"Cresciuto a pizze, panuozzi e videocassette di Diego Armando Maradona". Questa è parte dell’introduzione del mio blog. Ci voleva solo un'occasione del genere per tornarci a scriverci dopo anni, un'occasione maledettamente triste. Ieri, 25 novembre 2020, è un giorno che tutti gli appassionati di calcio ricorderanno: è morto Diego Armando Maradona.

Uno dei miei rimpianti più grandi, e di tutta la mia generazione, è quello di non averlo mai visto in campo. Di non aver mai potuto gioire allo stadio per un suo gol, esaltarmi per una sua giocata. Sono nato nel 1988, spesso ho maledetto l’anagrafe: gli anni del grande Napoli, Diego aveva regalato alla sua terra il primo scudetto e si apprestava a vincere una Coppa Uefa ed un altro scudetto.

Ma già da piccolo ti ho conosciuto e vissuto. Ricordo come se fosse ieri quel 21 giugno 1994: c'era Argentina-Grecia in tv, prima partita dell'Albiceleste nel Mondiale di Usa 94. Ero a casa di mio zio, tutti erano accaniti nel vedere quella partita: al gol di Maradona ci fu un boato incredibile. Pari a quelli ascoltati per i gol di Roberto Baggio, che quasi ci ha fatto vincere quei Mondiali, persi ai rigori contro il Brasile.

Allora mi voltai verso mio padre e con l'ingenuità di un bambino gli chiesi: "Papà, perché esultate così tanto? Non sta mica giocando l’Italia?". Mio padre mi fece sedere con calma e mi raccontò tutto: lo fece con le lacrime agli occhi.

Da allora, appunto, Maradona è diventato anche per me un idolo, il primo e unico idolo calcistico. Penso di aver consumato le tre videocassette che mio padre acquistò proprio per farvi rivivere in parte quelle emozioni provate da lui e dall'intero popolo azzurro. Restavo ogni volta incantato, anche alla centesima, millesima visione: la sua poesia calcistica, il suo carisma, l'amore verso il suo popolo. L'obiettivo, devo essere sincero, è stato centrato in pieno: al San Paolo, in Curva B, ogni santa volta che partiva "Live is now" mi giravo verso il bandierone con il bel faccione stampato sopra di Diego e mi commuovevo. Soprattutto in quelle notti Champions, con il Napoli tornato finalmente ai fasti d’un tempo.

Proprio il Napoli targato De Laurentiis ha visto l’ultima apparizione di Diego nella sua casa, il San Paolo. Era  il 12 febbraio 2014, gli azzurri di Benitez affrontavano la Roma nella semifinale di Coppa Italia: all’andata sconfitta per 3-2 all’Olimpico, serviva una prestazione perfetta contro la squadra di Garcia.

Ero allo stadio, per lavoro, anche perché grazie a te Diego ho deciso di voler trascorrere la vita raccontando e vivendo calcio. Non potrò mai dimenticare l’adrenalina e la scossa che ebbe tutto lo stadio al tuo ingresso in tribuna. Una scossa che anche i calciatori in campo avvertirono: da quel momento gli azzurri diventarono 11 furie, travolsero la Roma e raggiunsero la finale. Lo stadio San Paolo Diego Armando Maradona (sì, per me già si chiamava e si chiama così) in festa, nuovamente ai piedi del suo Re.

Maradona al San Paolo durante Napoli-Roma di Coppa Italia 3-0 (Getty Images)
Maradona al San Paolo durante Napoli-Roma di Coppa Italia 3-0 (Getty Images)

Questo è Maradona, per me, per i tifosi, per Napoli. Un Re che “voleva diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli”. E lo è diventato di un popolo intero che adesso lo piange e lo ricorderà per sempre. Anche se, purtroppo, non potrò fare con mio figlio quello che ha fatto mio padre con me. Perché, maledettamente, io non ti ho potuto vivere.

Ti saluto Diego, non riesco a scrivere altro. Voglio ricordarti con la frase che più mi lega personalmente a te.

Ciao D10S