Donnarumma rinnova o non rinnova? Sono ore decisive per il futuro del portiere rossonero che ha rilasciato un'intervista a GQ. Ieri è uscita qualche anticipazione, queste le parole del calciatore: "I dirigenti del Milan sono nuovi, ci si deve conoscere, la mia priorità è nota ma è giusto che i miei interessi vengano rappresentati al meglio. Io sono molto legato al Milan. E sono sereno, perché tutte le parti di questa trattativa conoscono la mia volontà. Ho scelto il migliore apposta. A parte le battute, con Mino e con Enzo Raiola, che fu il primo a notarmi, e con la mia famiglia formiamo una squadra. I dirigenti del Milan sono nuovi, ci si deve conoscere, la mia priorità è nota ma è giusto che i miei interessi vengano rappresentati al meglio". Sta anche cercando casa a Milano, visto che uscirà dal convitto che lo ha ospitato fino ad ora: "Mi sento pronto, anche se a volte discuto con i miei perché stentano a considerarmi maturo. Sto cercando un appartamento grande, dove ci sia spazio per tutti i miei cari, e siccome il centro di Milano è bellissimo lo cerco lì".
BUFFON - "Buffon è un mito, il classico tipo che riesce a farsi voler bene da tutti. Scherza, tiene su l’ambiente, a me ha dato un sacco di consigli. Quando ci alleniamo assieme cerco di rubargli il mestiere, perché tecnicamente è ancora fantastico. Chi pensa che giochi perché si chiama Buffon non ha capito niente. Uno dev’essere sempre pronto, specie nel mio ruolo. Di certo però non chiederò di giocare. Non l’ho mai fatto. Mi alleno e non ci penso, anche perché devo ancora migliorare alcuni particolari. Comunque non sono il tipo che fa una concorrenza “cattiva”, per intenderci. A Buffon, poi...".
LA DOPPIA SFIDA CONTRO DYBALA - "Mezz’ora dopo la partita vinta dalla Juventus al 96' Dybala è venuto a cercarmi nello spogliatoio. È stato intelligente ad aspettare un po’: come ricorderà, al fischio finale io ero fuori di me dalla rabbia, non so come avrei reagito a un suo approccio. Mezz’ora dopo, invece, era tutto sbollito: mi si è avvicinato col suo sorriso simpatico, mi ha dato il cinque e ha detto “ora stiamo uno a uno”. Segno che il rigore di Doha non gli era andato giù, almeno fino a quella sera. La perdita del controllo non mi è piaciuta, ho cominciato a lavorarci. In realtà, visto e rivisto credo si debba parlare di rigore borderline, una situazione in cui qualsiasi decisione non sarebbe stata scandalosa. Mi sono fatto però l’idea che a fischiarlo sia stato lo stadio, perché quello della Juve mette una pressione incredibile: l’acustica è stata evidentemente studiata, perché l’onda sonora che ti arriva addosso è incredibile. Doha è stato il mio primo incontro con la vittoria, una cosa meravigliosa, e l’attimo del rigore parato a Dybala è il momento perfetto della mia vita, fin qui. In campo sono tranquillo ma ho anche una sfera emozionale molto sviluppata, e vincere la Supercoppa con la maglia del Milan, che è da sempre la mia squadra del cuore, ha avuto un significato profondissimo: ho passato l’intera serata ad abbracciare i miei compagni, e l’ho rifatto dopo la qualificazione all’Europa League perché l’idea di andare a giocare il giovedì in Europa mi entusiasma. Sarà una grande occasione di crescita, quella che ci voleva per me".
I PRIMI PASSI - "Per dirla nel modo più semplice, paravo dei tiri che un bimbo della mia età non avrebbe dovuto parare. Sul momento non me ne rendevo conto: mi tuffavo anche se la palla era molto angolata, la pigliavo o la deviavo in angolo, tornavo subito in piedi. Ecco, era lì che alzavo lo sguardo su compagni e avversari, per scoprire che avevano tutti gli occhi sgranati, a partire da quello che aveva tirato, e che non si capacitava di come un pallone così ben diretto non fosse finito in gol. Dopo le prime volte i compagni cominciarono ad abituarsi, mi battevano il cinque e si davano di gomito, erano felici per quella specie di magia, e io con loro. Gli avversari invece cambiavano, partita dopo partita, e quell’espressione di stupefatta delusione si ripeteva su facce sempre nuove. La prima volta avevo quattro anni, mi ci aveva portato lo zio Enrico, che purtroppo se ne è andato troppo presto. Poi cominciò ad accompagnarmi mia madre e per quanto le categorie crescessero in fretta, per un bel pezzo pretesi di averla dietro alla porta, che altrimenti mi mettevo a piangere. Credo che la situazione avesse del grottesco: questo ragazzo grande e grosso che lasciava increduli gli attaccanti avversari per quante ne parava, ma che appena la mamma spariva per un caffè scoppiava in lacrime".