di Ezio Azzollini
Quella accusata nell'infausto pomeriggio di San Siro contro l'Atalanta, è l'unico tipo di espulsione che Pippo rischia. Non traballa, non vacilla, e non diciamo né che sia giusto (perché può starci, per moltissimi motivi), né che non sia giusto (perché può starci, per altrettanti motivi): constatiamo il fatto. Assieme ad un altro, ingombrante ed incontrovertibile fatto: non è che Pippo, con lo stesso numero di partite a disposizione, abbia fatto peggio di Clarence. E' che Pippo ha fatto molto peggio di Clarence.
Per di più, Seedorf, che fece molti più punti prendendo un Milan non suo, non poté programmare, non poté sperimentare, non poté andare a convincere nessuno a Ibiza per sposare un progetto malpartito per altrui pecca. Ma non ci mettiamo il carico da novanta, molti e più autorevoli stanno sottolineando la cosa, assieme ad un mucchio d'altre cose, in queste ore.
L'osservazione c'è, però, e anche questa ci sta tutto. Pippo resta, e resterà, forte del nostro amore incrollabile, meritato da giocatore, che è un'assicurazione sulla vita. Che poi amassimo altrettanto Seedorf, la cui avventura è finita come sappiamo, e che aveva fatto non solo meglio ma molto meglio, è un altro paio di maniche. E lo è perché allora non bastò, perché al Milan (ed è così da sempre, anche in tempi migliori, anche in tempi in cui si vinceva), spesso conta più come sei che quello che fai. E, badate bene, specie in periodi vincenti, la linea che separa connotazione positiva da connotazione negativa di questa maniera di gestire le cose è sottilissima, ovvero: il Milan vinceva anche perché, al MIlan, come sei contava più di quel che facevi.
Ecco perché Pippo resterà al Milan. Perché è amato dai tifosi (come Seedorf). E perché è aziendalista, dunque amato dalla dirigenza. Un Seedorf tra parentesi, in questo caso, non possiamo proprio mettercelo.