di Alfredo De Vuono 

 

"'Bang!': e, improvvisamente, piombo nell'oscurità più assoluta, mentre mi accascio al suolo come un vecchio straccio. La mia violenta caduta non si esaurisce sulla soffice erba di un curatissimo rettangolo di gioco scozzese, visto che sono un calciatore professionista che tiene alto il nome dell'Italia in un Paese straniero. [...]

Mi ritrovo, mio malgrado, disteso e dolorante sul parquet scintillante e profumato di cera di un campo... da squash".

"Più di un numero sulla maglia", di Marco Negri con Daniele Benvenuti

(Luglio Editore, 2014, prezzo: € 18) 

 

Comincia così l'autobiografia di Marco Negri, milanese di nascita e bolognese d'adozione, che prima, in campo, mandava i portieri a raccattare i palloni in fondo alla rete, e che fuori da esso, oggi, a 44 anni, non le manda a dire. A sè stesso ed agli altri. In 270 pagine - che scorrono decise e veloci come i suoi tagli in area di rigore - c'è l'intera summa del ventennio, pallonaro e non, d'uno dei bomber più amati d'Italia e di Scozia, indimenticato protagonista soprattutto della seconda metà degli altrettanto indimenticabili anni '90. L'epoca dei 19 gol al Cosenza di Zaccheroni, che nonostante la penalizzazione di nove punti arrivò a sfiorare l'agognata a promozione in A sino a fine marzo. E poi, i 18, sempre in B, con il Perugia, che valsero stavolta sì la promozione; ed i 15 con i quali per poco non riuscì a salvare, l'anno successivo, il Grifo con il quale esordì nel massimo campionato. 

 

COLLAGE RAVELLI Dykstra

 

Poi arriva la chiamata dei Rangers, che già avevano preso l'amico Gattuso, Thern, Porrini ed Amoruso: è lì che inizia il mito di 'moody' Marco, che stravolge l'Europa calcistica a suon di gol, e s'evolve la sua epica 'rise and fall' che è alle basi del controverso, e mai apologetico, racconto della sua vita.

A 44 anni, oggi, Marco è un ragazzo schietto, vivace, che ha negli occhi l'esperienza che l'ha fatto uomo e nella mente i vividi ricordi d'una carriera che, nonostante abbia avuto la sfortuna - è lui stesso a citare Match Point di Woody Allen: "Chi disse 'preferisco avere fortuna, che talento' percepì l'essenza della vita" - di dover frenare, racconta con fierezza. 

 

collage marulla de rosa marino

 

A Cosenza, dove non tornava da lungo tempo e dove esplose esattamente 20 anni fa, saluta gli ex compagni Marulla e De Rosa, si confronta con noi e l'ex compagno Ciccio Marino (bandiera dei lupi ed ex osservatore della Juventus) ed, all'apparenza, sembra che non se ne sia mai andato. 

A cena snocciola aneddoti, sforna sorrisi, ed accoglie i tifosi con raro candore, per esser lo stesso calciatore che molti colleghi descrivono cupo ed ombroso, introverso e restìo a raccontarsi. Segno evidente del fatto che davvero in pochi l'hanno capito sino in fondo: chi ha creduto in lui, e sino alla fine, poi s'è reso conto di non poterne più fare a meno. Come Sean Connery, tifosissimo dei Rangers, che - come mi conferma lui stesso, sfatando un mezzo mito - si recò davvero in ospedale, per sincerarsi delle sue condizioni a margine dell'incidente alla retina dell'occhio, e dei continui problemi che lo afflissero, dopo la clamorosa stagione dei 32 gol nel '97-'98 e del pokerissimo al Dundee. Secondo italiano all'estero a vincere la classifica cannonieri in un campionato europeo, dopo Gianluca 'Gil' De Ponti che, nell' 86, a Malta, divenne pichichi con soli 8 gol. E, allora, forse primo.

Dopo di lui vennero sia un certo Luca Toni, in Germania, che Christian Vieri, che per mero dovere cronistorico collochiamo successivamente a lui, perché quella stagione all'Atleti terminò giusto una settimana dopo la Scottish Premier Division 1998. Dopo la quale, me lo ammette lui stesso, nulla sarà come prima: "la mia corsa è stata arrestata non da un infortunio sul campo, che ci può stare perché un calciatore quando gioca sa che una cosa del genere può succedere. Ecco perché il mio rammarico sta tutto in quella partita di squash, lo spartiacque della mia carriera".

Anche perché, sino al 4 gennaio 1998, le aspettative, e più che legittime, di Marco erano azzurre. Anche prima d'allora, però, l'allora C.T. Cesare Maldini non pensò a lui, neanche per un attimo: "Purtroppo solo voci. Il selezionatore non mi ha mai neanche telefonato. Resta, certo, un gran rimpianto: vestire anche solo una volta la maglia azzurra sarebbe stato il coronamento di un sogno. Anche se quelli erano gli anni di Baggio, Del Piero, Chiesa, Inzaghi, Vieri. Ma è andata bene lo stesso".

