Se le cose avessero seguito la piega in cui s’erano avviate, oggi, Jorge Luiz Frello Filho, forse, non sarebbe Jorginho. Quello che una notte si mise a giocare a pallone davanti al Duomo di Napoli con dei ragazzini che non lo avevano nemmeno riconosciuto subito, è stato premiato come il miglior calciatore dell’anno dalla UEFA. Fino a pochi anni fa, quasi certamente, nessuno ci avrebbe scommesso. Champions, Supercoppa europea e Campionato europeo per nazioni in un’annata sola. Un triplice colpo che nemmeno lui avrebbe mai potuto immaginare. Soprattutto quando, durante il secondo anno di Benitez, il brasiliano era quasi scomparso dal campo. 

La sua esperienza col Napoli era cominciata benissimo. Debutto da titolare ai quarti di finale di Coppa Italia con la Lazio, coppa che poi il Napoli avrebbe vinto proprio con Jorginho tra i protagonisti della drammatica finale di Roma, e un lento e progressivo deterioramento dei rapporti e del rendimento fino al rischio di finire sul mercato per essere venduto a chiunque disposto a “rimborsare” il Napoli di un investimento probabilmente sbagliato. Eppure, durante la sua prima partita da titolare Jorginho aveva impressionato per qualità tattica e personalità. Qualcuno s’era lasciato sfuggire pure qualche apprezzamento azzardato di troppo. Oggi, non a torto.

Resta che, dopo l’addio di Benitez, Jorge Luiz Frello Filho aveva corso il rischio di finire presso qualche provincia del calcio a ricominciare daccapo. L’arrivo di Sarri e il suo impiego nel ruolo che lo avrebbe lanciato nel grande calcio lo rimisero presto in sesto, restituendogli l’entusiasmo per farne un leader tattico a tutti gli effetti. Il resto è storia che tutti conoscono. Inutile soffermarsi sul metronomo paziente e silenzioso che da geometra assicura le più efficaci architetture.

Gli anni trascorsi a Napoli gli hanno somministrato una pedagogia della contemplazione di chi sa di valere qualcosa, ma senza poterlo vantare con tanto di titoli e glorie adeguate. Due coppe vinte con un allenatore col quale non si è mai inteso fino in fondo e qualche delusione di troppo con il mister che gli è valso il rilancio definitivo, ritrovandoselo al Chelsea per vincere insieme l’Europa League sfuggita proprio col Napoli in una finale mancata a causa di terne arbitrali scellerate. 

I grandi successi arrivati col Chelsea e con la maglia della nazionale italiana sono stati preceduti da tensioni antagoniste che forse gli hanno messo nelle gambe e nella testa la bilancia dove si pesano le gioie e le amarezze. “Tutto e niente”, per dirla alla maniera dei filosofi antichi. Il niente gli è rimasto alle spalle, insieme ai ricordi di una tifoseria che gli ha voluto bene e che qualcosa dei suoi successi avrebbe voluto e meritato di condividerlo, il tutto è la grazia che s’è conquistato palleggiando quell’apparente semplicità che ha dettato il ritmo delle vittorie più prestigiose.

Strana la vita. E com’è affascinante quando il calcio fa di tutto per assomigliarle. O, come diceva qualcuno, sarà il contrario. Domandatelo a Jorge Luiz Frello Filho, in arte Jorginho. Un passaggio dopo l’altro, tra i suoi piedi tutto e niente. Adesso, per sua fortuna, questi due antichi significati godranno di certo della più gioiosa leggerezza.