Intervenuto ai microfoni del Corriere dello Sport, l'attaccante del Sassuolo Domenico Berardi ha parlato del momento dei neroverdi, soffermandosi sul ritorno in Serie A e sul suo apporto... al Fantacalcio.
Sassuolo, le parole di Berardi
"Venduto al Fantacalcio? Hai fatto bene. Pensa che io non sono nemmeno riuscito a comprarmi. Avevo a disposizione 100 crediti e ne valevo 106. Sono a Sassuolo da quindici anni, nei primi non mi sentivo pronto a lasciare. Negli ultimi cinque o sei ho spinto per andare via. Se mi sono sentito in uscita? Sono sincero, sì. Prima di farmi male avevo trovato l’accordo con un grande club, le soluzioni erano state individuate. Tutte. Ma non chiedermi quale, tanto non te lo dico. Mi è dispiaciuto non poter fare la Champions, non poter giocare per gli obiettivi più alti. La Champions è qualcosa che vorrei provare da sempre.
Passai un mese un po’ così, tra l’arrabbiato e il deluso. Prevalse la gratitudine nei confronti di questo club del quale mi sento e mi fanno sentire la bandiera. Non sono Totti, ma è ugualmente bello e importante. Sassuolo non è Roma, è una questione di dimensioni non solo calcistiche. La Roma è un top club. Gasperini? Non so se ho il fisico per reggerlo.
La vita è piena di sorprese. A me ne ha riservate tante. Da piccolo andavo a dormire con un pallone tra le braccia, stringevo il pallone al posto del peluche. Sognavo di diventare calciatore e ci sono riuscito. Il castello, la Rossanese".
Il ritorno in Serie A
"Non è stato facile. Rottura del tendine d’Achille dopo che ero appena rientrato da un intervento al menisco. Avevo rivisto la luce e sono riprecipitato nel buio totale. Le ho pensate tutte, per la prima volta ho temuto che fosse finita. Il professor Zaffagnini, a Bologna, mi ha aggiustato e dopo due mesi ho ricominciato a lottare. La famiglia mi ha aiutato parecchio. Sono rimasto fuori otto mesi. L’ultimo anno in B mi è servito, anche se - sono sincero - non ho fatto bene. Non ero al cento per cento. È stato utile per ritrovare il campo, la partita, la condizione".
Gli allenatori
"A Di Francesco devo tanto, ha avuto il coraggio di buttarmi nella mischia a diciassette anni. Grosso in questo calcio ci sta benissimo, è uno che si confronta, che ci ascolta. Ma mi sento tanto legato a De Zerbi. Con lui giocavamo col joystick. Maniacale, totalmente assorbito dal lavoro, poteva stare sul campo diciotto ore. Possesso stretto, a campo aperto, la tecnica con le sagome. Se sbagliavi un passaggio semplice e spedivi il pallone sul piede sbagliato del compagno, interrompeva l’allenamento. Insisteva fino a quando il pallone non arrivava al piede giusto. (Si ferma). Per noi si sarebbe buttato nel fuoco".