Maggio 2006: il calcio italiano tocca il fondo. Sono i giorni di calciopoli, sono i giorni in cui al grande pubblico si dà in pasto tutto ciò che fino ad allora era inimmaginabile. Una rivoluzione si, ma perché parlarne dopo più di 5 anni? Semplice, perché da allora tutto è cambiato, niente è e, forse sarà, come prima. La vittima di tutto ciò è stata la Juventus, la Vecchia Signora, la squadra al contempo più amata e odiata dagli italiani. Fino al 2006 gli scudetti sono stati 29 (mi scusino gli interisti), dal 2006 in poi solo delusioni. Prima l’umiliazione della B, poi l’umiliazione di vedere la squadra con la maglia bianconera perdere un po’ ovunque, vedere il proprio stadio saccheggiato da squadre che pochi anni fa perdevano contro la Juve già scendendo dal pullman.
Eppure, le cose sono cambiate, ma dopo 5 anni ci chiediamo ancora se giustamente. Soprattutto lui, il grande artefice, se lo chiede. Il lui in questione ovviamente è Luciano Moggi che nel suo libro “Un calcio nel cuore” pone tanti quesiti su cui riflettere. In un capitolo del libro si parla del processo sportivo che la Juve ha subito. Sull’onda emotiva di quei giorni, tutti concordavano sulla sanzione, tutti erano indignati, tutti erano sicuri della colpevolezza, dei furti e di tanto altro dei dirigenti bianconeri. Ma non c’è giustizia dove c’è emotività. La nostra Costituzione ex art. 24 pone come uno dei cardinali assoluti il diritto di difesa. Questo diritto all’epoca fu rispettato? Dalle pagine del libro di Moggi si può evincere di come ci siano state non poche anomalie. La prima: abolizione del primo grado di giustizia previsto dalla giustizia sportiva. Secondo: Luciano Moggi è stato condannato per illecito sportivo, ma in realtà l’illecito non c’è stato, è stato creato sommando diverse violazioni della condotta sportiva. Usando una metafora moggiana è “come se sei pugni in faccia diventassero un omicidio”. Non entrando nel merito, basta il parere di Antonio Baldassare, ex presidente della Corte Costituzionale: “Sono stati usati metodi sommari tanto da non meritare neppure il termine giustizia”.
Tornando all’attualità tanto fa discutere l’assegnazione dello scudetto 2006 all’Inter. Il tutto nasce dall’intercettazioni emerse con estremo ritardo, in cui emerge una realtà diversa. Una realtà dove l’immagine dell’Inter, la grande vittima, esce leggermente offuscata. Qui non interessa dire se lo scudetto doveva essere assegnato o meno. Qui si vuole riflettere su dati concreti. Se Facchetti, grande uomo, ammirato da tutto il calcio italiano, era costretto ad ottenere “rassicurazioni” dai vertici degli arbitri vorrà dire che anche l’Inter cercava di cambiare illecitamente gli esiti delle gare oppure vorrà dire che il sistema prevedeva questo? Che in effetti tutti i dirigenti e presidenti, per curare i propri interessi, dovevano adottare un determinato modus operandi? Per chi sposa la seconda ipotesi, sposa la versione di Luciano Moggi, secondo cui il suo operato era diretto a tutelarsi e non ad avvantaggiarsi. E poi, altro punto di domanda, nonostante le grandi capacità di Moggi, come è possibile che il più grande dirigente italiano, Adriano Galliani, braccio destro del più potente uomo italiano, Silvio Berlusconi, potesse farsi raggirare da un signore che per arrivare dove è arrivato a dovuto sudare le proverbiali 7 camicie? I quesiti senza risposte ne sono molti, ma dopo 5 anni le nubi su questa vicenda sono troppi e vedere il club italiano più vincente così in basso fa pensare. Fa pensare che se tutto questo fosse un grande bluff si è uccisa la storia del calcio italiano.
Alessandro Silvestri