Tulua è una città della Valle di Cauca, nel cuore della Colombia: centro dell’industria, della salsa e della rumba. È il capodanno del 1995: un giocatore famoso, scortato da una guardia del corpo e dal fratello, fa il suo trionfale ingresso ad una grande festa. Si balla, si beve, poi qualcuno tira fuori una pistola, e spara due colpi in aria. Il panico: i vicini chiamano la polizia, che arriva sul posto e perquisisce le auto: in una trovano due revolver calibro 7,65 non registrate. Possesso illegale d’armi: in Colombia si rischiano dai 2 ai 4 anni di galera. Si risale al proprietario della macchina, che si scoprirà essere proprio del giocatore famoso: di Tino Asprilla. L’attaccante, però, è già tornato in Italia: gioca nel Parma, dopo la pausa natalizia c’è la sfida scudetto contro la Juventus. Secondo la sua versione, ovviamente, le pistole gli appartengono: la società bolla l’episodio come una ragazzata, insabbia la faccenda. Parma – Juventus finirà 1-3: Asprilla servirà l’assist a Dino Baggio per il momentaneo 1-0. Pochi giorni dopo tornerà in Colombia per il processo: verrà giudicato non colpevole.
Santiago è la capitale del Cile, la prima città del Sudamerica per qualità della vita: centro governativo, finanziario e culturale. È la fine di maggio del 2003: un giocatore famoso si presenta sul campo d’allenamento dell’Universidad, la squadra per cui è tesserato, nonostante sia fuori per infortunio. È un momento delicato della stagione: la squadra si prepara ad affrontare l’andata dei playoff contro l’Universidad de Conception, sul campo regna la concentrazione assoluta; poi qualcuno tira fuori una pistola, e spara due colpi in aria. Il panico: dirigenti e giocatori corrono, cercano riparo senza nemmeno chiedersi chi stia sparando e per quale motivo. Ed eccolo, lo vedono arrivare: il giocatore famoso, vestito d’un sorriso: Tino Asprilla. Erano colpi a salve, l’aveva fatto per spronare i suoi compagni in vista dell’importante impegno. L’andata della sfida con il Conception, fuori casa, finirà 0-0; il ritorno, 3-3: fu la fine del campionato di Apertura della squadra di Santiago.
Ci sono state altre pistole, nella vita di Faustino Hernan Asprilla Hinestroza detto Tino. Anche perché la sua carriera è stata benedetta da due revolver. E non parliamo di quelli che furono ritrovati nella sua macchina a Tulua, il primo giorno del 1995: piuttosto, dei suoi piedi: del destro, e del sinistro. Due bocche di fuoco pronte ad esplodere in ogni momento quando si ritrovavano davanti un pallone; due bocche di fuoco che all’occorrenza diventavano fioretti da scherma o ruote motrici, perché il colombiano riusciva ad equilibrare la potenza del 9 con la classe del 10 e la velocità del 7. Se gli avessero montato un cervello diverso, probabilmente lo staremo ricordando come uno dei più grandi della storia del calcio.

Asprilla con la maglia della Colombia a USA 94 (getty images)
Partì dal basso, Tino. Da San Antonio, quartiere povero di Tulua. Il padre lavorava in una piantagione di zucchero, e nonostante tutto riuscì a garantire un’infanzia dignitosa ai suoi sette figli. Lui, Faustino, si mise in testa di giocare a pallone, nonostante il padre non volesse: si fece cullare nell’Escuela Carlos Sarmiento Lora, dove dava calci al pallone come se fosse la sua vita, quella che voleva cambiare. Poi un anno al Cucuta Deportivo, non ancora ventenne; e l’Atletico Nacional, una delle squadre più titolate della Colombia. Il club di Medellin sborsò ben 40 milioni di pesos per acquistarlo: per i tempi, una cifra astronomica. Si dice, ormai neanche troppo sottovoce, che dietro il Nacional ci fosse l’ingombrante e colossale figura di Pablo Escobar: forse perché il cartello più potente del Sudamerica aveva la base proprio lì, a Medellin, nel nord del paese; forse perché il calcio colombiano viveva un buon momento, e forniva un ottimo canale per pulire il denaro della droga; o forse perché Escobar era un grande appassionato di calcio, tanto che La Catedral, la sua prigione dorata, diventava occasionalmente teatro di agguerrite partite a cui prendevano parte, fra gli altri, gente come René Higuita e Carlos Valderrama. Leggenda vuole che, 78 partite e 38 goal dopo, sia stato proprio il narcos per antonomasia a dare il benestare per la cessione di Asprilla. Tino arrivò in Italia: doveva andare alla Fiorentina, lo prese il Parma.
