di Claudio Pellecchia è da brividi: "Ci trovavamo alla destra della piazza guardando il maxi-schermo, dunque relativamente vicino all'uscita. Poco dopo il 3-1 del Real Madrid ho sentito un rumore metallico e la terra tremare, non ho fatto nemmeno in tempo a girarmi alla mia sinistra, lì da dove veniva il rumore, che ho visto questa fiumana di gente venirci addosso. Sono inciampato, ma ho avuto la prontezza di riflessi di alzarmi subito perché sennò sarei calpestato pure io, e contemporaneamente rialzare la ragazza che è caduta davanti a me perché sennò sarebbe rimasta schiacciata. Ho fatto in tempo anche a spingere un amico mio in avanti e prendere lo zaino, ed avviarci verso l'uscita: ci abbiamo messo più di dieci minuti perché eravamo schiacciati contro le pareti, contro le colonne dell'esterno della piazza. C'erano famiglie con bambine, ragazze con i fidanzati, tutti compressi, alcuni ragazzi hanno provato a tranquillizzare l'ondata ma senza successo. Faticosamente siamo riusciti ad uscire, ma lungo tutta via Roma, la via che collega Piazza San Carlo a Porta Nuova, c'era una scia di sangue, ragazzi per terra con tagli dovuti ai vetri e quant'altro. Va anche detto che c'è stata una disorganizzazione terrificante perché all'ingresso della piazza controllavano soltanto quelli che avevano gli zaini, però comunque dentro sono riusciti a portare petardi e fumogeni, e non so come questo sia possibile. Così come pure il fatto che non potevi portarti dentro bottiglie di vetro, però dentro c'erano bancarelle dove potevi comprare bottiglie di birra o altro sempre in vetro. Molta gente si è fatta male proprio perché è caduta sui resti di queste bottiglie, è stata una roba che non mi dimenticherò mai più: dietro di me avevo un papà con un bimbo che teneva sulle spalle per far vedere meglio la partita, e ad un certo punto non li ho visti più, mi auguro stiano bene. Le voci sul petardo, la ringhiera, posso solo dire di aver sentito questo tonfo metallico, la terra che tremava e la gente che mi veniva addosso. Ho subito pensato all'Heysel perché il principio è stato lo stesso, il panico ha fatto si che la gente schiacciasse altra gente: c'era una via d'uscita, è quello che ha evitato la tragedia, se fosse stato un luogo chiuso come a Bruxelles, sarebbe stato un massacro".  

La quiete del giorno dopo

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Gli altri raccolti, però, sono tutti della stessa natura. Questa la testimonianza di Giuseppe: "Ho sentito una specie di botto, poi la gente ha iniziato a correre impazzita. Senza vie di fuga molti (dal lato dov'ero io ci sono solo palazzi) sono finiti a terra, calpestati. I vetri per terra hanno fatto il resto: io ho una decina di punti sulla mano, niente di grave per fortuna, ma c'era sangue dappertutto. Gente che piangeva, bambini che non trovavano genitori, ed un dettaglio assurdo che torna in tutti i racconti, e che ricordo nitidamente: si sentiva un rumore come di un motore, infatti a un certo punto credevo ci fosse un'auto fra la folla. Probabilmente, ripensandoci adesso era il rumore di migliaia di persone che correvano sui vetri rotti".

