Domanda: anzi, domande.
Vi siete mai chiesti perché il calcio si cominci a scoprire, e, semmai, a provare, sin da bambini? E perché non esiste uno, dico un essere vivente che lo pratichi - che so - dai 25 anni in poi? Vi siete mai domandati perché il pallone, quale che sia la vostra età, provochi in voi, nel bene o nel male, reazioni emozionali pressoché uguali a quelle d'un ragazzino senza peli pubici, almeno in quanto a strepitii, urla, occhi strabuzzati e gesticolare incontrollato? Avete mai riflettuto sul perché esso non si pratichi in giacca e cravatta, ma sostanzialmente in mutande e con sgargianti magliette; né tantomeno intorno a rutilanti ed indaffarate scrivanie dentro enormi palazzoni di vetro vigilati dalle forze dell'ordine, ma piuttosto in enormi spazi aperti e su infinite (oddio, dipende se ci riferiamo o meno ai cartoons nipponici) e verdi praterie?
Bene. Se ancora non vi siete posti queste domande, allora la risposta ve la do io. E non perché io ami masturbarmi mentalmente sui massimi sistemi: ma semplicemente perché di tanto in tanto, pur di ricordarmi il perché esso sia una passione prima ancora che una professione, vado a rileggermi le definizioni letterali della parola 'calcio' sui vari dizionari. "Gioco tra due squadre di undici giocatori", dice Sabatini Coletti; "Gioco di origine inglese, popolarissimo in Europa e nell’America Meridionale", ribadisce Treccani. Avrei voluto incorporare anche Devoto Oli e Garzanti, ma la consultazione a pagamento, per una faccenda così scontata, sinceramente, me (e ve) la evito. Scontata perché qualsiasi dizionario, di qualsiasi lingua possiate consultare, cercherà - in alcuni casi, vanamente - di convincervi d'una sola ed elementare definizione: ovvero, che fino a prova contraria tràttasi d'un gioco. Avvincente, agonisticamente furibondo, spettacolare, tanto popolare da dividere e unire al contempo: ma sempre un sollazzo, un divertimento, un passatempo, uno svago. Oppure chiamatelo direttamente pallone, che come termine è meno formale e rende meglio l'idea.
« Fino a quando il calcio sarà un gioco, come facciamo a diventare grandi? »
(Marco Simone)
Tranquilli, né Devoto né Oli si sono impossessati di me, né tantomeno della mia tastiera. E' solo che l'ultima settimana di pallone, in tutta sincerità, è servita solo a ribadire a me stesso quanto di sbagliato e maledetto vi sia anche al di fuori degli scandali che ne abitano le viscere, ovvero nella reazione dei - cosiddetti - tifosi rispetto alle vicende che lo attraversano. Si, è vero: Balotelli ha fatto, come spesso accade, lo scemo. E sia lui che il Milan, oltre che i loro sostenitori, pagheranno e non poco la sua lingua acuminata. Reazione: maglie che inneggiano contro di lui, stampate in giro per le città; invettive furibonde che, come al solito, intromettono nella querelle il colore della sua pelle, in giro per le strade (e sul web); milioni di offese gratuite rivolte nei confronti d'un ragazzo che ha come vizio innato quello di non saper propriamente interpretare, secondo i canoni della buona creanza, le opportunità che gli vengono concesse. Tranquilli: poi tutti buoni ad ubriacarci di gioia e di vino, quando segna con addosso la maglia azzurra, e non quella rossonera.
« Il calcio è come una briscola al bar con il tuo migliore amico. Quando giochi, fai di tutto per fregarlo. Quando posi le carte, bevi con lui un bicchiere »
(Osvaldo Bagnoli)
La Juve vince, ma non convince, e strappa, tra Torino e Chievo, due - se non addirittura quattro - punti che probabilmente non meritava. Motivo? Un fuorigioco, semplicemente pacchiano, non segnalato da qualche paia di occhi che riescono (!) a confondere Paloschi con Thereau, ed uno, un attimino meno immediato da rilevare, non fischiato a Tevez e che consente a Pogba di insaccare a gratis. Lo stesso Tevez che, a dirla tutta, viene asfaltato dal missile Immobile - l'ossimoro perfetto - che pensa bene di regalargli un bel tatuaggio a forma di tacchetti sul gemello. Morale della favola: l'Italia intera non bianconera s'intrattiene nel rubicondo girotondo del #farsopoli, #juvemerda, 'giocano in 12', blablabla. Storia simile, se non uguale, all'ormai stantìa tiritera del #gombloddo e del #rigorePerilMilan. Il tutto, senza guardare a casuccia propria neanche per un istante, e perché è sempre più bello, facile e comodo sorvolare sui privilegi propri e sottolineare quelli altrui: e soprattutto quando il momento storico lo consente. AriTranquilli. Quando poi la vostra squadra vincerà per un rosso o un fuorigioco non visto, o per un rigore regalato, non sarete certo voi a dovere giustificarvi, perché saranno gli altri, quelli che oggi cercate d'annichilire con l'indice puntato a mò di baionetta, a rendervi pan per focaccia.
