Il Chelsea, il Milan, la Nazionale campione del Mondo e le botte con Bonera: racconta tutto Marco Amelia, attuale secondo portiere al Chelsea dopo l’infortunio di Courtois, intervistato da Fabrizio Biasin per Libero.
L’ex n.1 del Milan racconta, per esempio, del suo rapporto con Mourinho: «L’ho cercato io. Lo conosco dai tempi di Milano. Quando Courtois (n° 1 del Chelsea ndr) si è infortunato non ci ho pensato un secondo e ho spedito un sms a uno dei suoi collaboratori: “Prendetemi fino a gennaio, sono a disposizione e in salute”. Loro mi hanno detto “vieni a Londra, proviamo”. Due giorni dopo ero in riva al Tamigi».
Esito del particolare provino al di là di ogni più rosea previsione, confessa Amelia: «Speravo in un ingaggio fino a gennaio, Mou mi ha voluto fino a giugno con opzione per il 2017. Di solito per i contratti mi arrangio da solo, questa volta con “l’estero” di mezzo mi sono fatto aiutare da Federico (l’agente Pastorello ndr), un amico». Ruolo ben definito, da 12esimo, ma soprattutto da uomo-spogliatoio, quello di Amelia nelle intenzioni di Mou: «Il gruppo è giovane e la stagione è iniziata male. Ho subito fatto amicizia con il capitano (Terry ndr), lui mi ha introdotto. Nonostante il mio inglese scolastico parlo con tutti, do i miei consigli. Mou vuole questo da me, qui son tutti fenomeni ma hanno pur sempre 20 anni».
A proposito di spogliatoio, impossibile non parlare di Milan, relativamente alle ultime annate. Amelia si sbottona: «Arrivo al Milan nel 2010, ci resto fino al 2014. Mi chiama Galliani. Le cose per me non vanno bene fin dall’inizio, per giocare devo sperare nell’infortunio di Christian (Abbiati ndr), per un periodo sono anche titolare ma poi Allegri mi esclude senza motivo. Con lui non c’è dialogo, voglio essere ceduto ma Galliani mi chiede di restare. A gennaio 2014 decido di andar via ma ricevo una telefonata di Seedorf. Mi dice: “Sono il nuovo mister del Milan, resta”. Non ci penso due volte, Clarence per me è un maestro, uno dei più grandi di sempre». Il Maestro lascia però 6 mesi dopo, esonerato per pressioni di alcuni giocatori sulla dirigenza: «Io e Kakà leggiamo questa cosa sui giornali, chiediamo spiegazioni nello spogliatoio. Gli interessati ci rispondono “non è vero” e finisce lì. Fosse vero sarebbe una schifezza, io che con Allegri non avevo rapporti non mi sono mai sognato di ostacolarlo». Amelia commenta severamente l’esonero dell’olandese: «Errore grave. Con Seedorf il Milan aveva regole e disciplina. Lo hanno fatto passare per “grottesco”, il mister che voleva allenarsi al pomeriggio per dormire al mattino, ma la verità era un’altra: voleva togliere certe “comodità” alla rosa. Se ti alleni al mattino poi hai tutto il giorno libero...».
Si arriva alla celeberrima rissa con Bonera, e Amelia racconta la sua versione dei fatti: «Dopo una giornata a “Casa Milan” io e El Shaarawy ci fermiamo a firmare autografi con i tifosi. Gli altri salgono sul pullman. Un dirigente mi chiede di convincere la squadra a scendere. Qualcuno mi risponde “non ho voglia”. Poi lo stesso dirigente “invita” tutti a darsi una mossa. Tornati sul pullman sento delle battute che non mi piacciono, tra me e Daniele volano parole grosse, non ci vedo più e lo colpisco. I compagni mi bloccano, altrimenti ne avrei colpiti molti di più. C’erano 400 tifosi che per farsi una foto con noi hanno preso il permesso dal lavoro, ci vuole rispetto...».
Non solo polemiche, però: Amelia racconta anche il trionfo mondiale del 2006, a cominciare dai poco incoraggianti prodromi. «Esplode Calciopoli. Lippi, un grande, capisce che tira una brutta aria e “sfrutta” le polemiche per cementare il gruppo. La situazione non è semplice: a Coverciano i tifosi urlano, si aggrappano alle reti, uno dei più bersagliati è Gigi (Buffon ndr), tirato in ballo anche per la questione scommesse. È un inferno, a volte vorrei andare a prendere quei vigliacchi che gridano nascosti dalle recinzioni. Poi a Duisburg ci travolge l’affetto degli “italiani di Germania”, il ritiro è volutamente spartano, tutti fanno il loro dovere».
Emozionante il racconto dei rigori di Berlino: «Io e Peruzzi osserviamo Buffon, è carichissimo. Noi invece tremiamo. Quando tocca a Fabio (Grosso ndr) siamo in trance. All’epoca c’era il 5° uomo, gli chiediamo: “Chi tira dopo Grosso?”. E lui: “Se segna avete vinto”. Non capisco più niente».
Ricordi che affiorano anche riguardo ai folli festeggiamenti della notte di Berlino: «Entriamo nello spogliatoio, con noi troppe persone che non meriterebbero di stare in quella stanza ma sono le prime a “salire sul carro”. Vorrei cacciarle, ma la gioia è troppa. Ci buttiamo tutti in vasca tra pianti e grida, ho 24 anni e vedo miti come Del Piero e Totti che impazziscono di gioia. L’apoteosi una volta tornati a casa: un mese prima a crederci eravamo in 23 più il ct, ora siamo 57 milioni. Ma che bello vedere le piazze in festa».