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Impressionanti le parole di Laura Cefalo: "Doveva essere una festa, nel bene o nel male. Dovevamo solo tifare o (come nel mio caso) stare al fianco di chi in quella partita aveva riposto tutte le emozioni possibili. Invece in un attimo è cambiato tutto: la folla impazzita che ti arriva addosso senza darti il tempo di capire cosa stia succedendo e soprattutto perché. Devi solo cercare di non cadere perché se arrivi a terra è finita, migliaia di persone ti calpesteranno per fuggire non si sa dove e da chi. Bottiglie rotte dovunque, perdi lo zaino, perdi le scarpe e devi correre a piedi nudi senza poter pensare ai vetri per terra. Ma soprattutto perdi gli amici, i compagni... Per fortuna io e Giuseppe (di cognome Barbaro, non il ragazzo di prima, n.d.r.) siamo sempre rimasti insieme, lui ha fatto scudo col suo corpo mentre la gente mi correva addosso senza curarsi delle mie grida di aiuto. Ma non li biasimo perché lo avrei fatto anche io, il terrore era totalizzante e nessuno ha pensato che la minaccia potesse essere falsa. E se fosse stata vera? Solo un attimo dopo, quando siamo tornati in piedi e abbiamo cominciato a scappare in tutte le direzioni, abbiamo avuto il tempo di guardarci attorno e vedere in faccia l'inferno. Ragazzi con le magliette bianconere sporche di sangue, bambini atterriti, ragazze che tremavano in modo incontrollabile, sole e in preda al terrore. Vecchi sconfitti dal proprio fisico che si guardavano attorno sconvolti senza riuscire più a scappare. Ci riparavamo dietro le colonne del porticato perché le cariche della folla continuavano, da direzioni diverse stavolta. Abbiamo cercato di soccorrere un ragazzo ferito che sanguinava così tanto che era consapevole che sarebbe svenuto presto. E infatti è svenuto, steso per terra in mezzo ai portici e io non scorderò mai la sua faccia e la mia sensazione di orrenda consapevolezza di essere un'egoista, perché volevo solo che arrivassero le forze dell'ordine per lasciarlo in compagnia e fuggire da quella follia incontrollabile. E non mi perdonerò mai per la paura cieca con cui tutti, io per prima, abbiamo guardato dei ragazzi arabi che si aggiravano tra la folla, probabilmente feriti e spaventati come noi, ma la mente fa brutti scherzi e pensi solo ai terroristi con le cui immagini i TG ci bombardano da anni. Non importa la causa, se sia stato uno scherzo o un falso allarme, o una psicosi dovuta ai nervi a fior di pelle che abbiamo tutti da quel maledetto 13 novembre. I feriti erano reali, il panico era reale, le urla erano reali. Adesso io pretendo che le responsabilità vengano accertate, voglio sapere perché i controlli non hanno impedito agli abusivi di vendere bottiglie di vetro fin dalla mattina. Voglio sapere perché una festa sia potuta diventare quell'inferno senza che nessuno intervenisse per 10 minuti buoni".

