"Buffon sì, sempre e comunque! Gigi non si discute, è un senatore! E' il più grande portiere della storia. Fin quando vorrà, sarà e dovrà essere il nostro portiere"

"Basta, Buffon, basta. Ha 40 anni, è stato parte integrante dell'ultimo disastro, e non è più quello di un tempo. E poi abbiamo Perin e Donnarumma"

"E' normale che Balotelli debba ancora scontare la pena riservatagli nel 2014, quando le responsabilità del mancato passaggio del turno vennero tutte addossate a lui? E poi mica è quello di allora, è cambiato, in Ligue 1 segna come pochi ed è il nostro unico fuoriclasse"

"Che dobbiamo farcene di una mela marcia come Balotelli? Ha fallito dovunque, ha piantato casini in ogni squadra, i senatori non lo vogliono. E poi abbiamo tanti altri attaccanti, anche più giovani, e più forti di lui"

Eccole qui, riassunte e stereotipate, le 4 fazioni ideologiche che in queste settimane ronzano intorno ai due maggiori dibattiti calcistici. Quelli belli, perché nazional-popolari, e soprattutto trasversali. Perché a favore della presenza, reiterata, di Buffon, si sono schierati in questa fase buona parte degli juventini, e viceversa. Con Balotelli, invece, tutti coloro che - più o meno ragione - non intravedono nei vari Belotti e Immobile dei profili di pari qualità ma soprattutto esperienza internazionale, e intorno al fascino maledetto di un anarchico come Mario costruirebbero sempre e comunque un squadra più o meno Balo-centrica.

Personalmente, dopo averli difesi, o osteggiati, a seconda delle circostanze e a prescindere da pregiudizi e appartenenza, ho maturato l'idea che in entrambi i casi si tratti di due falsi problemi. Eppure, in attesa che la Federazione ci comunichi le proprie scelte in merito al futuro CT, sono questi i temi che ci consentono di analizzare il momento, e posporlo a quando sarà determinante prendere una scelta che sia definitiva in merito alla posizione di entrambi. Cosa che, in questa fase evidentemente transitoria, Di Biagio non poteva permettersi di fare.

Già, perché - e cominciamo da Gigi, che in Nazionale, a conti fatti, ancora c'è - era inevitabile ripartire da Buffon. Ovvero da colui che ha fatto mea culpa dopo il disastro di novembre, ha pianto davanti alle telecamere come non aveva mai fatto, rivelando un animo più fragile di quanto un ventennio di carriera sulla breccia potesse lasciar immaginare, e più o meno legittimamente ci teneva a non tenere quella, di sé, come ultima immagine azzurra.

Sarebbe stato iniquo, oltre che triste, nei confronti del più grande portiere in assoluta della penultima generazione, congedarsi così. E personalmente, nonostante in questa fase si parli di un suo addio già virtualmente consumatosi a Manchester contro l'Argentina, ritengo che sia giusto concedergli anche il commiato a Wembley. Quantomeno nel ruolo che si è costruito dal 1997 a oggi. Ovvero, non solo di titolare, ma anche di leader carismatico, monumento, simbolo, riferimento dello spogliatoio e capitano. Dopo l'Inghilterra, poi, il nuovo corso azzurro avrà ufficialmente inizio: mancheranno meno di due mesi all'annuncio del nuovo selezionatore, e da lì in poi si ripartirà con un corso che potrebbe prevederlo comunque, seppur in un'altra vesta. O almeno me lo auguro.

Angelone 'Tyson' Peruzzi nel 2006 (getty)

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Nel 2006, all'apice tecnico del nostro calcio, non solo per via dei risultati internazionali ma anche e soprattutto grazie alla definitiva maturazione e consacrazione di almeno 8 dei calciatori italiani migliori di tutti i tempi (lo stesso Buffon, e poi Nesta, Cannavaro, Zambrotta, Pirlo, Gattuso, Totti e Del Piero), fece discreto clamore la conferma di Angelo Peruzzi da 12esimo. Per i più giovani, parliamo di un ex Roma, Inter, Juventus e Lazio, tre volte Oscar del calcio AIC come miglior portiere in A; primo portiere in Europa nel 1997, annoverato dalla IFFHS come uno dei più forti portieri europei del XX secolo e tra i migliori in assoluto del periodo 1987-2011. Oltre che di colui che sulla carta era il nostro portiere titolare ai Mondiali di Francia '98, saltati per via di un grave infortunio. E che, in generale, ebbe sempre un rapporto tormentato con la Nazionale, dovendosela peraltro giocare con due mostri sacri del calibro di Pagliuca prima, Toldo poi, e infine con lo stesso Buffon. E che, sbagliando, disse no a Zoff nel 2000, rifiutandosi di coprire le spalle agli stessi Toldo e Buffon, e che con l'avvento di Trapattoni e Lippi, invece, fece prima il terzo e poi il 12°, in Germania. Quando, però, la sua carriera era tutt'altro che in fase calante, a dispetto dell'età.

