Curioso quanto sia dolce per i beneficiari e amarissimo per i delusi constatare che l’autorete in un derby ha stabilito le sorti della classifica finale. Una vittoria da una parte e una sconfitta dall’altra. A sorti invertite, invece, le dirette contendenti sarebbero finite a pari merito, numericamente (soltanto numericamente in via del tutto ipotetica), a vantaggio del terzo incomodo. A chi sarebbe andata la gloria, nessuno può dirlo oltre il già forzato paradosso. Con le sue 264 presenze, tra i primi nella storia della Lazio, Paolo Negro non avrebbe immaginato di segnare la storia del suo club più importante lasciando un segno indelebile in una stracittadina e in un campionato. La Roma, a distanza di anni, ancora ringrazia.

Campionato 2000\2001, diciotto squadre e un livello di competitività caratterizzato da formazioni ad alto tasso tecnico. Quando il 17 dicembre per l’undicesima giornata Lazio e Roma si fronteggiano per il derby più teso d’Italia, i giallorossi sono primi in classifica, seguiti dalla Juventus e da una sorprendente Atalanta. In una fredda notte romana la prima frazione di gioco termina sullo 0-0. Grande equilibrio e attenzione tattica da parte di entrambe le squadre. La gara non decide la classifica, ma entrambe sanno che un successo significherebbe una spinta importante agli equilibri di un campionato dove più squadre sono candidate alla conquista del titolo.

In quegli anni le romane vantano calciatori di primissimo livello. Nesta, Crespo, Nedved, Stankovic, Cafu, Totti, Batistuta, Montella, soltanto per citarne alcuni, affollano di imprevedibilità un derby della capitale che vale onore e scudetto. Eriksson e Capello la sanno lunghissima, compresa la consapevolezza di poter competere per il tricolore.

Quando, dopo la metà della ripresa, il risultato sembra incamminato verso il pareggio a reti bianche, Batistuta allarga la palla verso Cafu, che calcia un preciso cross di destro verso il centro dell’area di rigore. La palla oltrepassa il dischetto e Cristiano Zanetti, partito dalle retrovie, dopo aver seguito intelligentemente l’azione, colpisce la palla verso la porta avversaria. Il pallone è pericoloso, ma Peruzzi riesce comunque a deviarlo in direzione esterna. La sfera schizza addosso a Nesta che, in maniera avventata, calcia il pallone addosso al suo compagno di squadra, Negro, che si vede schizzare addosso il pallone senza poter realizzare il momento di una scelta possibile. Il difensore biancoceleste subisce la traiettoria del pallone che gli carambola addosso per poi finire dentro la porta vuota. Uno tra gli autogol più goffi, sfortunati e clamorosi della storia dei derby romani. Quell’autorete vale la vittoria romanista e lo psicodramma sportivo di una delle difese più apprezzate d’Italia.

Il campionato, poi, finirà con la Roma campione d’Italia a 75 punti, la Juventus, seconda, a 73 e la Lazio, al terzo posto, con 69 punti. Anche se l’ipotesi ha il valore di un gioco, di un assurdo, di un capovolgimento, quell’autorete vale il divario tra le due capitoline, con in mezzo una Juventus che, sempre restando nel campo delle ipotesi, avrebbe anch’essa beneficiato di un esito diverso in quel derby passato alla storia come quello della gioia e dell’amarezza dentro un episodio rinchiuso nella frazione di un secondo. Il colpo fulmineo e demoniaco del gioco del calcio.