I ducali avevano conquistato la Serie A per la prima volta nella loro storia solo due anni prima, nel 1990. Di quella squadra facevano parte una serie di promesse interessanti, quelli che sarebbero diventati i perni del Parma degli anni ’90: Bucci, Apolloni, Minotti, Osio e Melli. In panchina c’era Nevio Scala, altro simbolo di quel periodo d’oro. Alla prima stagione nel massimo campionato raggiunsero il sesto posto, e la qualificazione in Coppa UEFA; l’anno dopo, il primo trofeo: la Coppa Italia. Asprilla arrivò proprio dopo questa stagione, nel 1992/1993: aveva ventidue anni e, dopo un periodo di rodaggio, divenne la spalla d’attacco di Alessandro Melli.

Asprilla al primo anno a Parma (getty images)
Gli bastò poco per farsi riconoscere in Emilia. Avrebbe potuto fare tante cose, appena arrivato in Italia, ed invece comprò cento rubinetti d’acciaio e li mandò alla famiglia, in Colombia. Così, senza apparente motivo. Si fece poi una discreta reputazione al centro storico di Parma, dove aveva casa: i vicini si lamentavano per le continue feste e la rumba che risuonava fino alle ore piccole: lo convinsero a trasferirsi. Ciononostante, fra Asprilla e Parma sbocciò l’amore: sempre disponibile con i tifosi, simpatia contagiosa, una testa matta col sorriso perenne. Lo incontravi in un bar il venerdì notte ubriaco fradicio, racconta qualcuno, e poi la domenica segnava; andava a pesca, ricorda qualcun altro, e si fermava a parlare con tutti, senza menarsela come prevede l’odierna ritualità di molti calciatori.
Uno così entra nel cuore di tutti. Se poi ci metti che la sua prima stagione italiana fu ottima, si fa un piccolo passo verso la mitologia: nel campionato 1992/1993, 27 partite, 3 assist, 7 goal. E, fra questi, un goal che vale la leggenda. Perché fu proprio lui, il colombiano festaiolo che comprava rubinetti, a mandare in pezzi il ciclo del Milan invincibile. Successe a San Siro il 21 marzo 1993, esattamente 21 anni fa: nei rossoneri non c’erano Gullit e Van Basten, giocavano Papin, Savicevic e Massaro; a vederli in campo, sembravano ogni giornata un po’ più precari, un po’ meno invincibili: si capiva che qualcosa poteva andare storto, proprio quel pomeriggio, 58 partite dopo l’ultima sconfitta in campionato. E qualcosa andò storto: una calcio di punizione perfetto di Asprilla sorprese Sebastiano Rossi: tre capriole per festeggiare, dieci anni prima di Oba Oba Martins.
Oltre alla ribalta della Serie A, il Parma offre a Tino anche la possibilità di confrontarsi contro grandi club europei nella Coppa delle Coppe. Ed anche lì è protagonista. 6 aprile 1993, semifinale d’andata contro l’Atletico Madrid in un Vicente Calderon stracolmo: vincono i gialloblu 2-1, una doppietta di Asprilla risponde all’iniziale vantaggio di Luis Garcia.
La partita di ritorno è prevista due settimane dopo, ma il colombiano non vi prenderà parte a causa di un infortunio: era tornato a casa per le feste di Pasqua, Tino, ed al rientro a Parma si presentò con il piede ingessato. La prima versione ufficiale vede Asprilla camminare, mentre era sul bordo della piscina della sua casa di Tulua, sui cocci di una bottiglia caduta a sua moglie Catalina. La vera verità è però un’altra: un autobus (il 16, Bogotà – Tulua) era stato coinvolto in un incidente con la macchina del Tino, che si lanciò alla ricerca della vendetta contro l’autista: calci alla porta, vetri spaccati, un mese di stop: la stagione di Asprilla finisce lì. Il Parma vince la Coppa delle Coppe ed arriva terzo in campionato.