Tyson” o “Cinghialone”, com'era soprannominato per via del fisico più tozzo e scolpito che longilineo e scattante, era difatti il portiere della Lazio degli anni migliori, che a 37 anni, prima di ritirarsi, vincerà anche il premio come migliore estremo difensore del campionato. Insomma, tutt'altro che un comprimario, che eppure, consapevole di essere a fine carriera, decise di vivere gli ultimi anni azzurri da riserva (o, in alcuni casi, riserva della riserva), rendendosi utile - seppur non partecipe - anche nella più grossa impresa sportiva recente del nostro calcio.

Di lui lo stesso Buffon disse: "Pensavo che avere in panchina uno con le qualità, umane e tecniche, di Peruzzi fosse uno spreco". Lippi, che invece l'ha sempre messo nella schiera dei fuoriclasse in cui già inseriva gente come Ferrara, Conte e Deschamps (a dispetto dei semplici 'campioni', Cassano e Balotelli), dopo il ritiro lo tenne con sé nello staff azzurro nel ciclo 2008-2010.

Un percorso esemplare, quello di Angelone, che fatte le debite proporzioni dovrebbe riuscire ad accettare anche Gigi. Sotto la sua ala, sia a livello tecnico che caratteriale, Perin e Donnarumma avrebbero reiterate occasioni di giocarsela più o meno alla pari, ma soprattutto di crescere. Con un sanissimo dualismo, fàttosi competizione, nell'animo, e l'obiettivo non semplice di non far rimpiangere quel terzo portiere lì. Che proprio come disse Gigi, 12, ormai lontanissimi anni fa, sarà uno spreco tenere in panchina. Ma che, vista la voglia - ormai, evidentemente, poca - di smettere, potrebbe essere la sua unica, naturale, fisiologica e se volete anche melanconicamente romantica, destinazione. 

In quel caso sarebbe ancora utile, come giustamente ha detto Di Biagio, a cementare un gruppo che dovrà rifarsi quasi ex novo, che dovrà accogliere diverse nuove leve - vedi Cutrone e Chiesa - , rendere funzionali gli inserimenti sempre più organici dei vari Insigne, Romagnoli, Caldara e Jorginho, e contestualmente aiutare il CT che verrà nel suo arduo compito. Scomodo, come incarico? Certo, ovvio. Perché nessun errore, anche il più apparente, verrà perdonato ai suoi giovani eredi, che a loro volta sapranno di scendere in campo, ancora per un - se non addirittura due - anno con un mostro sacro alle spalle. Ma Buffon è anzitutto una risorsa, e in quanto tale dovrebbe capire, accettare, farsi da parte ma con compostezza, provando a rendersi utile, sì, ma in ottica futura e rendendosi così, definitivamente, eterno, e non semplicemente, etereo.

Polpacci 'azzurrati' del passato? (getty)

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Un ruolo paradossalmente simile a quello che si meriterebbe Balotelli. L'ostracismo mostrato nei suoi confronti da Conte e Ventura è assolutamente incomprensibile. C'è una "frangia", chiamiamola così, di senatori, che non lo vogliono nel gruppo? Bene, si interroghino. Qualcuno lo chieda, quanto meno ai superstiti. Che ormai, a conti fatti, sono davvero pochini. Ergo, l'embargo morale - chiamiamolo così - è giusto che finisca. 

