A Napoli, in novant’anni di calcio, non si è molto abituati a quella competizione in cui le migliori squadre d’Europa si contendono il trofeo più prestigioso riservato ai club. La “Coppa dalle grandi orecchie”, così è soprannominato. Eppure, una costante sorprendente accomuna le cinque partecipazioni del Napoli alla Coppa dei Campioni prima e alla Champions League poi.
Nel 1987, dopo lo storico primo scudetto, il Napoli debutta nella massima competizione europea con il Real Madrid. Sorteggio dei sedicesimi molto sfortunato, che costringe gli uomini di Maradona ad affrontare una tra le grandi favorite per la vittoria finale. Un battesimo feroce, che vede i partenopei fronteggiare il club più avvezzo a questo torneo. Eppure, nella partita di andata, giocata in un clima surreale, dovuto alla decisione di far disputare l’incontro a porte chiuse a seguito di un provvedimento disciplinare della UEFA, in un Bernabeu spettrale, il Napoli deve cedere il passo al più esperto Real grazie a un rigore e a un’autorete, dopo aver colpito un palo e dopo che Giordano, a porta vuota, spedisce fuori il pallone che avrebbe consentito al Napoli di segnare un goal preziosissimo. La gara di ritorno costringe gli azzurri alla rimonta. Ribaltare lo 0-2 contro una grande squadra è impresa da leggenda. Nonostante la difficoltà del risultato, davanti a un San Paolo di centomila e passa spettatori (le stime reali superarono di gran lunga quelle ufficiali), il Ciuccio sfodera una prestazione maiuscola, portandosi subito in vantaggio con Francini, autore di una prestazione straordinaria, e sfiorando il secondo goal in più di un’occasione. All’ultimo minuto del primo tempo, quando pare che solo l’intervallo sia l’unica soluzione per il Real di rifiatare, da un alleggerimento sbagliato proprio da Francini, paradossalmente il migliore in campo, Butragueño gela un San Paolo che ormai crede all’impresa. Il goal dello spagnolo pone fine alle speranze di rimonta, e al Napoli non resta altra consolazione che quella di constatare di non essere stato inferiore al grande Real.
Pochi anni dopo, nel 1990, il Napoli supera il primo turno eliminando senza difficoltà i modesti ungheresi dello Újpesti Dózsa e, agli ottavi, trova i russi dello Spartak Mosca, la storica squadra che fu dei fratelli Starostin durante l’opposizione interna al regime di Stalin. Il Napoli è superiore e lo dimostra nel gioco durante la partita di andata. Gli uomini allenati da Bigon colpiscono tre legni, dominando un avversario che per poco non beffa i padroni di casa in un finale che vede anche i russi fermati dal palo. La gara di ritorno, nel gelo di Mosca, è segnata dai capricci di Maradona, che non si unisce alla squadra e che, nella sorpresa generale, raggiunge i suoi alla vigilia della partita. La società, applicando il regolamento dei contratti di quegli anni, decide di relegare in panchina il fuoriclasse argentino che subentrerà solo nella seconda parte dei 120 minuti di uno 0-0 che obbliga le squadre ai calci di rigore. Durante i supplementari è ancora una volta il palo a negare a Incocciati la gioia del goal che avrebbe consentito al Napoli di passare il turno. Ai rigori passa lo Spartak e per il Napoli, che esce dalla coppa da imbattuto, l’eliminazione ha il sapore amaro dell’occasione perduta per accedere ai quarti e continuare in una competizione in cui i partenopei avrebbero potuto giocarsi anche qualche carta per arrivare in finale.
Il Napoli ritorna nella massima competizione continentale dopo molti anni. È il Napoli del dopo fallimento, quello che Aurelio De Laurentiis rifonda dai documenti del tribunale fallimentare. L’edizione 2011\2012 (la Coppa dei Campioni è diventata già da diversi anni Champions League) vede gli azzurri allenati da Mazzarri superare un girone ad altissimo coefficiente di difficoltà. Bayern, Manchester City e Villareal non spaventano Cavani e compagni. Agli ottavi c’è il Chelsea. All’andata il Napoli annichilisce i londinesi con un perentorio 3-1. La gara di ritorno è condizionata dall’uscita per infortunio di Maggio. Dopo quasi mezz’ora, l’infortunio dell’esterno azzurro, fondamentale nello scacchiere di Mazzarri, toglie al Napoli un equilibrio che fino a quel momento aveva garantito al Napoli la possibilità di controllare il risultato rendendosi addirittura più pericoloso degli inglesi. L’esperienza e la caratura del Chelsea, di un Drogba trascinatore e le occasioni sprecate dai partenopei, che non possono contare su un organico ampio come quello del Chelsea, portano la gara ai supplementari, durante i quali un goal di Ivanovic regala la qualificazione ai blues. Un’altra occasione sprecata. Gli uomini dell’allenatore toscano, forse, avrebbero meritato la qualificazione.
