Rieccolo: Roque Júnior. Campione mondiale col Brasile nel 2002, campione europeo col Milan 2002-2003 nella finale decisa ai rigori contro la Juventus. L’ex difensore centrale ha rilasciato un'intervista ai microfoni della Gazzetta dello Sport in cui consiglia di puntare su alcuni giovani calciatori rossoneri. Ecco le sue dichiarazioni: 

Come trascorrere questo periodo difficile?

«A casa. Mi prendo cura di tutti perché stiano bene. Moglie, figli, genitori. Ho tre figli, tutti giocano a basket. Uno di loro studia pure negli Stati Uniti, ma ora sono qui con noi».

Il campionato italiano si è fermato col Milan al settimo posto. Lo segue?

«Non l’ho visto tanto rispetto agli anni passati. Sono stato in Italia, ma a gennaio, prima che scoppiasse l’emergenza virus».

E Paquetá? Pare che se ne andrà a fine stagione.

«Se il Milan l’ha comprato è perché ha delle qualità. Ma si deve guardare a tutta la squadra non solo a un giocatore. Il momento del Milan non è lo stesso dei tempi di Berlusconi. Ma ci sono sempre tante aspettative per i risultati. E per alcuni ci vuole più tempo per adattarsi».

Che cosa pensa di Duarte?

«A poco a poco potrà inserirsi nella squadra. Lo conosco dal Flamengo. È bravo nell’uno contro uno, ha buona tecnica. In Italia il gioco è collettivo, di squadra, ci si protegge di più in fase di marcatura. Questo aiuta, bisogna essere bravi sia tecnicamente che tatticamente. Léo sa sviluppare il suo calcio».

Che cosa le pare Maldini da direttore tecnico?

«Conosce la cultura del Milan, è una brava persona e può aiutare il club».

E Leonardo, con il quale ha giocato?

«Ha già dimostrato le capacità sia da allenatore che da dirigente. Ora sa come funziona l’organizzazione del club. Stringe buoni rapporti con tutti, soprattutto coi giocatori».

Come fu giocare infortunato alla fine della finale di Champions contro la Juve nel 2003?

«È deludente essere infortunati in una finale. Provai a usare intelligenza e volontà per stare in campo sino alla fine. La sensazione è quella di essere riuscito a fare il mio dovere».

Ora ci sono pochi brasiliani nel Milan. Perché?

«In Brasile c’erano grandi giocatori e il Milan cercava i grandi. Quando un brasiliano va bene alla squadra il club prova ad acquistarne altri. Il Milan l’ha fatto con successo in passato. Ma non dimentichiamo che sul fronte finanziario in passato le cose erano diverse».

Ha il patentino A e B dell’Uefa, al corso di Coverciano. Lì cosa ha imparato di più?

«Dare risalto alla parte individuale di ogni giocatore. Sul fronte collettivo il calcio italiano è già molto forte, sia in fase difensiva che offensiva, ma a volte si toglie un po’ di libertà ai giocatori. Se mi piacerebbe lavorare in Italia? Sì. L’Italia mi piace tanto, mi sento in grado di tornarci, sia da allenatore che da dirigente».