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Questo quanto raccontatoci da Luca Donato: "E' successo tutto in pochi secondi. Improvvisamente, un'intera ala di Piazza San Carlo ha iniziato a correre, scappare da qualcosa che non si capiva cosa fosse. Da chi scappano, che stia caricando la polizia? Strano, siamo tutti tifosi bianconeri, che bisogno ci sarebbe. Che abbia fatto incursione qualche tifoseria rivale? Ma la gente che scappa è troppa, troppo è il panico. Non sarà mica... Ma non c’è tempo per pensare, migliaia di persone corrono verso di te, spingono, il rischio è di cadere a terra ed esser calpestato, tagliarsi con le migliaia di bottiglie di birra di vetro introdotte illegalmente in una piazza piantonata dalle forze dell’ordine, che perquisiscono chiunque voglia entrare. Tranne quelli che portano carrelli pieni di birre. Non importa più il perché la gente scappi, importa solo il restare in piedi, riuscire a respirare, evitare di rimaner schiacciati contro i muri dei portici o le transenne che delimitano la piazza. Importa proteggere la propria fidanzata, la propria madre, il proprio figlio, tenerli stretti e non lasciare che la mandria li trascini via, o peggio li schiacci. E proprio mentre il fiato viene meno, quando la pressa è tale da non permettere più alla cassa toracica di espandersi e lasciarti respirare, vedi le persone affianco a te piangere per la paura, senza neanche rendersi conto di star sanguinando vistosamente. “Ma cosa succede, aiuto!” grida la ragazza in lacrime accanto a me, con entrambe le ginocchia coperte di sangue. “Mattia! Mattia!” grida un papà che non trova più il figlio, mentre la calca come un fiume in piena ci trascina via senza controllo. La pressa, la finale di Champions, le maglie della Juve insanguinate, ed è un attimo esser trasportati col pensiero all’Heysel, dove 39 persone sono morte non perché picchiate a sangue, ma perché schiacciate, calpestate, soffocate. Meglio lasciare subito la piazza, ma proprio quando sembra tutto finito si sente ancora quel rumore sordo, rumore di migliaia di passi che corrono verso di te, ed è di nuovo panico: “Sta succedendo di nuovo!”. Ci riversiamo nelle vie limitrofe, correndo, scappando da un rumore sordo che non ha volto, mentre i feriti più gravi si arrampicano sui cofani delle auto per potersi medicare senza esser schiacciati dalla folla. Mi guardo intorno e vedo ovunque maglie insanguinate. Sangue in terra, sangue persino sui muri. Sangue sulle sciarpe lasciate a terra, scarpe e zaini abbandonati nella fuga. E ancora non sappiamo cosa stia succedendo, o dove stiamo correndo. Ancora adesso non c’è certezza su cosa sia accaduto, sul perché una situazione di festa ed aggregazione si sia trasformata in pochi istanti in una serata da incubo. Forse la serata più brutta della mia vita. E non è successo niente".

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L'ultimo intervento è quello di Gennaro, è quello che chiude il cerchio per far capire ancora meglio la dinamica di quei minuti e di quelli immediatamente successivi: "Queste scarpe non sono le mie, i Jeans si, ma non il sangue che vedi. Ho avuto il tempo di pensare che stavo morendo ma non l'ho accettato e malgrado fossi sommerso del tutto dai corpi e nel punto peggiore sono riuscito ad evitare di perdere i sensi o prendere colpi alla testa malgrado mi continuassero a crollare decine di persone addosso. Tutto era evidentemente follemente organizzato e tollerato nella piazza"

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Un preambolo che serve per il racconto vero e proprio della sua esperienza e della di lui moglie:

UNA TRAGEDIA MANCATA IN UN CONTESTO DI RIDICOLA GESTIONE DELL’ORDINE PUBBLICO

"Il racconto di due persone, un marito ed una moglie che hanno vissuto l’avventura in piazza San Carlo dalle 16.30 sino ad un’ora dopo il disastro.

I Fatti

Arriviamo in piazza alle 16.30 circa passando il controllo della polizia che praticamente non è un controllo, non guardano nella borsa di mia moglie (più tardi capiremo anche il perché). La Piazza è già piena per un terzo.

Dei due grandi e storici bar ai lati della piazza, uno solo è aperto il Caffè San Carlo. La gente entra nel bar e nel disordine generale prende ciò che vuole dal banco dei cornetti e dei dolciumi, senza pagare, ed esce. Circostanza vista con i nostri occhi, eppure, il locale è zeppo di personale ma sembrano del tutto disinteressati, forse interessati ad altro, come ci sarà evidente nei minuti ed ore successive. Difatti fuori al Caffè, hanno organizzato una vendita di bicchieri di birra alla spina che va avanti in maniera pazzesca, fusti e fusti di birra escono di continuo dal Caffè alla modica cifra di 3,50 € al bicchiere, ne vendono migliaia. Già questa circostanza è inquietante ma probabilmente vista dai nostri occhi “maturi”.

Tornando alla spiegazione degli pseudo controlli all’ingresso, ben presto ci rendiamo conto che in piazza sono presenti tanti venditori abusivi con dei carrettini carichi di bottiglie di birra in vetro. Come sono entrati ? Perché la polizia se n'è disinteressa del tutto ? A cosa servivano i controlli all’ingresso se due ore prima della partita c’era già un tappeto di bottiglie vuote che alcuni solerti operatori ecologici si affannavano quanto meno a raggruppare ma lasciandole sotto i muri del porticato.