Due anni dopo, con una nuova guida tecnica, quella di Rafa Benitez, il Napoli affronta una nuova avventura europea nella massima competizione. Un Ciuccio rinnovato nell’organico deve fare i conti con un girone per certi versi ancora più impegnativo di quello dell’impresa compiuta due anni prima. I vicecampioni del Dortmund, l’Arsenal e l’Olimpique compongono un raggruppamento che è il più difficile del torneo. Il Napoli disputa grandi prestazioni e, alla fine della tornata, ottiene 12 punti. Purtroppo, però, per la prima volta nella storia della Champions League, il girone si chiude con tre squadre a 12 punti. Decide la differenza reti, che, per un solo goal di differenza (un’autorete rocambolesca a vantaggio del Dortmund nella gara del San Paolo, finita 2-1 per il Napoli) condanna gli azzurri al terzo posto. Il Napoli esce dalla Champions, ma, anche stavolta, lo fa senza essere stato superato dalle due qualificate, Borussia e Arsenal. La beffa si fa ancora più amara nell’ultima giornata, quando un goal quasi allo scadere regala la qualificazione ai tedeschi sul campo di un Olimpique incapace di ottenere anche un solo punto in sei partite. Senza quella rete, a passare sarebbe stato il Napoli.
L’ultima “apparizione” in Champions del Napoli è quella del preliminare disputato con l’Athletic Bilbao, in un doppio confronto (1-1 al San Paolo e 3-1 per i baschi in Spagna) caratterizzato da tante opportunità da goal sprecate e da svarioni difensivi clamorosi. Di fatto, un’esclusione dipesa solo ed esclusivamente dagli errori degli azzurri. Di fatto, un’altra occasione buttata al vento.
Sia pur in forme diverse, per un club come il Napoli, che vanta una storia acerba rispetto a un torneo che pare pretenderla questa esperienza, la Champions League ha il volto del paradosso. Fino a questo momento, nelle edizioni a cui ha partecipato, il Ciuccio ha sempre disputato grandi partite, con prestazioni a volte anche oltre le proprie stesse possibilità, giocando alla pari anche con avversari di caratura superiore. Nonostante tutto, però, in ogni occasione ai partenopei è mancato qualcosa che non va soltanto individuato in aspetti tecnici. Quella che una volta si chiamava Coppa dei Campioni per il Napoli, in quelle rare occasioni, ha significato sempre il sapore del rimpianto. Quel qualcosa ha sempre detto di risultati caratterizzati da imprese sfiorate, di momenti avversi, anche di sfortune, pure di episodi straordinari. Sempre una gran bella figura, ma sempre accompagnata da una grande amarezza.
Il Napoli ha un rapporto quasi malinconico con una competizione che, mentre per i grandi club europei è un’abitudine, per il Ciuccio è ragione di ricordi e di nostalgie. Averla disputata due volte con una squadra che avrebbe potuto vincerla - la vittoria della “vecchia” Coppa UEFA (torneo in quegli anni parificabile alla Coppa dei Campioni come livello di difficoltà) in quegli anni testimoniò la caratura internazionale di quel Napoli - e aver sfiorato le grandi imprese anche quando il Napoli non è partito favorito, sono, forse, i segnali quasi ancestrali di una squadra che, in questo momento, davanti a una nuova partecipazione al torneo più prestigioso d’Europa, ha bisogno prima di tutto di questo, di liberarsi di qualche fantasma di troppo, anche nella possibilità di una sconfitta. A volte c’è un po’ di vittoria, forse meglio dire di successo, anche in quella, in certi casi, paradossalmente, con quella malinconia tipica del mito, pure di chi sa che, con dignità, si aggira tra i giganti.