29 settembre 1996, Genova, Stadio Ferraris: la Sampdoria del trentaduenne Mancini e del ventiduenne Montella, di Veron e Karembeu, di Sinisa Mihajlovic, accoglie il Napoli di Gigi Simoni. L'allenatore degli azzurri viene dalla retrocessione con la Cremonese, ma il presidente Ferlaino gli ha allestito quella che, almeno sulla carta, è una discreta squadretta, riuscendo anche a trattenere alcuni pezzi pregiati come Pecchia, Cruz e Boghossian. La partita è praticamente tutta in mano ai doriani: ci provano ripetutamente Montella, Iacopino e Karembeu, ma vuoi per l'imprecisione, vuoi per la buona giornata di Taglialatela, il risultato non cambia. Poi, al minuto 73, succede l'incredibile: il ragazzo di colore con la maglia azzurra numero 10 prende palla, supera agilmente Mannini con un tunnel, fa un passettino in più per mandare fuori tempo Balleri, calcia di sinistro dai venti metri, palla nel sette, Ferron battuto. È arrivato da poco, è in ritardo di preparazione e fa già cose del genere. I napoletani si stropicciano gli occhi, e più di uno, quel giorno, pensa che alla fine questo ventunenne brasiliano, questo Beto, può essere stato davvero un colpo.
Joubert Araujo Martins è una delle promesse del calcio brasiliano: gioca nel Botafogo ed è già nel giro della Seleçao di Zagallo. Con il Brasile Beto era arrivato secondo nella Copa America del 1995, giocando due partite e dividendo lo spogliatoio con gli altri ragazzi d'oro della sua generazione, tutti fra i 19 e i 22 anni: Roberto Carlos, Dida, Juninho Paulista, Savio, Ronaldo il Fenomeno. E la maglia verdeoro non fa che convincere ancor di più Ferlaino: potrebbe provare a strappare al Milan Roberto Baggio (tormentone delle estati napoletane degli anni '90) e invece prende un aereo, va a Rio e torna con il brasiliano dalla pelle scura. Lo paga sei miliardi, in un'epoca in cui il trasferimento record è quello di Alan Shearer dal Blackburn al Newcastle per 35 miliardi. Il giocatore firma un triennale da 650 milioni all'anno – altro parallelo: Francesco Totti, vent'anni, titolare nella Roma, guadagnava un miliardo. Beto prende la 10 lasciata libera da Fausto Pizzi, ceduto al Perugia. La sua avventura comincia alla prima di campionato, nella sconfitta per 3-0 contro il Parma; ma, di fatto, il via ufficiale c'è nel momento di quel gol alla Sampdoria. In città sembra trovarsi bene, l'affetto della gente è tanto: per tutti è Tric Trac, soprannome con cui lo ha battezzato, secondo tradizione, Raffaele Auriemma. E Tric Trac non si ferma: torna al gol a novembre, nel 4-2 contro il Perugia.
Da qui, lo stop: panchina e qualche spezzone, poi arrivano le feste di Natale (con il Napoli secondo in classifica) e lui se ne va in Brasile, dalla famiglia e dalla fidanzata. Torna con due giorni di ritardo, la società lo multa per 15 milioni, come a fargli capire che il calcio, in Italia, è una cosa seria. Si ripresenta in campo per il primo allenamento, Simoni lo osserva e gli chiede se nelle vacanze si è tenuto in forma. Lui risponde: “Ho giocato due partite sulla spiaggia”. Sembra l'inizio della fine, e invece – dopo partite da titolare alternate a panchine – arriva la notte magica di Joubert Araujo Martins.
26 febbraio 1997, Napoli, Stadio San Paolo: si gioca la semifinale di ritorno della Coppa Italia fra i padroni di casa e l'Inter. All'andata era finita 1-1, gol di Zamorano e Cruz. Il ritorno fa subito intuire di voler essere speciale, perché al 12' i nerazzurri vanno in vantaggio con un gol di Javier Zanetti, uno che in carriera ha segnato una volta ogni 38 partite. L'Inter sembra avere il pallino del gioco in mano, ma a fine primo tempo Ganz interviene duro su Colonnese: per l'arbitro Pairetto (Pierluigi, ovviamente) è rosso diretto. In undici contro dieci il Napoli attacca, attacca e attacca, e trova il gol con l'uomo più atteso, il numero 10, Beto: assist di Caccia, percussione, tiro preciso, gol dell'1-1 e San Paolo in delirio. Si va ai rigori, Paganin sbaglia e il Napoli va in finale di Coppa Italia nella notte del brasiliano con la pelle scura. Chi era a casa visse quel gol con la telecronaca di un confuso Bruno Pizzul, che scambiò Beto con Caio - un particolare: Caio è bianco.
Il Tric Trac, quindi, torna a scoppiare? No. Perché non ha una miccia, un innesco. Il Napoli in campionato va male, i sogni di metà campionato sembrano finiti, e Simoni ha già firmato con l'Inter per l'anno successivo, una mossa poco gradita dalla società. Ad aprile, Beto si sottopone a un piccolo intervento al ginocchio, e dopo dieci giorni, con la squadra in ritiro al Centro Paradiso per preparare la partita con l'Atalanta, scappa in Brasile senza avvertire nessuno, fra una misteriosa visita da uno specialista e l'immancabile saudade. Quando ritorna, Simoni è stato esonerato e sulla panchina napoletana siede Vincenzo Montefusco, l'allenatore della primavera, al primo anno da traghettatore (ruolo che ricoprirà, neanche fosse Caronte, anche nel 1998 e nel 1999). Beto torna al gol nella partita, pur persa, contro la Lazio: vuole farsi vedere, perché dopo la vittoria nella gara d'andata vuole convincere Montefusco a schierarlo titolare nella finale di ritorno di Coppa Italia. Invece siede in panchina e, in lacrime, guarda il Napoli perdere 3-0 contro il Vicenza di Guidolin. Due giorni dopo, all'ultima di un campionato finito a difendersi dalla retrocessione, quello stesso Vicenza sarà punito proprio da Beto, con un gran tiro da fuori area. L'ultima apparizione del brasiliano col Napoli.
Pochi mesi dopo, a Ferlaino chiederanno ancora di Baggio: “Che me ne faccio? Abbiamo Beto”. E invece Beto l'aveva già ceduto, riuscendo pure a guadagnarci: pagato 6 miliardi, fu venduto ad 8 al Gremio. Secondo la leggenda (smentita da alcuni, confermata da altri), Ferlaino si era intestardito: voleva solo soldi, e non la contropartita tecnica offerta dalla dirigenza brasiliana - un promettente ragazzino di 17 anni, tale Ronaldinho.
Joubert Araujo Martins gioca ancora qualche anno a buoni livelli, facendo pure parte della nazionale brasiliana trionfante nella Copa America 1999. Prova pure l'esperienza giapponese, al Sanfrecce Hiroshima: ci resta due anni, poi partecipa a una rissa in un ristorante e viene licenziato. Torna quindi in Brasile, chiude la carriera nelle serie minori. Ma, almeno, senza saudade, e senza voglia di salire su un aereo e scappare.