Oggi nelle ultime ore, questa coppia di sopravvissuti, ha potuto leggere varie amenità: ad esempio che un certo numero di persone nel momento del disastro avrebbe trovato salvezza arrampicandosi sulla edicola sul lato destro all’ingresso della piazza; in realtà quelle persone erano lì da ore in quanto avevano conquistato un posto dal quale riuscire a vedere bene e “comodamente” la partita. Erano molte persone e ricordo di aver pensato “reggerà il tetto della edicola” ? Piccolo particolare che acquisterà ulteriore rilievo fra poche righe, l’edicola era a fianco del forze dell’ordine preposte ai controlli, solo qualche metro e senza ostacoli di altri tifosi accatastati. Sarebbe stato semplicissimo per la polizia impedire o comunque comandare l’abbandono di quella pericolosa posizione ai tifosi. Nessun intervento, neppure in questo caso di semplice gestione.

Passa il tempo, la piazza si riempie come un uovo e i tifosi continuano e bere birra a fiumi, giriamo lo sguardo e ci accorgiamo che il Caval d’ Bronz ed il suo basamento di marmo sono stati completamente colonizzati da un folto numero di tifosi. Condizione pericolosissima per loro e per quelli sotto di loro ma, anche in questo caso, nessun intervento delle forze dell’ordine. Stavolta ricordo di aver pensato “non possono intervenire, la piazza è gremita, potrebbero crearsi disordini pericolosi”

Al momento dell’inizio della partita non ci sono posizioni buone da cui riuscire a vedere lo schermo che è piccolo e posizionato in basso rispetto alla profondità della piazza. Un metro più su ed avrebbe evitato una serie di peripezie dei tifosi nel tentativo di vedere qualcosa. Noi personalmente abbiamo cambiato svariate volte posizione tentando di vedere una porzione decente di schermo. Alla fine ci sistemiamo all’altezza del penultimo arco del portico di destra della piazza. Siamo all’interno del portico per circa due metri, di sbieco, ma, nella calca, anche se a malapena, qualcosa vediamo.

La partita inizia, finisce il primo tempo ed io e mia moglie non ci spostiamo dal punto in cui eravamo per non perdere posizione rispetto alla visuale seppur minima conquistata. Così facendo, avanziamo verso l’arco di qualche centimetro. Diciamo che adesso saremo ad un metro e mezzo dall’arco stesso.

Inizia il secondo tempo, tutto tranquillo, la Juve becca il secondo gol, poi subito dopo il terzo. Noi siamo li ad inveire contro la panza di Higuain o l’inutilità di Dybala, mia moglie è mezzo metro avanti a me e qui inizia il racconto disgiunto.

