Tema: come da nota della Juventus F.C.,"Massimiliano Allegri non siederà sulla panchina della Juventus nella prossima stagione 2019/2020".

Svolgimento: in conferenza stampa, oggi, Allegri e Agnelli si sono cordialmente, e anche emozionalmente, salutati. Di fatto, però, uno ha esonerato l'altro, senza spiegare il perché. 

E non avrebbe potuto, in effetti. Come spiegare il motivo o i motivi per cui si esonera un allenatore che ha vinto 5 Scudetti consecutivi, se non dichiarando, pubblicamente, che i suoi gettoni utili per la Champions erano finiti?

Certo, si può parlare di amori che finiscono al pari dei cicli, si può girare intorno alla questione parlando di decisioni aziendali, arzigogolando le parole in maniera tale da provare a giustificare la scelta. E' vero anche che nessuno dei protagonisti della conferenza stampa dell'anno era (e sarà mai) tenuto a dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Quel che è evidente, però, è che la Juventus - cosa peraltro ribadita decine di volte proprio dal suo Presidente - è un'azienda, florida e ricca, che non può non tenere conto delle sensazioni dei suoi clienti.

E i clienti, nella fattispecie, sono i tifosi. Gli stessi tifosi che, per buonissima parte, non erano felici nel 2014 dell'avvento del livornese ed, a torto o a ragione, non lo sono ora, un lustro e 11 titoli dopo.

Ribadire i perché di questo mancato affetto, e forse anche stima, risiedono nella natura stessa di Allegri: un risultatista, come è stato definito. Definizione che lui non ha commentato, ma non ha mai neanche allontanato. Sì, perché come dice Max, "A nessuno piace perdere, ma se uno si accontenta di uscire dal campo e dire abbiamo giocato bene e abbiamo perso, non fa per me". E neanche per la Juventus, ça va sans dire.

Non una parola, però, sulla Champions.

Ovvero, sull'obiettivo prioritario per cui questa squadra era stata costruita, la scorsa estate e non solo, come annunciato in pompa magna, 10 mesi fa proprio da Agnelli.

E non solo perché tràttasi dell'unica, vera, ambizione degli stessi tifosi, la cui mancata affezione a Max non interessa poi così tanto - "Non mi sono mai posto il problema, non potevo mettere tutti d'accordo" -, ma anche perchè, forse, il problema era proprio quello.

Già. Perché mai come oggi Allegri ha ribadito che sono le vittorie a segnare il tracciato. Dimenticandosi però di riportare un dato: ovvero, che il suo percorso in Europa, nonostante le ottime rose che ha sempre gestito, è stato discutibile in almeno 3 annate su 5, e che nella stagione attuale - paradossalmente, nonostante avesse la rosa più forte e completa - è riuscito a perdere addirittura il 40% delle partite giocate.

Gli stessi risultati che lo premiano in Italia, quindi, al netto del gioco, lo penalizzano al di fuori di essa. E per una squadra che ha solo da perdere, nel giocare il Campionato, perché vincendolo può semplicemente raggiungere il suo risultato minimo, ovviamente questo rappresenta un handicap.

Non va comunque trascurato neanche il terzo punto, che sinora abbiamo scientemente trascurato.

Non è un caso se la Juventus ha provato a portar via Guardiola da Manchester - oggi, un'impresa difficilissima da realizzare, per diversi motivi: sempre a meno che il FPF non decida di incidere sul City - e s'è già messa in contatto con l'entourage di Sarri per capire se davvero intenda lasciare Londra a prescindere dall'esito della finale di Europa League. Il senso alla base di queste due trattative è evidente: è arrivato il momento in cui la società, sospinta anche dalla "volontà popolare" (vedi punto precedente), ha realizzato che forse la strada del "risultatismo" non è proprio la più indicata per raggiungere il suo vero target aziendal-sportivo.

Forse, e ribadiamo, forse - provandoci a mettere, dubitativi, nei panni della società stessa -, il modo giusto per ambire a rialzare la Coppa dalle grandi orecchie dopo quasi un quarto di secolo è un'altra, e prevede che si passi attraverso non la semplice intensità, solidità, e gestione oculata di risorse ed episodi, ma piuttosto lavorando a tutta una serie di raffinati automatismi e schemi funzionali, che in questi anni, al di là delle vittorie in ambito nazionale, non si sono mai visti.

Inzaghi e Mihajlovic, così come anche Deschamps, da questo punto di vista, sono tutte seconde scelte, ma in realtà valutate a fondo. La natura stessa con cui concepiscono il calcio gli ultimi tre, sfumature a parte, è assai più vicina alla mentalità di Allegri e della Juventus stessa rispetto ai primi due. Un paradosso, potrebbe sembrare, ma non lo è. Ecco perché, a proposito di parole e concetti ripetuti allo sfinimento, oggi, all’Allianz Stadium l'altra parola chiave di Max è stata DNA

Un insieme infinito di informazioni genetiche che definiscono, evidentemente, non solo le persone, ma, simbolicamente, anche le squadre. E che fanno sì che vincere la Champions a Torino sia molto, molto difficile. Quasi impossibile, anche per chi sa solo vincere in Italia. Scarna, come spiegazione? Beh, sì, ma indirettamente, e freudianamente, forse, è anche quella che ha dato Max parlando di DNA. 

Se la società, in definitiva, deciderà di sostituirlo con Sarri, Guardiola, un Sarri o un Guardiola, allora a quel punto vorrà dire che proverà ad autoimporsi una sorta di mutazione genetica, sapendo anche di incorrere in un poco affascinante rischio di rigetto. 

Linearità, invece, vorrebbe che ci si provasse a costruire in casa un nuovo Conte, o un nuovo Allegri, e da questo punto di vista, per un'infinità di motivi, le loro alternative - e tra queste, da quel che ci è dato sapere, ad oggi è Simoncino Inzaghi a svettare per distacco - sembrerebbero, oltre che meno costose, anche più coerenti. 

Comunque vada saremo qui, a parlarne, come sempre. 

Consapevoli però del fatto che, sia che si segua, sia che non si segua il DNA della Juventus, prendere il posto di Allegri sarà tutt'altro che facile, e non solo per l'inevitabile paragone che si farà, rispetto ai risultati. 

Una consapevolezza che sarà stata accuratamente valutata anche dai vertici della Signora. 

Almeno si spera.