Donne al volante per le strade. Donne pilota in Formula E. Donne pilota d'aereo. Donne vigili del fuoco. 

Donne dirigenti della Federcalcio. 

E, dulcis in fundo, donne spettatrici. Del gioco più bello del mondo. Del calcio, del grande calcio: e, per una volta, anche di una partita che contempli dei campioni, campioni veri, in campo. Oltre che la stella più fulgida e universalmente riconosciuta del calcio stesso. Cristiano Ronaldo, che le tifose saudite attendono di vedere dal vivo, inevitabilmente, come fosse il Messia.

Quelli che abbiamo citato sono i diritti acquisiti dalle donne in Arabia Saudita nel solo 2018

Tre anni prima avevano iniziato, finalmente, anche a partecipare alle elezioni (sia da elettrici che da candidate), ma tutto ciò non è certo sufficiente a risolvere gli enormi problemi e colmare le gravose lacune, non solo nell'ambito dei diritti umani, dell'Arabia Saudita

Dove, notizia degli ultimissimi tempi, purtroppo i giornalisti dissidenti vengono ancora uccisi. 

Da questo punto di vista - ahimé! - sono concorde, e per la prima volta della mia vita, con Matteo Salvini. Ovvero, il nostro Ministro dell'Interno, che nelle ultime ore ha iniziato la sua personale crociata (anche) contro la scelta del nostro calcio di migrare a Jeddah, in occasione della Supercoppa Italiana che si giocherà tra una decina di giorni, appunto, al King Abdullah Sports City Stadium.

Un trofeo che, per inciso, si gioca lontano dall'Italia sempre più spesso, dal '93, e che più volte s'è già giocato sia in Cina (dove le donne non madri rischiano di essere considerate “avanzi” della società) che in Qatar (dove la compagnia aerea di bandiera assume solo donne single), oltre che, nella sua versione 2002, nella Tripoli di un certo Gheddafi, su un terreno di gioco ai limiti della praticabilità (con solo 7 donne all'interno impianto, e nessuna in veste di tifosa). 

La morale degli italiani, e quella, casualmente, spiccata, di alcuni esponenti politici (che tra l'altro non mi sembra abbiano fatto poi così tanto, per i diritti delle donne saudite), s'è però risvegliata solo ora, a pochi giorni dall'evento che decreterà con tutta probabilità che è ancora la Juventus l'unica dominatrice del nostro pallone, anche molto lontano dall'Italia.

Forse perché il calcio è l'arma comunicativa giusta - perché popolare e trasversale - da utilizzare per rendersi più politicamente corretti ed eticamente democratici del proprio pensiero? Per alcuni, può essere. E di certo hanno preso la palla al balzo, visto che i rapporti commerciali del Belpaese con quello saudita vanno avanti, e floridi, da tempo inaudito. Eppure, bastano solo 90 minuti giocati da due squadre italiane in terra araba a smuovere le coscienze. Comodo, no?

Quel che dovrebbe far ragionare, invece, e riadattare le suddette coscienze potrebbe invece essere quel che di buono può rappresentare, il nostro calcio, in quella terra, nella sua espressione massima ed in un'occasione, fortunatamente, non unica, né rara: perché è già da tempo che le donne possono finalmente bearsene. Con delle limitazioni, è vero. Così come, sempre con dei vincoli, possono compiere azioni e gesti quotidiani, almeno ai nostri occhi, che però illuminano i loro, come raccontavamo all'inizio. Tra questi ora c'è anche il calcio: negli stati sauditi sono state difatti riservate sezioni riservate alle donne, costruiti bagni femminili e aree di preghiera dedicate.  

E Juve-Milan sarà la primissima occasione, per le donne saudite, di scoprire questo gioco in una forma ed in un contenuto assai diversi dalle epiche sfide - con tutto il rispetto - tra l'Al-Hilal di Carlos Eduardo e Al-Nassr di Bruno Uvini.

Il calcio di certo non sarà in grado di cambiare il mondo, ma può contribuire, a suo modo, a farlo. E togliere la possibilità, a delle donne che sinora mai hanno avuto modo di assistere dal vivo ad una partita di questo valore sportivo (e competitivo, al di là dell'oggettivo gap tecnico che sussiste oggi tra le due contendenti), di goderne, sarebbe un gesto limitante più nei confronti loro, che in quelli della morale nostra o di qualcun altro. L'obiettivo, anzi, dovrebbe essere quello di esportare il più possibile la cultura occidentale, nelle sue forme più dilaganti. 

Anche nella sua forma più accesa, ovvero quella della lotta per i diritti civili e umani: una scelta anche di vita che finalmente, in terra araba, potrebbe anche trovare terreno fertile, considerato che da qualche settimana si vive anche di protesta. E, nel dettaglio, in veste di “inside out abaya“, ovvero della simbologia iconica dell'abito tradizionale usato dalle donne in Arabia, indossato al contrario.  

La protesta prosegue, quindi, ma va anche detto che qualcosa sta cambiando, eccome. Le riforme messe in atto dal giovane principe ereditarioMohammed bin Salman hanno portato all'elaborazione e all'applicazione di un piano strategico ed economico (il Saudi Vision 2030) atto a permettere all'economia del regno di essere indipendente, ma che contempla anche alcune riforme che sono state ben accolte dal mondo femminile. L'ultima volta che è stato pubblicamente interrogato in merito alla parità dei diritti, il 33enne Primo Vice Primo ministro e ministro della Difesa Mohammed ha risposto, seccamente: "Assolutamente. Siamo tutti esseri umani e non c'è differenza".

La verità, nonostante gli annunci trionfali, è che il processo è appena iniziato, e deve ancora concretizzarsi. E nulla verrà sostanzialmente cambiato, né in meglio né in peggio, né per la nostra morale, né per i diritti delle donne saudite, da una partita di Supercoppa.

A livello simbolico, però, ciò che il (nostro) calcio può fare, è tanto. E' regalare un'emozione e un'occasione: di guardare da vicino e dal vivo quanto, di bello, la mancanza della libertà ha sinora negato. E far sognare. La necessaria base di partenza per ogni battaglia vinta, ci ha insegnato la storia. 

Un vincitore, d'altro canto, è o non è, semplicemente, un sognatore che non si è arreso? Fidatevi, non solo nel calcio.