In questo calcio in pena di programmazione vuoi vedere che paradossi e contraddizioni sotto sotto si potrebbero rivelare qualcosa di utile al formulario delle soluzioni? Una bella parola appuntata velocemente e affissa alla bacheca dei fatevi gli affari vostri.

Spalletti s’è calato dentro il suo ruolo con una spavalderia d’asse dello stivale. L’aria toscana, che in questa serie A tira come un vento di primavera - vedere Allegri e Sarri che sembrano aver trascorso una sgradevole bisboccia -, mista a un fondo di propaganda dal sapore meridionalista suona una musica tante, troppe volte sviolinata all’ombra del Vesuvio, talvolta senza il fondamento dei fatti. Le parole incantino pure, ma riappropriandosi dei contenuti tangibili con quello che si vede e non quello che dice. Quello stadio, adesso, si chiama Diego Armando Maradona. A buon intenditor…

Spalletti, dunque, sta sistemando un Napoli che ha tutto e niente. Del tutto ha che conserva i suoi talenti in attesa di consacrazione e del niente ha che, complici scelte e condizionamenti, con l’ultima campagna acquisti ha potuto risolvere ben poco laddove un paio di interventi avrebbero potuto disegnare definitivamente un organico sempre al limite della completezza. 

Nella partita con la Juventus non sfuggono gli elementi tipici di questa contraddizione di fondo. Il paradosso ha detto di un Napoli alla ricerca della vittoria sin dal primo minuto, ma ingenuo nel subire goal nella maniera più evitabile possibile. Questa piaga del palleggio arretrato a tutti i costi e della disattenzione in zone di campo cruciali sembra non avere fine, ed è un discorso che vale in generale. Poi, ha raccontato di una squadra a costante trazione anteriore, ma con Osimhen troppe volte isolato, talvolta a causa della sua irruenza o, in altri momenti, per mancanza di raccordo coi compagni di reparto. Più velocità nello stesso meccanismo contemporaneamente. A proposito di paradossi.

La linea mediana, tutta nuova e in fase sperimentale con Anguissa appena arrivato e subito arruolato, a tratti è stata latitante, poi ha dominato, poi si è palleggiata addosso un po’ troppe volte, poi ha cambiato linee un po’ troppo spesso e poi, soprattutto Fabian Ruiz, non ha mostrato molto coraggio quando avrebbe potuto. Timori o equilibri in fase di assestamento, si capirà più in là. Nonostante statistiche nettamente a favore dei partenopei, il Napoli non ha costruito palle goal nitide e l’estremo della Juventus ha parato poco e niente. In questo caso, però, questo poco e niente sembra aver avuto un peso specifico di gran lunga superiore al tutto.

Ecco che la vittoria, che resta meritata, cercata, voluta, desiderata, si presenta peggio rispetto a tante prestazioni passate, ma molto meglio nel risultato, soprattutto se inquadrato in quella capacità di aver approfittato della difficoltà dell’avversario - non un avversario qualunque - per assestare un colpo che dopo tre giornate di campionato è troppo relativo, ma che risponde, una volta tanto, a un dire che in altri momenti non aveva trovato conforto nel fare. 

Questo Napoli, e forse non sarebbe un segno di debolezza ammetterlo adesso, ha ancora tanti limiti. Non soltanto, e per sua fortuna, fisiologici, ma ancora tanti limiti. Troppe distrazioni difensive, troppi momenti di stanca, troppi momenti di assenza dal gioco da parte di troppi calciatori. Un insieme di troppi che però non storpiano. Tutti figli di quel paradosso pieno di interrogativi che adesso rammenta le assenze di Demme, Mertens, Meret, le condizioni ancora precarie di Lozano e Zielinski? Per citare nomi importanti. Tutto in un organico in cui la fascia sinistra difensiva reclama un punto debole che tra poco finisce negli stereotipi della Napoli oleografica. Il paradosso è servito. Col mezzo sorriso, però.

E poi, mai sottovalutare il doppio gioco del paradossale. Dalla sua può avere di svelare l’equivoco. Del resto, Nietzsche diceva che quello che sembra un paradosso non sta in quello che l’autore ha scritto, ma nella testa del lettore. La dirigenza napoletana ci spera, e non è un merito, Spalletti ci lavora e fa bene. In fondo, una storia che a Napoli si ripete. Stavolta, però, il goal di Koulibaly negli ultimi minuti è arrivato quando c’è tutto da giocarsi. Il poco è lontano e Paradoxical Dreamers è la colonna sonora di Another Eden. Forse, è proprio altrove che vanno cercati certi paradisi.