 

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13 ago 1997

 

Ed è andata bene davvero, se nella tua personale top 11 dei compagni di squadra (un giochino divertente, rilanciato recentemente da Ibrahimovic e David Luiz) puoi annoverare, come scrive Marco nel libro, gente come Marco Materazzi, Gennaro Gattuso, Paul 'Gazza' Gascoigne - "Il migliore di tutti. Un centrocampista atipico, ma completo: aveva talento, piedi buoni, forza, aggressività, carattere, resistenza. Riusciva a fare la differenza in campo, sempre e comunque. Ed era solo al 60, forse 70%" - Brian Laudrup ed Abel Balbo. E non solo: anche Andrea Pasian dell'ItalCantieri. Un nome che a me non dice nulla, così come presumo non dica nulla neanche a gran parte di voi. Ma...

"Nel libro c'è un'intera parte dedicata al mio grande amico Andrea Pasian, che giocava con me nelle giovanili, prima del mio provino all'Udinese. Io ero in squadra con lui, nella rituale partitella del provino, e lui giocava libero. La nostra squadra fu talmente superiore che gli altri non attaccarono mai, e lui non riuscì a mettersi in evidenza: alla fine l'Udinese prese me ed il libero della squadra avversaria. Andrea faceva e fa tuttora il panettiere, ma fu il talento più cristallino di quella nostra generazione". Per tutto il resto della storia, altrettanto interessante, di Negri e Pasian, vi conviene leggere il libro.

 

Collage cover indice

Arrivano le pizze, e mi spiega, convintamente, quali siano le sue aspettative professionali. Ha un'idea, lucida e profonda in testa, che, nel tradizionalista e canonizzato mondo del calcio attuale infonde freschezza, al pari della birra alla spina che sorseggiamo.

Un'idea che, in realtà, già nel recente passato venne bocciata in Italia: quando lo scorso anno Clarence Seedorf ipotizzò di sezionare i reparti, chiamando gente come Stam ad allenare i difensori e Crespo gli attaccanti, in molti gli diedero del visionario. Oggi Negri rilancia quest'ipotetica figura, e mi spiega d'averne già parlato con alcuni protagonisti del nostro campionato. "Lo specialista degli attaccanti è una figura che potrebbe avere valenze sia strategiche, passando agli attaccanti il suo vissuto, che psicologico. Un attaccante quando lavora col suo allenatore - che poi deciderà se gioca o meno - può essere intimorito, e non provare tutte le soluzioni. Un tecnico specifico invece può far provare al 100% tutte le soluzioni: non giudica, non decide chi gioca. Anche perché in una rosa non giocano mai tutte le punte, e c'è il rischio che i non titolari non crescano allo stesso modo degli altri. Poi ovviamente il tutto va legato al modulo ed alla squadra. E' una proposta che ho già fatto a tanti miei ex mister, tra cui Zaccheroni, con il quale della cosa ho parlato per lungo tempo. Ma non solo a lui, anche a Gattuso (che ha scritto una delle tre prefazioni del libro, insieme a Zaccheroni e Materazzi, n.d.r.), che giocava con me a Perugia e ad Allegri, ai tempi del Milan". 

D'altra parte, chi meglio potrebbe insegnare a far gol, se non uno che il gol, in carriera, l'ha profondamente amato, ricambiato da Eupalla? "L'attaccante è fondamentale, alla stregua del portiere. Se una squadra vuole centrare il suo obiettivo, deve avere un attaccante che assicura un determinato numero di gol. Basti pensare, lo scorso anno, al Torino con Cerci e Immobile o al Verona con Iturbe e Toni. E poi oltre all'apporto tecnico c'è una questione finanziaria: vendere a fine stagione un attaccante da 15 gol significa anche crescere economicamente".

 

COLLAGE campioncino e dedica

Arriva il momento dell'amaro e del dolce tipico cosentino del periodo natalizio - i 'turdiddri' -, quando inizio a fare, con lui, il gioco delle risposte lampo che preventivavo da tempo. Anche stavolta, chi meglio di lui, che ha giocato, ed è stato allenato, dall'elite della nostra Serie A? 

Una parola per Abel Balbo: "L'enciclopedia del calcio". Sensini: "La professionalità".

Zaccheroni: "Personalità e signorilità. Un allenatore che è riuscito ad imporsi pur senza aver giocato a calcio. Rarissimo e difficilissimo, come Sacchi". Galeone: "Profeta. Un personaggio istrionico: quello che mi ha insegnato più di tutti senza volermi insegnare".

