Sono passati cinque mesi da quando Theo Hernandez ha lasciato il Milan per accasarsi all'Al-Hilal di Simone Inzaghi, chiudendo la parentesi rossonera durata sei anni.
Oggi l'esterno francese racconta a La Gazzetta dello Sport il suo momento in Arabia Saudita e il rapporto con il nuovo tecnico: "Lui e lo staff mi sfottono per le sei vittorie di fila con l’Inter, ma l’anno scorso abbiamo vinto noi...".
Le parole di Theo Hernandez
"Inzaghi ha detto: 'Andiamo a vincere insieme?'. So che all’Inter lo chiamavano 'demone'. In campo una persona, fuori un’altra: un gentleman. Ogni tanto mi ha fatto qualche battuta sul fatto che l’anno scorso gli ho fatto perdere la Supercoppa qui a Riad, ma anche lo staff mi ricorda i derby o i duelli con Dumfries. Se ho incontrato il Milan? Sì, prima della partita con il Napoli. Quando andai via non riuscii ad abbracciarli tutti come avrei voluto. Mi dispiace che abbiano perso. Ho detto 'bravo' a Bartesaghi, che si merita tutto, e abbracciato Modric, con cui ho giocato a Madrid. Un genio: è di un altro livello".
L'addio al Milan
"La mia priorità era restare. Il Como? Il mio agente non me ne ha mai parlato. Dicevano che avessi chiesto cifre esorbitanti per il rinnovo, che spingessi per la cessione... tutto falso. La direzione che ha preso il club e alcune decisioni non rispecchiano i valori e l’ambizione che mi hanno portato qui. Quando sono arrivato c’erano Massara, Boban e Maldini, il mio idolo. Ibra è un top, ma dopo Paolo è cambiato tutto in peggio. So che ho commesso degli errori, come le espulsioni con la Fiorentina o col Feyenoord, ma siamo umani. Non ero sereno mentalmente e avrei potuto fare meglio, ma i tifosi sanno chi è stato Theo al Milan".
Le presunte aggressioni
"Finalmente ho l’occasione di parlarne: c’è chi vuole rovinarti la vita e la carriera. Sono stato male nel leggere certe cose, ma la mia famiglia sa che non è vero. Il cooling break di Fonseca? È stato ingigantito. Io e Leao eravamo entrati da poco e siamo rimasti lì. Dicevano che non avessimo un bel rapporto con gli allenatori, ma non era vero. Io andavo d’accordo anche con Conceiçao. Lui era autoritario, ma la gente parlava a vanvera.
Avrei meritato un trattamento migliore. Non me l’aspettavo. Alcuni compagni mi spingevano a restare, ma quando un dirigente ti chiama e ti dice 'se resti qui ti mettiamo fuori rosa' io che cosa posso fare? Cerco altro".
Il rapporto con Maldini
"Il giorno in cui mi ha chiamato per incontrarci è stato il più bello della mia vita sportiva. Mi raggiunse a Ibiza e parlammo di fronte a un’aranciata. Non volevo crederci. Se sono diventato ciò che sono, e anche il difensore del Milan con più gol, è grazie a lui. Tuttora siamo sempre in contatto. La sua maglia con dedica mi emoziona: 'Theo, il mio degno erede'.
Mi sono sentito spaesato. L’anno scorso io e Calabria ci presentammo a Milanello con la maglia di Paolo, a qualcuno non andò bene. Hanno strappato una bandiera per nulla. A parte Ibra, la mancanza di milanismo di sente".