Ogni istante successivo è un’enormità rispetto a quello precedente. Mentre il “si vedrà” pare sia diventata la cambiale dell’incapacità di ammettere uno stato dei fatti, con una parte della stampa a riciclare gli intorni utili per reggere certe elogi e la speranza che qualcosa cambi, al Napoli tocca la fatica di restare il Napoli.

A Milano i partenopei hanno disfatto se stessi nella maniera più disarmante possibile. Come? Senza il piglio della decisione. Il Napoli fino a questo momento ha avuto una forza che poche squadre possono vantare. Il senso della scelta, la capacità della decisione. La forza di perseguire un’idea. Gli uomini di Spalletti lo hanno fatto nelle prime 15 di campionato e subito dopo la sconfitta di Milano con l’Inter.

Lo hanno fatto in Champions e nella gara delicatissima con la Juventus. L’unica sospensione è stata la partita con l’Inter. Senza attaccare, senza difendere. Nelle trasferte di San Siro col Milan e di Bergamo con la migliore Atalanta, seconda in classifica in quel momento, gli azzurri hanno impostato una gara fondata su una serie di scelte tattiche portate fino in fondo, con la lucidità di saper colpire nei momenti propizi di partite che di occasioni ne avevano offerte ben poche.

La prestazione con l’Inter, chissà se non figlia pure di un richiamo “feroce” di preparazione, ha mostrato un Napoli nella metà campo avversaria, ma incapace di affondare con giocate decisive. Novanta minuti di esitazione sbloccati mentalmente solo nei minuti finali. 

Con la Juve, successivamente al successo di Genova, abbastanza annunciato, Spalletti ha ritrovato un Napoli in coscienza di sé. Aggressivo e di qualità, rapido e imprevedibile, agonisticamente brillante, lucido a saper resistere senza scomporsi in quella breve fase del ritorno degli avversari, riacquisendo il suo giovane prodigio nel grande appuntamento. Kvara e Osimhen si sono annunciati presto come il potenziale della differenza. L’esterno destro del Napoli, che sia Politano o Lozano, è importante per la manovra, ma non si allinea ai due calciatori che sanno staccarsi dall’impianto di gioco iniziale per colpire le difese avversarie.

Con la Juventus il Napoli ha vinto la partita per la qualità della squadra e per una serata di grazia di due calciatori per i quali la grazia è quasi la normalità. Ha imposto i suoi simboli, colorando i grigiori delle tiepidezze subdole e diplomatiche di chi vorrebbe predicarsi come il migliore, ma trova sempre più difficoltà a farlo. Ora confidando in un mazzo di carte mischiate alla ripresa del campionato, ora tirando fuori la cambiale pagherò prorogata dei soliti due mesi. In fondo è soltanto l’attesa di chi sa bene che non può porvi rimedio e allora spera che sia l’altro a fermarsi da solo.

Il Napoli no. Il Napoli ha come più grande merito la cosa che probabilmente in pochi avranno notato. Il lavoro di Spalletti e le qualità del suo organico sono dirette a confidare su quello che Vladimir Majakovskij scrisse come “l’amato me stesso”, dove negli ultimi versi si legge: “Da quali Golia fui concepito così grande, e così inutile?”. L’unica resistenza a un calcio narcotizzato dalle abitudinarietà orientate può solo cercare di essere grande, invece che di crederlo.