Anche perché al netto della presunzione e del discutibile approccio del ragazzo, che si tratti di un calciatore dotato più d'ogni altro, nella sua generazione italiana, non c'è dubbio. Il punto è che quello che all'epoca era una ragazzo "che deve crescere, non solo sulla carta d'identità", ora è cresciuto anche a livello anagrafico. Va per i 28, e quando avrà superato gli 'enta', visto anche che nel suo ruolo e per le sue caratteristiche l'esplosività muscolare sarà sempre indispensabile, a breve rischiamo di iniziare a rimirare la sua fase tecnico-atletica discendente. Ed a quel punto non ci saranno CT, Raiola o pregiudizi che tengano: sarà il campo, purtroppo, a farlo fuori. 

Un Supermario così, rigenerato a tutti i livelli, può però ancora infondere le sue energie in azzurro per almeno 3-4 anni. E, magari, arrivare all'appuntamento con Euro 2020, quando starà per varcare la trentina, ancora in grado di fare la differenza. Certo, non si può più costruire intorno a lui una squadra, come fu nel biennio 2012-2014. Anche perché a differenza di allora i suoi pari ruolo sono arrivati e continueranno ad arrivare, e anche solo per coerenza tattica con gli altri 9 uomini di movimento, saranno loro a doversi caricare sulle spalle la squadra, quantomeno in zona gol. D'altra parte che il calcio di oggi, e anche quello del prossimo biennio, sia improntato su un sistema di gioco assai fluido, fatto di sacrificio e duttilità, e improntato sulla turnazioni di ali e mezzali intorno ad un solo centravanti, è evidente. Che si giochi con il 4-3-3, con il 4-2-3-1, e volendo anche con il 4-4-2 (in cui quasi sempre la seconda punta è un uomo di movimento e non d'area), di spazio ci sarà sempre e solo per uno tra Belotti, Immobile, Cutrone ed, al limite, Balotelli. Che però a differenza degli altri può anche adattarsi a girare intorno alla prima punta, e soprattutto può essere sempre e comunque un'arma importante da usare a partita in corso. Anche in quel caso, ovviamente, si dirà che sarà difficile, se non impossibile, gestirlo sempre a partire dalla panchina: ma l'epoca dei Buffon e Balotelli, sempre, comunque e dovunque in campo è finita. E questo, bene o male, lo hanno capito anche i loro tifosi e gli addetti ai lavori. 

Entrambi, però, non riescono in alcun modo a contemplare una loro gestione magari meno lineare, ma più coerente rispetto al momento loro personale e della squadra. Azzurri sì, importanti ma non imprescindibili: ovvero, come tutti gli altri. Riserve di lusso, come ogni altra Nazionale che ambisce a far bene ha.

La loro gestione, a quel punto, dovrà però essere demandata al migliore: ovvero a chi, in carriera, si è ritrovato a far turnare pacchetti assai più complessi. Ovvero, Carletto Ancelotti. L'uomo con cui Costacurta dialoga già da diverse settimane, e che per la prima volta dopo anni ha aperto un minimo spiraglio sull'ipotesi azzurra. Uno che lo merita oggettivamente più di ogni altro, Mancini e Ranieri compresi, e che con tutta probabilità sarebbe anche l'uomo ideale per gestire Mario e Gigi. Di quest'ultimo ha recentemente parlato, avallando la scelta di Di Biagio di richiamarlo in sella. Del primo, invece, ha sempre nutrito una certa stima, e non è una novità ribadire che all'epoca della sua militanza al PSG e al Chelsea ci furono anche dei timidi approcci con Raiola. Una sfida, per Carletto da Reggiolo, che in carriera ha gestito - e alla grandissima - gente come Ronaldo, Cavani e Ibrahimovic, e certo non si tirerebbe indietro rispetto a Balotelli ed al suo rappresentante, che non perde attimo per spalare sterco su chi, come Di Biagio, non se la sente. Comprensibile, in realtà: riportare in Nazionale, per una così breve parentesi, uno scomodissimo come Mario, avrebbe poi messo in difficoltà il suo successore, che si sarebbe trovato non, eventualmente, a richiamarlo, ma a farlo nuovamente fuori, se non avesse "accettato la sfida" della sua gestione 2.0. Un processo che sembra fatto su misura per Carlo e per l'Italia che verrà. Quella che di Gigi e Mario non dovrà fare a meno, ma che da entrambi potrà farsi aiutare per tornare a esser quella che meritiamo. E che, forse, meritano anche loro.