Mia moglie: improvvisamente subisco un paio di spintoni e sento gente che urla : via,via scappate. Realizzo in pochi secondi che qualcosa sta accadendo e che sono in pericolo ed inizio a correre, ma solo per pochi metri perché dinanzi a me altra gente che scappa comincia ad inciampare, cerco di evitarli, ma poi cado su uno di loro e su di me cadono altre persone. “L’ingorgo umano” non è grosso, per cui anche se con fatica riesco a liberarmi, a rialzarmi e comincio a correre, solo per qualche metro, perché improvvisamente un’onda umana alle mie spalle mi travolge, cado a terra insieme ad altre persone che mi affiancano, poi su di noi si affastellano decine di corpi. Ho solo il capo libero, il respiro comincia a mancarmi per il peso che mi schiaccia, riesco a trovare un attimo di sollievo aggrappandomi ai capelli di una ragazza accanto a me e tirando così più in fuori il collo (il solo pensare di averle strappato i capelli e di averle fatto male mi provoca profonda sofferenza, ma in quel momento era l’unica possibilità che avevo). Passano un paio di minuti e altra gente si accalca cadendo, ora il loro peso diventa insostenibile, non mi sento più le gambe. Vedo a poca distanza da me dei poliziotti, uno di loro tende la mano ad una ragazza per tirarla fuori dalla matassa umana, urlo, lo chiamo, lo imploro di aiutarmi , ma non mi sente, poi vedo che la ragazza è sempre là, la stretta dell’agente è debole, si mantiene a distanza non capisco cosa fa, poi realizzo che ha paura di essere travolto, per cui il suo è un simulacro di intervento e che altri poliziotti al suo fianco sono lì imbambolati, inerti. Questa cosa mi getta ancora di più nella disperazione, capisco di non avere possibilità di salvezza, richiamo all’appello tutte le mie forze per un ultimo tentativo di liberarmi, ma invano e allora penso che per me è finita. Chiudo gli occhi, poi improvvisamente due braccia forti mi prendono sotto alle ascelle e un uomo di colore comincia a tirarmi, il mio busto si libera, poi la gamba sinistra, ma la destra è incastrata sotto i corpi e non ne vuole sapere, ma lui senza paura di nulla insiste per molti minuti, fino a che mi libera. Sono in piedi, lui orgoglioso mi urla :”Sono io che ti ho salvata”, sono sotto choc, gli accarezzo il volto con dolcezza, poi sento di nuovo quelle voci : “via, via” e ricomincio a scappare, ma la gamba è gonfia e mi fa molto male, fortunatamente stavolta trovo un’area sicura e libera. Mi fermo, intorno a me sangue, vetro, gente ridotta male ovunque e il pensiero va subito a mio marito, dove sarà? Torno indietro per cercarlo ,ma la polizia mi blocca, è pericoloso. Nulla è stato pericoloso ai loro occhi fino ad ora per loro e ora mi impediscono di cercarlo. Mi accascio a terra e piango disperata, poi penso che lui è forte e deve avercela fatta, ma il tempo passa, più di mezzora, vado avanti e indietro come un leone in gabbia e comincio a temere il peggio, poi all’improvviso lo vedo a pochi metri da me sano e salvo, corro tra le sue braccia e l’incubo finalmente ha fine.