Il 1993 finisce come era iniziato: gloria in campo, chiacchiere fuori. A fine anno c’è il primo approccio di Tino con un mondo che gli strizzerà spesso l’occhio: il porno. Asprilla posa nudo per un giornale colombiano ed ha una relazione con Petra Scarbach, attrice nel giro del re Riccardo Schicchi. Nonostante la sua faccia compaia sui rotocalchi di mezzo mondo, quando entra il campo è sempre una gioia per gli amanti del calcio. E per tutta la Colombia, ormai abituata a svegliarsi all’alba per seguire le gesta del figliol prodigo che gioca a pallone dall’altra parte del pianeta.
L’incoronazione definitiva avviene il 5 settembre 1993, al Monumental di Buenos Aires: la Colombia incontra l’Argentina, è l’ultima partita per le qualificazioni al mondiale americano: chi vince, va negli States senza dover passare per lo spareggio con l’Australia. All’andata, Asprilla vede la partita dalla panchina, non senza polemiche: la Colombia vince 2-1, ma non basta: bisogna ripetersi in Argentina. E lì, al Monumental, Tino gioca, ed i Cafeteros stravincono: finisce 5-0, l’attaccante del Parma segna due goal e fa un assist per il goal della manita. Buenos Aires si alza in piedi ed applaude. Tino è consacrato ad Eupalla.
La stagione del Parma (era l’anno del primo Zola) finisce con un sesto posto in campionato e con la sconfitta nella finale di Coppa delle Coppe. Poi, i mondiali: la Colombia parte con la benedizione di Pelè, è tra le favorite ed il girone morbido con Romania, Stati Uniti e Svizzera fa ben sperare. Ma il calcio, si sa, è imprevedibile: la squadra sudamericana perde il primo match contro la Romania, ed il secondo impegno è già da dentro e fuori: contro gli Stati Uniti, però, perde di nuovo, anche a causa di una sfortunata autorete di Andres Escobar. La vittoria nell’ultima gara non vale la qualificazione: predestinati ad essere la sorpresa, i colombiani torna a casa con la coda tra le gambe e molte preoccupazioni - perché è sempre un paese particolare, casa loro. Nel volo da Miami a Bogotà, proprio Escobar consiglia a Tino di non uscire, una volta arrivato a casa: potrebbe essere pericoloso, dice. Fatalmente, fu il difensore a non seguire il suo stesso consiglio: alcuni dicono si trovasse al posto sbagliato nel momento sbagliato, altri che il suo autogoal aveva indispettito cartelli ed allibratori: fatto sta che Andres Escobar fu ucciso a Medellin il 2 luglio del 1994.
Tino si riprende dalla tragedia, e torna a Parma per cominciare il campionato. Non sarà una stagione da ricordare dal punto di vista personale, tanto per i sei goal segnati, quanto per l’episodio del capodanno di fuoco che lo accompagnerà fino alla fine della stagione – culminata, comunque, con la vittoria del Parma in Coppa UEFA nella finale tutta italiana contro la Juventus. Tino incolpa mister Scala per i suoi scarsi risultati personali, il Parma lo multa e lui fa di tutto per andare via: ha un pre-accordo con il Leeds, ma decide, con un colpo di teatro, di chiedere scusa e mettersi di nuovo al servizio dei ducali. Saranno gli ultimi mesi della sua prima parentesi italiana, mesi in cui non smetterà di far parlare di sé: ancora durante le feste di Natale, ancora a Tulua: stavolta, Tino picchia un uomo perché ritenuto reo d’avergli rubato il cappello.
Sì: il cappello.
All’inizio del 1996 la dirigenza crociata ha già deciso che sarà l’ultimo anno di Scala, e fa firmare un pre-contratto a Capello: il primo nome sulla lista dei partenti di don Fabio è proprio quello di Asprilla, che a febbraio viene ceduto per 17 miliardi al Newcastle di Kenny Dalglish. Non senza problemi, come da tradizione: gli inglesi non lo trovano in forma, sfruttando il più vecchio luogo comune sui colombiani immaginano che l’attaccante faccia uso di cocaina. Ma i contratti sono stati firmati, ed il Parma minaccia di intervenire per vie legali. Alla fine, il trasferimento va in porto: Inghilterra sia.

Tino al Newcastle (getty images)
Non gioca una partita intera da tre mesi, Tino, quando sbarca oltre manica. Arriva di giovedì, ma attende ancora il visto; la trafila burocratica si completa il venerdì, ed il sabato Asprilla incontra per la prima volta i nuovi compagni, a pranzo: mangia molto e beve una bottiglia di vino. Dopo, Dalglish gli annuncia che andrà in panchina già nella sfida di quel pomeriggio, contro il Middlesbrough: e lui, sorpreso, obbedisce. A 22 minuti dalla fine, con i Magpies sotto per 1-0, il mister decide di mandarlo in campo, e l’ex Parma cambia la partita: segna nonostante il vino, il Newcastle vince 2-1, il St James’ Park comincia ad adorarlo.
