Mattia Caldara a 360 gradi. Il centrale del Venezia, destinato a chiudere la stagione coi lagunari malgrado l'idea del Milan di farlo tornare alla base a gennaio, si è raccontato nell'intervista concessa a "Cronache di Spogliatoio".

Sul Milan

"Il primo infortunio al tendine d’Achille diciamo che non me l’aspettavo. Perché non avevo sensazioni particolari, quando mi sono fatto male ho sentito una forte fitta e pensavo che qualcuno mi avesse dato un calcio da dietro. Poi mi sono girato e dietro non c’era nessuno. C’era Cutrone a due metri da me, ma era impossibile che mi avesse dato un calcio. Allora lì è stata la prima vera botta mentale perché ho capito che non era una cosa da poco. Infatti fino all’ultimo non sapevano se farmi l’operazione perché il tendine era rimasto attaccato per il 10%. Per il dottore in Finlandia non era da operare, e infatti sono dovuto stare per 50 giorni con il gesso senza fare nulla. Dopo 4-5 mesi cominciavo a star bene, era ormai marzo/aprile. Ho fatto la partita di Coppa Italia contro la Lazio e giocando mi sentivo sempre meglio, una situazione che non sentivo da un po’: in allenamento sentivo sempre un po’ di fastidi, quando sai di non stare proprio bene bene".

Sull'Atalanta

"Ho avuto la possibilità di tornare a Bergamo e ho pensato che conoscendo già come giocano e visto che hanno ancora fiducia in me allora lì faccio prima a recuperare, anche a livello mentale. Allora ho preso questa opportunità di tornare a Bergamo: il Milan mi ha dato la possibilità di andare a giocare, anche secondo loro era la cosa migliore per recuperare la testa. Sono arrivato a Bergamo a metà gennaio e ho fatto la partita contro la Fiorentina, la prima partita ufficiale dopo che mi ero fatto male. Ho fatto settanta minuti e ho pensato che fosse andata bene. Poi ho fatto altre due partite e stavo iniziando a prendere il ritmo. È arrivata la partita contro il Valencia a San Siro: non dovevo giocare ma si è fatto male Djimsiti e sono partito dall’inizio. È il ricordo più bello che ho dopo l’infortunio, ho giocato 70 minuti in un quarto di finale di Champions League e abbiamo vinto. Poi c’è stato il lockdown, quando siamo rientrati ho avuto un altro problema al tendine rotuleo del ginocchio, e anche lì è stata dura. Ho pensato: “Ma come faccio? Ho 25-26 anni e ogni due per tre mi faccio qualcosa, ma come è possibile?”. Lì è cominciato dentro di me uno studio, perché non è possibile a 26 anni aver avuto così tanti infortuni, ci sarà stato qualcosa in cui avrò sbagliato. Quindi da lì ho cominciato a cambiare un po’ abitudini, anche quello che mangiavo. Ho provato a mangiare più verdura, e ho cominciato a pensare di dover cambiare qualcosa. Così non potevo andare avanti, non era possibile. O geneticamente ero una mezza cartuccia o c’era qualcosa che non andava".

Sul possibile ritiro

"Quando non riesci di venire a capo di una situazione che dura da tanto tempo c’è stato un mezzo secondo in cui ho pensato di dire… non basta, non lo so… Ma c’era qualcosa che dicevo: “Cavolo, non riesco ad essere felice perché non riesco più a fare quello che voglio e come voglio”. Mi sentivo limitata. C’è stato mezzo secondo che l’ho pensato, ma mi sono detto che non potevo mollare adesso. Mi sono detto che dovevo fare io qualcosa in più per poter fare qualcosa per questa nebbia che avevo in testa. E infatti fortunatamente è stato così”.

Caldara (Getty)
Caldara (Getty)