A parere di fior di etimologi, la parola "truffa" deriva dal francese "truffe" (tartufo), in quanto già nell'antichità il prezioso tubero veniva utilizzato per ingannare ignare e golose vittime. E l'espressione semantica stessa "essere un tartufo" viene usata come metaforica espressione dell'essere falsi, ipocriti, impostori, soprattutto nascondendo mire opportunistiche dietro un atteggiamento di assoluta onestà.
L'allusione è alla celebre commedia Le Tartuffe di Molière: su questo etimo, difatti, si innesta il termine "tartuffe", con gli stessi significati di "truffe", ma usato soprattutto in senso figurato. E Tartufo è anche il protagonista della succitata opera di Molière: la commedia sull'ipocrisia per eccellenza, in cui si narrano le vicende di Orgone, il patriarca di una famiglia agiata, irretito dai modi garbati che abilmente celano la profonda ipocrisia del giovane Tartufo, un arrampicatore sociale ante litteram che, fingendo abilmente sentimenti profondi, lo convince ad offrirgli tutto il suo patrimonio e in più la mano della figlia Marianna. Solo l'intervento della moglie Elvira smaschera le vere intenzioni di Tartufo. E, per riuscirci, Elvira convince il marito a restare nascosto sotto ad un tavolo durante una sua conversazione con il Tartufo, durante la quale riesce a farlo confessare. Insomma, quella che oggi, con gli strumenti e la tecnologia attuale, definiremmo un' "intercettazione". Vi ricorda qualcosa?
Italia, Mondo, 2011. Un paese che ha ben radicata nella sua cultura e nella sua storia una viscerale passione per il calcio, si trova nuovamente ad essere turbato da uno scandalo che ne altera la sensibilità emotiva, e fa raffiorare alla memoria, come se ce ne fosse bisogno, una nuova coltre di sospetti ed ipocrisie che ne inaridiscono la morbosa dedizione.
Di simil gogna, è fuor di dubbio, certo noi amatori ed egocentrici viveur del pallone non avevamo bisogno. Difatti, parliamo del quarto grande tumulto che coinvolge l'intero emisfero italico del calcio, dopo il primo calcioscommesse del 1980, il ritorno dell'ambiguità del secondo calcioscommesse (1986), e la calciopoli di solo un lustro addietro (tutti in rigorosissima iniziale minuscola, come se sminuirne l'impatto grafico ci fosse d' un qualche sgravio di coscienza).
Nel merito dell'inchiesta, per motivi che andremo ad esplodere successivamente, non vogliamo nemmeno entrare. Ci limitiamo, in tal frangente, e solo per meri motivi di cronaca, a narrare le ventilate - giustizialisti mai, ma nemmeno farfalloni ed ingenui sognatori - gesta d'uno sparuto (almeno si spera) gruppo di persone che, dello sport che hanno deciso di angustiare con blasfeme intenzioni, si sono nutrite fino all'altro ieri. Cannibalismo etico, lo definiremmo.
Insieme a costoro, tanto per rimpinguare il cianuro, una disdicevole corte di malfattori comuni, sulla cui mefistofelica morale evitiamo proprio di soffermarci. Gente che la società si guarda bene dal raccomandare, ma che poi, messa di fronte ad opportunità economiche allettanti, trasforma in interlocutori prioritari.
E' di queste persone che vogliamo anzitutto disquisire. Della loro ripugnante ipocrisia, mista al loro strumentale arrivismo. Anzi, meglio: del loro essere intrinsecamente Tartufi, proprio come il protagonista in negativo del pensiero di Molière, un arrivista che usa l'ipocrisia come strumento per raggiungere i propri scopi. Proprio come tutti coloro che - dopo che la cosa verrà accertata, per carità, a costo di ripeterci - hanno contribuito, privilegiati dall'essere appartenenti ad un'elite professionale, quella calcistica, ad alterare risultati delle partite, per permettere di manovrare le scommesse. Arrivati al punto - machiavellici ed aridi coyotes, avidi di carogne, tal'è quella del calcio italiano - di dare un prezzo ed un prezziario ad un gioco. Perchè di ludus, a meno di tutto ciò che vi si circoscrive fisiologicamente - stampiamocelo a chiare lettere nella memoria, per non dimenticarlo mai e tramandarlo ai nostri figli - si tratta, ancora, per fortuna. O quasi. Almeno così continuano ad insegnarci i bambini, che riescono a trovare, da decenni, financo in un piccolo sterrato ed in uno squallido supertele un'emozione così grande da fargli percorrere chilometri di autostrada del piacere.
E che, come è giusto che sia, i pomeriggi non li passano a fare calcio, ma a giocare a pallone. Continuate così, squallidi Tartufi, perseguite pure la strada della demolizione della passione. E vi ritroverete, un giorno, a non più essere acclamati da folle di festanti ragazzini, come dai tempi dei tempi accade, per vostra giusta compiacenza, in ogni angolo del globo. Sarà quello il momento in cui si spegneranno le candide anime anche di noi adulti. Ed in cui quel vostro e soprattutto nostro mondo, archetipo del piacere, si ridurrà ad esile ed asfissiante coniugazione del verbo avere.
A noi, dei contenuti, poco interessa, dicevamo prima. Non perchè non in grado di entrare del merito, siatene certi, o vogliosi di capirne alcuni desolati e desolanti risvolti. Ma solo per una questione di darwiniana autodifesa della propria autenticità morale. Noi, nelle vostre lordure, nel vostro essere Tartufi, non vogliamo nemmeno entrare. Perchè ripudiamo i ripugnanti frangenti del nostro giocattolo. E preferiamo professare il nostro piacere con lo stesso genuino candore dei bimbi che in questo zozzume non meritano d'esser annegati. E lo facciamo in maniera autoconsapevole ed automatica. Non è un caso che un ragazzino, messo davanti ai telegiornali sportivi, che in questi giorni profondono ricatti, sospetti e malaffare, abbia come naturale tendenza quella di aspettare i servizi successivi. Magari di calciomercato, meglio se di reminding di momenti d'oro, di replay di serpentine e rovesciate; di sorrisi d'esultanza, di capriole e di inebriante e incontenibile godimento.
Perchè di questo il pallone è carnificazione. Non - o almeno non solo - del cinismo dei Tarfufi, e di chi offre loro il fianco. Perchè la colpa degli avvilenti peccati non è mai solo colpa dei Tartufi. Non nascono i Tartufi se la società non è disposta ad accoglierli: è la società stessa che è sotto accusa per Molière, e non tanto uno scellerato fin troppo scoperto. Proprio come la nostra società del calcio. Che evidentemente cova al suo interno altrettanto avidi fiancheggiatori. Una schiera di languidi arrivisti, di cui certo noi non facciamo parte.
O almeno speriamo di non far parte, fingendo impavido animo di fanciullesco candore. Consci di esser in grado di perseguirvi, ora e sempre, costrigendovi magari alle lacrime. Alla vostra caccia, sulle vostre orme, incutendovi timore, furenti, rapaci. Proprio come rabbiosi cani da tartufi.
Alfredo De Vuono
a.devuono@fantacalcio.it