Quella Premier, però, finì diversamente da come immaginavano sul Tyne: Shearer e soci perdono i 12 punti di vantaggio accumulati nella prima parte della stagione, ed il campionato va al Manchester United. La stagione successiva comincia con il tappeto rosso della Champions League: è la prima partecipazione della storia del Newcastle alla massima competizione europea. E l’esordio è da spettacolo: al St James’ c’è la sfida con il Barcellona di Rivaldo, Figo e Luis Henrique. Nonostante la passerella, nonostante l’importanza del match, Asprilla arriva tardi allo stadio. In Inghilterra i ritardi non sono tollerati: secondo il regolamento, Dalglish dovrebbe escluderlo dalla formazione titolare. L’ex Liverpool ci pensa, decide di fare uno strappo sperando che paghi: Tino titolare. E paga, eccome: il colombiano segna tre goal, i Magpies vincono 3-2 e si aggiudicano il primo successo nell’Europa che conta. Più tardi, la spiegazione della mancata puntualità: stava facendo sesso con una delle tante fidanzate inglesi. Un episodio che è la perfetta definizione di un’intera carriera.
L’anno del Newcastle, pur cominciato bene, si conclude con un altro secondo posto, ancora una volta dietro allo United. Asprilla giocherà altri sei mesi in Inghilterra: farà ritorno a Parma nel gennaio del 1998, per gli stessi 17 miliardi che lo spedirono in Inghilterra. A 28 anni vuole conquistare di nuovo Parma e, soprattutto, non perdere il mondiale francese. Cosa che poi succederà, ovviamente per il suo caratteraccio: parla senza freni del ct colombiano, la federazione lo esclude. In Emilia vince un’altra Coppa UEFA, nel 1999, ma da seconda scelta: alla fine della stagione, mentre va verso i trent’anni, lascia l’Europa e torna in Sudamerica.
Viaggerà, Tino, prima in Brasile poi in Messico, quindi in Colombia, in Cile, in Argentina e di nuovo a casa, nel Cortulua, la squadra della sua città. Appende gli scarpini al chiodo il 15 marzo 2005, a 36 anni. Ma non appenderà al chiodo, ancora per qualche anno, le pistole: nel 2008 viene arrestato per aver sparato con una mitragliatrice contro le forze dell’ordine: “mi hanno tenuto in carcere dieci giorni”, dichiarerà poi, “e mi hanno fatto uscire perché non ne potevano più di me”.
Dopo alcune parentesi nei reality colombiani, oggi Faustino Hernan Asprilla Hinestroza sembra essersi calmato: gestisce una scuola calcio che porta il suo nome ed è salito agli onori delle cronache in maniera indiretta e solo l’anno scorso, quando gli furono offerti settemila euro per girare un porno. Per un tombeur de femmes esibizionista e giocherellone come lui poteva sembrare una simpatica occasione, ed invece arrivò il rifiuto.
Forse i soldi erano pochi.
Ha riposto le colt nella fondina, il nuovo Tino: a sparare non sono più né i revolver né i suoi piedi, solo la sua bocca. E quando spara, incide nel marmo. Roba da scolpire nel libro del calcio degli anni ’90. Quel calcio che avrebbe potuto essere tutto suo, e che non lo è stato perché lui aveva un caratteraccio, e la discontinuità, e la sregolatezza, e poi le feste, le donne, l’alcool. O, forse, non lo è stato per quel ginocchio operato prima del suo arrivo in Italia e che, secondo lui, è rimasto sempre malandato. Quel calcio non sarà stato tutto suo per questo ed altri mille motivi, ma è riuscito comunque a mettere la sua firma nella storia del pallone.
E, a ben vedere, non è nemmeno troppo nascosta.
“Oggi una pippa guadagna in un mese quanto Van Basten in un anno. E non è che veda un Van Basten in giro.”
“Oggi è più semplice fare l’attaccante: non ti trovi di fronte Baresi e Vierchowod. Quelli me li sogno ancora la notte.”
“Se avessi indossato le maglie di Juventus, Milan o Inter, forse avrei vinto anche il Pallone d’Oro. Se ce l’ha fatta Nedved…”
Antonio Cristiano
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