Nonostante la codificazione a freddo di un calcio industriale e finalizzato al calcolo finanziario, qualcosa rifiuta ancora il luogo comune. Il Napoli pare sia la vittima di un paradosso che in queste settimane sta passando per disastro sportivo. I numeri dicono di numerosi contrari rispetto alla classifica e agli ultimi risultati di una squadra che è tanto proiezione di certe inversioni di rotta societarie quanto di contraddizioni tattiche e tecniche.

Ne La pressa di Hanta è sempre stata condotta l’idea secondo cui il lavoro di un allenatore non può essere ridicolizzato da una critica spicciola e sbrigativa. È valso, nella fattispecie, per Benitez, per Sarri e per Ancelotti. Pure se Gattuso sembra godere di una diversa benevolenza da parte dei media nazionali, più lucidi e “amici” col tecnico calabrese, e di un giudizio gretto e sommario da parte di una frazione (o fazione?) consistente della stampa napoletana, ci sono gli elementi per non sfuggire alla regola di cui sopra. Perdonate la polemica, che polemica non è, ma è solo un avviso a salvaguardia di una modalità immune e distante dalle rabbie e dalle gogne. Pure perché la debolezza di Gattuso (meno empatico dei suoi precedessori), in fondo, è stata proprio quella di caderci dentro fino al collo, in quella grande provocazione collettiva che lega nel peggiore dei modi la debole capacità di comunicazione del Napoli e la malafede di un certo giornalismo. 

 

I numeri, che contino o meno è nel relativo delle letture e nella spietatezza degli eventi

Il Napoli è primo nella classifica dei tiri verso la porta, primo in quella dei tiri nello specchio della porta, quarto in quella dei goal segnati (media 2,2) e terzo senza i calci di rigore. Poi, è quarto, considerando gli ex aequo, in quella degli assist vincenti, secondo nella classifica dei cross, terzo in quella dei km percorsi, quarto (sempre considerando gli ex aequo) in quella dei legni colpiti, secondo nella graduatoria dei calci d’angolo ed è secondo anche per possesso palla.

Volendo citare alcuni voci statistiche ancora più specifiche, ma indicative sul piano della lettura della funzionalità tattica, il Napoli è tra le prime tre per predominanza territoriale (si intende l’occupazione del terreno di gioco attraverso quello che tecnicamente viene definito baricentro medio) ed è la seconda squadra per numero di passaggi riusciti all’interno dell’area di rigore.

Il numero che, invece, diventa significativo rispetto all’incidenza sui risultati delle gare è quello delle parate. Il Napoli è ultimo. Questo non significa che i portieri del Napoli non sappiano parare (il rendimento di Ospina e Meret non fa registrare errori gravi o svarioni), ma che il Napoli in fase difensiva concede estrema pulizia di tiro all’avversario. Il dato in sé sarebbe positivo (basti guardare al fatto che la penultima è l’Inter), ma diventa negativo nel momento in cui le occasioni fisiologicamente concesse sono occasioni da coefficiente molto alto di cosiddetto goal expected, ovvero di chiara occasione da rete.

Si tratta di un’anomalia, che dipende da vizi difensivi globalmente intesi, che caratterizzava il Napoli anche durante il secondo anno di Rafa Benitez, in cui spesso si registravano incidenze altissime di goal subiti nonostante il numero esiguo di palle goal concesse agli avversari (considerando la capacità di dominio territoriale di quel Napoli).

Adesso, alla luce di questi elementi, le considerazioni non sono di così semplice lettura. Alcune potrebbero soffermarsi sulle dinamiche di gioco individuali (errori tecnici dei singoli, per esempio, e ce ne sono stati non pochi), altre su situazioni tatticamente discutibili. Se si pensa ai goal subiti con Udinese, Sampdoria, Spezia e Genoa, solo per citarne alcune, si notano tutti errori individuali, determinati, però, dall’unica obiezione che ci si può sentire di muovere a Gattuso. L’esasperazione della costruzione da dietro dell’azione non porta a nulla di buono. Lo dicono i goal subiti e lo dice il numero di palle perse in quella zona di campo.

Gattuso vuol fare recitare un copione che non è più di questo Napoli. Il sarrismo, che a distanza di tempo si è rivelato una maledizione, è stato possibile grazie ai Reina, Albiol, Jorginho, Hamsik e Callejon, ai migliori Ghoulam e Insigne, e non a questo parco calciatori, che è di qualità, ma non è dotato di quelle qualità. L’ostinazione di Gattuso a imprigionare questo Napoli in un’inquietudine del palleggio, invece che di una leggerezza del possesso palla, appare francamente logorante. 


Gli infortuni

Non possono essere una giustificazione e un alibi perpetuo, ma quelli del Napoli sono stati di certo incidenti. Fin quando l’Osimhen prima dell’infortunio garantiva alla squadra una fluidità di gioco e un’efficacia tattica ben diverse da quelle viste dopo. Gattuso gli stava costruendo un tipo di gioco addosso, molto efficace considerando i risultati e la continuità. Poi, si è aggiunta l’assenza di Mertens. Non è un caso che il Napoli ha iniziato a soffrire quando non ha più potuto contare su due calciatori troppo importanti negli equilibri immaginati e avviati inizialmente da Gattuso. Certi infortuni sono stati danni chirurgici, specifici e sostanzialmente irrimediabili. Almeno rispetto a un certo tipo di filosofia.


L’equivoco dell’organico ampio

Il Napoli ha sempre sofferto questo antico problema. Quest’anno le apparenze davano un Napoli completo e di grandi scelte. Non è mai stato così. Ghoulam e Malcuit non sono mai stati calciatori realmente utili alla squadra. Effetto, tre calciatori come Di Lorenzo, Mario Rui e Hysaj hanno dovuto sopperire a due zone di campo. Così come Llorente e Milik sono stati due nomi in organico e nulla più. Lobotka, utilizzato poco, non è mai entrato nei meccanismi di questo Napoli, così come Rahmani non pare godere di molta fiducia e Maksimovic, probabilmente condizionato dalle vicende contrattuali (ma questo non è un alibi), non sembra garantire un rendimento affidabile. Tra calciatori reduci da infortuni gravi e mai recuperati, altri in organico ma solo sulla carta e altri utilizzati solo per causa di forza maggiore, questo Napoli ha rivelato dei limiti provenienti anche da scelte poco funzionali e investimenti eccessivi, soprattutto se rapportati a grandi possibilità perdute in passato per pochi milioni di euro. 

Il Napoli è poco a poco regredito, smarrendo tutto quello che di buono aveva costruito fino a pochi mesi fa. Questa stagione rischia di avviarsi a una regressione interiore, di identità. Il Napoli degli ultimi anni non ha mai lasciato intendere un’intenzione chiara sul suo percorso, talvolta causando un cortocircuito tra gli allenatori e i calciatori, smettendo di essere quel Napoli che, nonostante alcuni limiti, riusciva a manifestarsi come un’anomalia felice del calcio italiano. Al di là dei risultati. Adesso questo Napoli sembra aver perduto quel senso di entusiasmo. Non più ribelle, ma nemmeno allineato. Si è dato un grigiore tutto suo. Nonostante i dati lo incoraggino, la sensazione è che il trascorrere del tempo lo scoraggi sempre di più. A chi competa rimediare è una domanda che sicuramente può riguardare solo il Napoli stesso. Il resto è ostacolo.