« Il calcio è felicità, gioia di vivere. Il calcio è riso con i fagioli »
(Toninho Cerezo)
Dei beceri cori che provengono dalle gradinate di quella culla delle emozioni che dovrebbero essere gli stadi preferisco non parlare. Ho già detto la mia, in passato, e per assurdo preferisco non ripetermi. Chiudiamo, invece, con quello che dovrebbe essere il gioco per eccellenza. Quello che, come piace dire a me da qualche anno, sin da quando lo ribattezzai così nella intro d'una vecchia Guida per l'asta perfetta, è talmente e visceralmente ludico da essere, per definizione propria, un gioco al quadrato, in quanto splendido passatempo applicato a sua volta ad un altrettanto stupendo svago: ovvero, il fantacalcio. La, anzi le, diatribe della settimana le conoscete tutti, altrimenti non stareste leggendomi in questo spazio. Bene, a prescindere dalle motivazioni d'ognuno (redazioni comprese), credo proprio che qui ci si debba dare, e tutti, una seria regolata. Le incivili e bieche offese, giùnteci mediante i social network, unite alle mail di - neanche tanto - velata minaccia nei confronti miei e dello staff sono probabilmente il punto più basso mai raggiunto nel confronto utenti/redazione nel corso di tanti anni di lavoro. E, no, non sto generalizzando. Altrimenti neanche starei qui a scriverle, queste cose.
« Dategli 22 palloni, così la smettono di litigare »
(Cesare Zavattini)
Sto solo cercando, a modo mio, di riportare tutto ciò alla sua naturale dimensione. Dimensione nella quale l'argomento principe, sulle bacheche facebook di ognuno di noi, dovrebbe esser l'elogio alla magnifica e stupidamente (anche da parte mia) vituperata Roma di Garcia, che ha dimostrato come si rivolta come un guanto una squadra, insegnandole a giocare a calcio. Maestria che, Sassuolo a parte, ha dimostrato di saper fare, ancora una volta, anche Rafa Benitez. Oppure passeremmo ore a disquisire sulle tante qualità del piccolo Verona di Mandorlini, che regala alla nostra Serie A il talento di Iturbe e Jorginho e continua a vincere. Penseremmo ore ed ore a quanto, il Milan più brutto e tecnicamente povero - almeno al netto degli indisponibili - dell'ultimo venticinquennio riesce comunque a galleggiare, trascinato da uno degli ex campioncini del calcio europeo come Valter - con la V - Birsa, ed alla sua storia calcistica vissuta sull'ottovolante. Rifletteremo sul se è giusto o sbagliato esonerare Delio Rossi e quanto è stato giusto, o sbagliato, esonerare Liverani. Strabuzzeremmo gli occhi di fronte a Lopez ed al suo Cagliari, cazzuto e quadrato almeno quanto i suoi due trascinatori, Nainggolan e Sau. Ci ricorderemmo di quanto sia (ancora) importante un ragazzino di nome Francesco Totti, che spegne 37 candeline ma che, evidentemente, in testa e nelle gambe ne ha almeno una decina in meno. Ci crogioleremmo nella grandeur d'un Mondiale alle porte, al quale, per la prima volta dopo tantissimi anni, ci presenteremo non con una difesa imperforabile, ma piuttosto con un reparto offensivo clamorosamente ricco e tecnicamente adeguato a quello di tante altre pretendenti al titolo. Rivendicheremmo il piacere di avere (ri)scoperto in serie A i talenti di Pepito Rossi, Higuain, Callejon, Tevez, e di poter vantare, al loro fianco, una folta schiera di giovani e giovanissimi che null'altro possono fare, se non riportare al nostro calcio le paillettes e i cotillon cui eravamo (ben) abituati.
Oppure, se volessimo davvero goderne sino in fondo, viaggeremmo ancora più basso, e ci accontenteremmo di prenderci in giro per quanto, forse, abbiamo sottovalutato Laxalt e Pandev, Mesbah e Llorente, Alvarez e Jonathan, Gervinho e Florenzi, e passeremmo il nostro tempo a perculeggiarci a suon di sfottò, esattamente come qualsiasi gioco, e non guerra, vorrebbe facessero i suoi interpreti e, soprattutto, appassionati.
Non perdiamocele, queste occasioni. Perché, seppur delegate ad un gioco che ha la fortuna di ripetersi sempre, all'infinito, tutti i mesi di tutti gli anni come una ruota che non ha voglia di smettere di girare, per il pallone vale lo stesso discorso che s'usa fare in un altro ambito: ogni lasciata è persa.
Tanto per le donne, quanto per le occasioni. E se non riusciamo a goderne sino in fondo, perdendoci stupidamente nel torpore delle diatribe, delle offese reciproche e delle polemiche, non sapremo mai quanto valgono. Masochistici errori di questa natura, sappiatelo, la vita - dura com'è - non li perdona: fatevi una risata, stappate una birra con gli amici godendo del pallone, e rifletteteci su. Poi, magari, fatemi sapere.
« In tutto il mondo, ci dicono, in ogni momento ci sono un tot di persone che nascono, muoiono, concepiscono un figlio, oppure si trovano una pistola puntata addosso. A me piace pensare che in ogni istante da qualche parte nel mondo un giocatore dilettante qualsiasi stia segnando un gol straordinario. È successo a chiunque abbia giocato a calcio. In qualche occasione, forse anche una volta sola, abbiamo spedito la palla in gol da 25 metri, lasciando di sale il portiere, oppure abbiamo incornato il pallone (a occhi chiusi ovviamente) spedendolo nel sette come una fucilata. Non tutti gli sport offrono questa emozione. Quante volte può capitare, andando alla piscina comunale, che qualcuno batta il record del mondo? Eppure, per la legge delle probabilità, ogni domenica un pancione bolso che passa le giornate al pub segna un gol splendido quanto quelli dell'inarrivabile Pelé e del possente Bobby Charlton. Può accadere ovunque e se si sa aspettare abbastanza succederà praticamente dappertutto. È questo il bello del calcio: qualche momento sublime, molti episodi ridicoli, e tutto ciò che sta nel mezzo tra i due opposti »
(Il mio anno preferito, Nick Hornby)
Alfredo De Vuono