Io: sono lì che guardo senza guardare la partita, da pochi istanti Ronaldo ha messo dentro il terzo gol, l’insuperabile BBBC è sembrata un gruppo di anziani ex giocatori chiamati ad una partita nella quale c’è il trentenne in attività che non ha rispetto per le differenze di età, mi volto senza motivo verso sinistra, non avevo sentito nulla che attirasse la mia attenzione, o almeno così credo, e vedo una marea umana che si muove verso di me in maniera disumana, non corre, è una massa che crolla, una valanga che sta per investirmi. Un istante e mi è addosso, mi travolge, cado a terra e un numero indefinito di corpi mi cadono su, mi colpiscono, inciampano su di me e in un attimo mi coprono. Per fortuna, o attitudine mentale non cedo al panico ma lotto, sono sommerso ma impedisco alla massa di schiacciarmi petto a terra dove sarei stato del tutto in balia dei colpi alla testa. Faccio cuneo con le braccia, traggo le gambe dal groviglio di arti, lotto centimetro per centimetro, perdo le scarpe, una felpa che avevo in vita, ma riesco ad alzarmi in piedi. Siamo schiacciati come sardine nel portico, dal centro della piazza, dietro di noi continuano a spingere ed arrivare centinaia di persone che spingono verso quella che sarebbe la via di fuga se non fossimo troppi in un imbuto. Reggo, resto in piedi, il fiume mi trascina, mi schiaccia,ma sono in piedi e quasi all'uscita dal portico e dalla piazza, con terrore capisco che siamo bloccati davanti perché la transenna che la polizia aveva messo per chiudere l’accesso è ovviamente crollata e c’è gente che ci è caduta sotto e noi che spingiamo rischiamo di schiacciarli come in un tritacarne. Sono ancora lucido, mi accorgo che siamo allo sbocco del portico e se riuscissi a spingere sulla destra le persone eviteremmo la transenna e i poveracci che vi sono incastrati e così con tutta la forza che ho spingo, spingo sino a che io stesso sono fuori sulla destra, non prima di aver spinto cosi forte che una ragazza davanti a me cedendo nelle gambe mi cade a faccia in terra. La aiuto tirandola su e sono fuori. Sarei salvo ,ma immediatamente il pensiero va a mia moglie della quale non conosco la sorte; sono scalzo, c’è ancora un numero enorme di persone che corre per uscire dal portico dal quale io sono appena uscito, ma io ritorno dentro e vado contro corrente per trovarla. Cammino senza scarpe, le migliaia di bottiglie che sono entrate in piazza sono ormai cocci che la lastricano ,ma per miracolo riesco a non tagliarmi. Di mia moglie nessuna traccia e allora torno indietro, fuori al portico dove prima ero scampato alla morte, lei non c’è ma c’è tanto sangue a terra e due ragazze prive di conoscenza. Una la caricano su di una barella e la mettono nell'ambulanza l’altra, con lo sforzo di un poliziotto impegnato e lodevole, la caricano su una transenna usata come barella. Mia moglie non si trova sono terrorizzato, comincio a pensare che l’abbiano già portata via e che dovrei chiedere alle forze dell’ordine. Scopro in quel frangente dalle parole concitate di un tifoso medico di professione che si stava prodigando per i feriti che, per trentacinquemila e più persone la dotazione era una ambulanza e due medici. Non mi arrendo, rientro in piazza, un barlume di lucidità mi fa indossare un paio di scarpe spaiate ,che trovo tra le decine sparse in giro, la prima mi entra facilmente la seconda è piccola, ma la tengo perché almeno non cammino sui pezzi di vetro. Mia moglie non c’è, ritorno indietro verso l’uscita del portico, sostituisco la scarpa troppo piccola con un’altra un po' troppo grande, ma almeno la indosso completamente, i miei piedi sono in salvo. Mentre faccio questo un’altra carica di persone fuori controllo percorre il porticato, prima che mi travolgano mi appiattisco sul muro di un arco ed evito di essere trascinato. Esco di nuovo dalla piazza, meno feriti a terra ma tanto sangue: mia moglie non c’è, potrei chiamarla ma il mio cellulare era nella sua borsa e dunque non posso arrendermi nella ricerca e mi rituffo nella piazza, entro all'interno, dove non eravamo stati e dove per la dinamica dei fatti non potrebbero averla trascinata, passo accanto ad un gruppo di Vigili del Fuoco, sono vicino a delle scale che danno sul parcheggio sotterraneo della piazza, c’è un ragazzo caduto all'interno accasciato con la testa appoggiata al muro, uno di loro mi dice gentilmente di allontanarmi, io gli rispondo cerco mia moglie ma lui non mi sente. Esco di nuovo dal porticato, sono già stato li due volte, perché ci torno ? Lei non c’era prima perché dovrebbe esserci ora ? Allora mi spingo più in profondità nella traversa e sul marciapiede opposto la vedo è lei !!! E’ in piedi, piange, la chiamo più volte, non mi sente, solo quando sono a pochi metri mi vede e mi riconosce, siamo vivi e messi abbastanza bene entrambi, sembra quasi un miracolo, ha pure la borsa!".

Parole forti, racconti aspri, rabbia e paura, c'è poco altro da aggiungere a quanto già raccontato da chi c'era, da chi era lì per vivere momenti di gioia od anche delusione ma prettamente di stampo sportivo. Meglio il silenzio, almeno per qualche ora, con annesso costante monitoraggio sulle procedure d'accertamento delle responsabilità: qualcosa di indecente è andato in scena, qualcuno dovrà risponderne obbligatoriamente.