“Avete presente la teoria del piano inclinato? No? Ve la spiego. Se mettete una pallina su un piano inclinato la pallina comincia a scendere, e per quanto impercettibile sia l’inclinazione, inizia correre e correre sempre più veloce. Fermarla, è impossibile. Ma per fortuna gli uomini non sono palline: basta un gesto, un’occhiata, una frase qualsiasi a fermare il corso delle cose.”

Di fisica penso di capirne un po', ma capisco che in questa sede entrare nel merito del principio di conservazione dell'energia e di quel maledetto seno di alfa possa essere quanto meno fuori luogo. Vi basti sapere che quanto invece spiegava il buon Aldo Baglio, in un celebre film (che sta per compiere 20, anni, rendetevi conto di quanto stiamo invecchiando) del suo trio, è effettivamente assimilabile alla realtà. 

Se le cose vanno male, per farla corta, per inerzia è quasi sicuro che vadano ancora peggio, e viceversa. Invertire la rotta non solo non è facile, ma talvolta è addirittura impossibile.

Una sorta di immancabile e immutabile legge di Murphy allargata e applicata alla vita, alla quotidianità. Al fantacalcio. E, ovviamente, al calcio.

Juventus-Milan 2-1 (getty)

+

Mentre scriviamo, il Milan è ancora 4° in classifica, ma può ancora essere scavalcato dall'Atalanta e anche, virtualmente, dalla Lazio che ha due gare in meno.

Insomma, il quarto posto è, dopo tre partite giocate nel peggiore dei modi, teoricamente perduto. Attenzione, tre e non quattro: perché a Torino, in quella che sulla carta era probabilmente la più difficile delle gare di questo ciclo, la squadra s'è mossa bene, e poteva non solo pareggiarla, ma anche vincerla. E allora, perché l'ha persa?

Beh, anzitutto perché la Juventus, che anche non disponeva di Douglas, Cuadrado, Ronaldo, Caceres, Perin e Barzagli, e lasciava inizialmente fuori Khedira, Chiellini e Cancelo, ha disposto di tre cambi devastanti. E che, in effetti, hanno devastato la partita: non a caso sono stati il break di Pjanic e la freddezza di Kean a deciderla. C'è stata, certo, la goffa entrata di Musacchio su Dybala, ma anche - e a posteriori non risultano marginali - le decisioni arbitrali sui potenziali rigori non concessi al Milan (Mandzukic su Romagnoli e Castillejo, e soprattutto il mani evidente di Alex Sandro). 

Insomma, come sempre accade e la teoria del piano inclinato inesorabilmente narra, quando le cose prendono una brutta piega si fa fatica a cambiare marcia. E questo, per il Milan, purtroppo vale sia per quanto riguarda le ultime partite che nel microcosmo dei quasi 100 minuti dello Stadium. Fateci caso: dal gol di Vecino dopo una manciatina di secondi nel derby, qualsiasi singolo accadimento è andato storto, e ha iniziato a far rotolare gli eventi verso il basso, proprio come la perfettamente sferica pallina che sfrutta l'inclinazione del piano inclinato per prendere velocità. 

Il Milan poteva cambiare le cose? Sì, ma non ce l'ha fatta. E visto che quando possibile evitiamo sempre di appigliarci alla sfortuna e al caso, proviamo anche a spiegare le cose sotto un altro punto di vista. Che risiede, in primis, nella condizione dei singoli, non solo atletica. Perché la stessa, granitica, difesa che, da gennaio in poi, aveva garantito la scalata alle alte sfere del campionato, da almeno un mese ha smesso di esserci, e sotto tutti i punti di vista. C'è, poi, un enorme problema di prolificità: perché se nessuno degli attaccanti esterni trova il gol da mesi, e se i centrocampisti a loro volta non si inseriscono mai in area, e l'unico modo di fare gol è sempre e comunque quello che porta a Piatek, allora o l'allenatore pecca in risorse tattiche, o quelli che girano intorno a Piatek non sono alla sua altezza. 

Al di là delle motivazioni della lenta ma inesorabile debacle, l'appiglio resta la prestazione, buona, offerta anche in un campo difficile sotto il profilo ambientale come quello torinese. E, di rimando, la speranza che questa possa servire a inculcare fiducia, autostima, consapevolezza dei propri mezzi, e magari bastare. A cosa?

Beh, a fermare la pallina. Che al momento, però, viaggia veloce come la luce. Anzi, come il buio. Pesto più che mai, e lungo un lustro. Quello trascorso senza sentire neanche lontanamente quel magnifico inno trilingue scritto da Tony Britten nel 1992.