In un frangente storico opaco per l’Inter, dove i problemi sono all’ordine del giorno, ho costantemente in testa una domanda scomoda, ingombrante, perturbante: che cosa resterà di Geoffrey Kondogbia?
Un assillo ciclico, che mi scaraventa dalla rassegnazione all’ostinazione di non arrendermi al già visto ed al superficiale.

Alzare bandiera bianca di fronte alle prestazioni di Kondogbia significherebbe prendere il francese, impacchettarlo, cercare l’etichetta “plusvalenza” e spedirlo più lontano possibile, tanto per non avere ulteriori rimpianti in terra italiana. Questo però, a me, come penso a tanti tifosi interisti, non basta e non può bastare.
Da una parte lo giustifico con un fattore emozionale, scaturito da una trattativa clamorosa, intensa, dispendiosa e goduriosa per averlo strappato ai cugini milanisti, dall’altra per lo stile caricaturale del giocatore, a cominciare dall’esaltazione dell'apparizione in Piazza della Repubblica, finendo per quel volto da fumetto che lo rende simpaticamente scusabile.

Quel che è certo è che attualmente non è il giocatore visto al Monaco o al Siviglia. Innegabile sì, ma non per forza vincolante ad un giudizio definitivo.
L’entrare nell’ottica del movimento calcistico italiano è stato senza dubbio il fattore principale di un suo difficile inserimento, non agevolato da un’Inter brutta ed in costruzione che, per natura, non poteva esaltare le sue caratteristiche. Il gioco piatto di Mancini (non necessariamente in senso negativo) non gli ha permesso di espletare il suo curriculum, impregnato di dribbling (rischiosi) in mezzo al campo e di strappi accentuati per creare superiorità numerica nella trequarti avversaria. Le distanze, in Serie A, impongono un altro tipo di filosofia, dove affrontare direttamente l’avversario in mediana non sempre paga e, anzi, può costare caro. Inoltre è stata marcata la sofferenza per l'assenza di un regista al suo fianco. Il francese, nonostante una discreta tecnica, non ha le doti da primo costruttore di gioco. Non ha infatti i tempi e fatica nei movimenti richiesti per quel tipo di ruolo, come la copertura della palla e ed il rapido controllo orientato con entrambi i piedi.

Se l’approccio è stato traumatico, nella seconda parte della stagione scorsa i progressi si sono pian piano manifestati, rimanendo costanti e rincuoranti. Meno compiti di costruzione, solita ottima fase di interdizione ed un ruolo sempre più definito all’interno del progetto.

L’addio di Mancini, forzato, ha cancellato tutto. Nel frullatore delle certezze metto: l’idea di gioco, le distanze dei reparti, l’assetto tattico, ma soprattutto la mentalità, fondamentale nella crescita e nella fiducia nei propri mezzi fisici e tecnici. De Boer gli ha dato più di un’occasione, senza avere risposte concrete, e sapendo probabilmente di non avere tempo sufficiente. Così, al minuto 28 di Inter-Bologna, Geoffrey ha toccato il fondo, sostituito per palese incapacità di reggere un centrocampo malato e poco rodato.

La sostituzione contro il Bologna (Getty Images)

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Con la cacciata dell’olandese, per la terza volta da quando è arrivato all’Inter, dovrà ripartire da zero. Se l’addio di Mancini è stato doloroso, l’arrivo di Pioli, perlomeno, non potrà essere peggio che la gestione sotto il regno di De Boer. Pioli non ha la bacchetta magica e sicuramente non avrà, nell’immediato, tempo di sperimentare. Inoppugnabile, e l'ex Lazio lo sa, è che Kondogbia sia un patrimonio della società e che sarà una prerogativa, così come in passato, dargli una chance.

Ripercorrendo l’anno e mezzo del francese all’Inter, è faticoso trovare giornate da ricordare ed emozioni da raccontare. Un trascorso troppo anonimo per il peso dei milioni e delle aspettative. E poi quella strana domanda, tamburellante, che si fa oggi ancora più forte: che cosa resterà di Geoffrey Kondogbia?

Se la sua avventura finisse oggi, sicuramente poco. O peggio, poco che si possa apprezzare.
Rimarrebbero sicuramente tanti rimpianti, le risate per un trattativa smodatamente folcloristica e quei salti sulla balconata come immagine di un passaggio rumoroso, ma contemporaneamente intangibile.

Per forza, non può essere tutto qua. Non siamo ancora pronti ad arrenderci.
Aspettiamo, ancora una volta fiduciosi, prima di darci una risposta definitiva.