Intervistato ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, Sergio Conceiçao ha parlato così del proprio futuro, dell'esperienza al Milan e di suo figlio Francisco. Di seguito, uno stralcio delle sue parole.

Conceiçao si racconta alla Gazzetta dello Sport

Sergio, l’anno scorso… "veni, vidi, vici". 

"In effetti sì. Ricordo giorni di lavoro intensi a livello di analisi video, di motivazioni e di discorsi per entrare subito nella testa dei calciatori. Battemmo la Juve di mio figlio Cisco e poi l’Inter in rimonta. E piansi". 

E dopo la vittoria, un bel sigaro. 

"Una promessa. I giocatori, che avevano visto dei video, mi chiesero di fumarlo in caso di vittoria. Col Porto l’avevo fatto 11 volte, ovvero dopo aver vinto trofei. L’allenatore che ne ha vinti di più. E quindi l’ho rifatto". 

E stasera a chi ne offrirebbe uno? 

"Non ho favoritismi, e non vorrei parlare neanche di giocatori perché poi è un attimo che scrivono che ci interessano. Vedrò la partita, Bologna e Napoli sono belle da vedere. La sfida tra Conte e Italiano è uno spot per il calcio. Antonio è un ossessionato, come me, e infatti l’ossessione batte il talento. Vincenzo, invece, gioca un bel calcio, tant’è che l’anno scorso abbiamo perso la finale di Coppa Italia contro di lui. Un rimpianto grande". 

Un bilancio dei suoi sei mesi al Milan? 

"Positivi. Dal 2016 a oggi solo due allenatori hanno vinto trofei in rossonero: Pioli, con lo scudetto, e io. Se sommiamo i punti del nostro periodo abbiamo avuto un ritmo da Europa League, quinto posto. I risultati ci sono stati: penso ai due derby vinti e al successo con la Roma. Dispiace per la finale di Coppa Italia, ma alcune cose non mi sono piaciute". 

Del tipo? 

"C’era instabilità a livello societario, attorno alla squadra l’ambiente non era buono. Per questo mi tengo stretto ciò che abbiamo fatto. Inoltre, la dirigenza non mi ha supportato. Le faccio un esempio: dopo aver vinto la Supercoppa giocammo col Cagliari. In quel periodo giravano già le voci che il club stesse seguendo altri allenatori. Io pensavo a lavorare e a vincere, col peso dei risultati. Non ho avuto tempo di lavorare a tutti i livelli".

Sarebbe rimasto? 

"Sì, ma con alcuni cambiamenti". 

I giocatori l’hanno tradita? 

"Mai, anzi, erano con me. L’ha detto anche Theo nell’intervista che avete fatto: dopo il Feyenoord, quando la gente diceva che l’avesse fatto apposta a farsi espellere, io l’ho difeso. In molti mi hanno scritto quando sono andato via. Io pretendo rigore, esigenza e poi relax quando c’è da rilassarsi. Se uno si presenta con ha un chilo in più, arriva in ritardo o cose simili io non posso tollerarlo. Per me, alla fine, i giocatori sono tutti uguali". 

A casa si parla di calcio? 

"Il meno possibile. L’importante è che a cena lascino i telefoni in tasca. L’ho preteso anche al Porto e al Milan. Cisco ha debuttato con me in Portogallo. Nel 2020, durante il lockdown, gli dissi: “Sei hai fame… allora bevi acqua”. Era un po’ cicciottello. Per fare la differenza servono sacrifici e mentalità. Se potessi gli presterei la mia fame. Non che lui non ce l’abbia, anzi, ma comunque io a 16 anni portavo i soldi a casa per mangiare, era diverso. Ma ci ho sempre creduto. E lui anche ci crede". 

In quanti l’hanno cercata? 

"Con la Lazio ho avuto contatti, ma non solo. E anche prima di firmare per l’Al-Itthiad ho avuto offerte. Qui il campionato è competitivo, le ambizioni alte, ci si allena nel pomeriggio e non la mattina. Bisogna adattarsi alle dinamiche culturali. Ma questa è una sfida, e io amo sfide così". 

E in Italia tornerebbe? 

"Certo, so già che lo farò".