Allegri: "Era uno di quelli che già allora dimostrava di essere un allenatore in campo. A questi livelli, però, non me lo sarei aspettato: ci vuole fortuna e preparazione, e lui ha avuto entrambe". Materazzi: "Lui, come Gattuso, è la determinazione. Di voler arrivare, di vincere, all'ennesima potenza. La sua scelta di andare in India? "Ci sta, è un'esperienza. Io l'ho fatto, seppur nel pieno della carriera, ma ero una mosca bianca".

Rapajc: "Talento devastante. Peccato averci giocato poco insieme, quando peraltro, nei primi mesi, ancora non era il miglior Rapajc". Guidolin: "Perfezionista. Ha sentito molto la pressione: è pur sempre il mestiere più bello del mondo, ma è anche impegnativo".

Di Francesco: "Bravissimo. Un ragazzo piacevolissimo ed intelligente: si vede che sta crescendo, ha fatto degli errori ma adesso sta facendo molto meglio: gli auguro il meglio perché può sbalordire". Donadoni: "Mi allenò a Livorno, in una delle sue prime esperienze. Faceva le partitelle con noi ed era un piacere vederlo: mi veniva sempre da dirgli 'mettiti la maglia e domenica gioca con noi'. E, occhio, non è facile allenare quando sei stato così grande: esser stato un fuoriclasse tale ti mette nella condizione di fare tutto facilmente da calciatore. Spiegarlo, però, a chi non è un calciatore come te, è tutta un'altra cosa".

Colantuono: "La dedizione. Era un difensore preciso e sul pezzo".

 

collage marulla gascoigne

 

Nonostante si stia parlando di protagonisti di oggi, che lui conosce più che bene, è mutato tantissimo, però, il calcio, dai tempi di Marco Negri. Lui, giustamente, ci mette l'accento quando gli chiedo in chi si riveda: "Non c'è oggi un nuovo Negri, semplicemente perché il ruolo dell'attaccante è completamente cambiato. Oggi l'attaccante deve essere il primo a rientrare, deve saper far tutto ed aiutare la squadra: io, invece, appartenevo alla generazione degli attaccanti d'area. In tal senso quello che mi piace di più è Higuain".

Quando gli faccio notare come, però, il pipita non sia mai riuscito a segnare 32 gol in una sola stagione, mi interrompe, velandosi d'umiltà: "Lì farà, li farà, vedrai". Io, personalmente, ci credo poco. E resto, da buon nostalgico incallito (come lui) dell'opinione che di attaccanti come Negri continueremo a vederne ben pochi. 

Un pezzo dell'Herald Scotland di molti anni fa fece a Marco uno dei complimenti più efficaci ed immediati che, a mio parere, si possa fare ad un centravanti: è riferito a quello che lui chiama 'anno dell'ubriaco', ovvero quando un'astrusa sinergia di eventi, fortuna, determinazione ed abilità consente ad un attaccante di far gol sempre e comunque. Anche da 'bevuto', ovviamente non in senso strettamente etilico: "Negri nei primi mesi in Scozia segnava con la stessa facilità con la quale si lavava i denti prima di andare a letto". 

Quando glielo faccio notare, però, mi spiega: "Venivo da 4 campionati in cui avevo fatto tanti gol in Serie A. Arrivavo nella squadra più forte, in Scozia, che mi apriva anche le porte della Champions: era il mio periodo, facevo gol in tutti i modi. Mi dissero che segnavo per divertimento: il complimento più bello, in realtà, è quello lì".

A queste sue parole mi ricredo in toto. E mi compiaccio, perché realizzo quanto possa far piacere paragonare il gol alle emozioni che produce, in sè stesso e negli altri, e non alla presunta semplicità con la quale arriva, in un determinato momento della propria carriera. Anche se sei nell'anno del'ubriaco, quando tutto ciò che tocchi diventa oro, la goduria che si prova, e si fa provare, è sempre superiore al valore intrinseco dell'oro stesso. E tu sei lì, a beartene, come un bambino. E ti diverti.

 

Collage Rosito

 

Chiudo l'intervista, soddisfatto, e lo saluto al bar, dopo l'ennesima raffica di aneddoti. Ho conosciuto sia il Negri calciatore, concreto e determinato, che il Marco uomo, sognatore e spassionato. L'anello di congiunzione tra le due parti, però lo regala a me ed agli spettatori della presentazione del suo libro solo il giorno dopo, nella sala stampa del San Vito che lo accoglie con il calore tipico di questa terra. 

"A Bologna noi diciamo 'poche pugnette'. Col senno del poi, certo, qualche intervista in più mi avrebbe fatto comodo. Ma alla fine, come in tutta la mia vita, sono sempre andato orgogogliosamente avanti per la mia strada. E va bene così". 

Non bene: benissimo, Marco: idee chiare, poche pugnette, tanti gol. Roba da bomber veri. 

Di quelli che, anche quando giocano a squash, e la pallina ti fa male, il muro perde sempre.

 

collage noi

 

Grazie a Nunzio Garofalo, Andrea Rosito e Valter Leone