Quando tutto sembrava destinato a un pareggio senza grandi significati, c’è stato un ragazzo che da campione d’Europa e da neo campione d’Italia ha detto che il prodigio, almeno per adesso, non deve finire. Lo vorrebbero le trappole infime a questa commozione ricolma di coscienza, i pettegolezzi, le polemiche e le isterie in cui sembrano caduti in troppi. Pure chi non dovrebbe permetterselo. Lo vorrebbero quelli che contemplano il pallone come la partita iva col velo delle venerazioni artificiali, dei paradisi artificiali. Quelli per i quali l’annata del Napoli deve essere impacchettata e chiusa dentro una teca che sia la casuale interruzione di una normalità che deve assolutamente essere ripristinata. 

Invece un ragazzo semplice e difficile da trovare ha segnato uno dei gol più belli della stagione nella partita che poco e nulla ha deciso, che a poco e a niente serviva, se non per ripetere che le beghe e i grigiori di sorta non scalfiranno nulla di quello che sarà destinato a diventare pedagogia. Pure se per una volta soltanto. A dispetto di. E l’elenco è così lungo che il sacco della miseria non vale nemmeno la pena di essere vuotato. Restino gli occhi di un napoletano che ha segnato il suo primo gol col Napoli al Maradona. Gianluca Gaetano è il sugello azzurro a un’annata indimenticabile. Giusto che a lasciare l’ultima cifra nella gara con l’Inter sia stato proprio lui.

Ci ha pensato Giovanni Di Lorenzo, col goal che ha deciso l’ultima vittoria che mancava al Napoli per compiere la sua perfezione. Un capolavoro segnato da un calciatore che è diventato capitano del Napoli più grande di sempre. Sì, perché se per una volta vogliamo prendere quell’abominio del pensiero che è il paragone e giocarci anche solo per cinque minuti, questo è il miglior Napoli di sempre. Non per lo scudetto, non per aver giocato e per giocare un calcio meraviglioso in grado di aver chiuso in area per novanta minuti una delle due finaliste di Champions, ma per il fatto di aver ribadito tutto se stesso mentre altrove polemiche e dichiarazioni poco chiare hanno tentato di distogliere l’attenzione dall’unica cosa che di attenzione ne meriterà ancora tanta. 

Giovanni Di Lorenzo si è cucito intorno al braccio quella fascia filo per filo, elastico per elastico. Sempre più stretta. Fino a un sottopelle che gli è entrato dentro a ricordarci che questo Napoli non ha Maradona, non gode del riconoscimento politico di altri tempi, che, al di là delle sapienze societarie di ordine finanziario, è ancora controvento in una direzione avversa a un sistema di pensieri e sentimenti che non sanno immaginare un calcio diverso. Tuttavia, in una gara senza peso in classifica, ma piena di significati, è arrivato un destro naturale a mettere la palla nel sette alla maniera proprio di quell’uomo che negli anni a Napoli ha saputo consegnare un patrimonio umano prima ancora che calcistico che ha modificato i codici della felicità. E che, soprattutto, quel patrimonio sarebbe stato compreso molto tempo dopo. Come tutte le cose di valore incalcolabile.

Nel goal di Di Lorenzo c’è tutta la ribellione maradoniana per dire alla realtà di umiliarsi per la sua indegna superficie e di rallegrarsi per la sua meravigliosa profondità. Il goal di Giovanni Di Lorenzo è un goal alla Maradona sotto ogni punto di vista. Lo è nell’esecuzione, nell’emblema, nella risolutezza, nell’imprevedibilità e nel coraggio. Lo è nella sua potentissima felicità. Fino alla corsa sincera e spontanea verso chi in questo momento, forse, avrebbe bisogno di rendersene conto, nonostante sia parte decisiva e fondamentale proprio di essa.

Capita che pure chi c’è stato a lungo dentro dimentichi per un istante quello per cui è valsa la pena restarci, lì dentro. Giovanni Di Lorenzo lo ha ricordato a tutti. Whitman ne scriverebbe senza onorare caduti e scomparsi. Un’ode alla vita senza fine. Come questa meraviglia che una squadra intera non smette di alimentare in coro con chi di certo non smetterà mai di volerle bene. Ode a Giovanni Di Lorenzo e alla sua fascia di capitano che, semmai ce ne fosse ancora bisogno, adesso stringe un sentimento prima ancora che un braccio.