La copertina del libro "1977- L'anno dei tre campioni"
La copertina del libro "1977- L'anno dei tre campioni"

Chi è stato il calciatore più grande? Qual è stato il momento in cui il calcio ha raggiunto il suo punto più alto? Domande che hanno del teologico. Eppure, c’è chi non esiterebbe a rispondere. I secoli si sommeranno, se e quando questo sport esisterà ancora, e forse una parte di esso sbiadirà per lasciare posto a nuovi ricordi, a un passato che nessuno conosce ancora, via via fino a quando non si rinnoveranno le stesse domande. Tra i protagonisti che hanno interpretato questa disciplina sopra ogni riga, alcuni hanno ricevuto l’onorificenza dell’oggettività. Sono stati grandissimi, nell’assoluto dell’innegabile.

Francesco Gallo, Jvan Sica e Alessandro Mastroluca hanno messo il dito su un anno che ha visto sul terreno di gioco tre personaggi che, secondo l’opinione di molti, hanno incarnato le tre dimensioni di quell’assoluto. La materia del prodigio è diventata tangibile quando il calcio ha contemplato l’avvento di Pelé, Cruijff, Maradona. Le loro apparizioni, le loro carriere e le loro consacrazioni si collocano in periodi diversi, fissi lassù in un’epoca che va dal dopoguerra alla fine del millennio. Mezzo secolo di un calcio che, probabilmente, ha sprigionato il suo genio più potente, come accade per le ispirazioni degli autori destinati a fare la storia.

Questi tre uomini hanno segnato momenti diversi e separati, ma si sono ritrovati a calcare i terreni di gioco simultaneamente nell’anno 1977, che dà il titolo al libro di Gallo, Sica e Mastroluca, edito da Ultra (marchio della Lit Edizioni). 1977 - L’anno dei tre campioni. Un libro che non tesse le lodi e che non canta un poema epico elevato al culto della personalità, ma che, attraverso un racconto in forma di cronaca, scandisce numerosi momenti dell’evoluzione tecnica e caratteriale dei suoi tre protagonisti. Preceduto da un prologo-presso sui principali avvenimenti dell’anno precedente, 1977 è un volume di particolari diviso in tre parti (ognuna delle quali è densa di ganci ad articoli e titoli di celebri quotidiani e riviste), ciascuna dedicata ai tre calciatori.

In alcuni capitoli il protagonista è assente. Il privilegio del dettaglio va allo scenario. Il panorama di spalle avanza in primo piano. L’orizzonte scavalca e si frammenta in un saliscendi di segmenti su cui poggiano risultati di partite, giocate, stagioni, contratti e aneddoti che coinvolgono numerosi personaggi, conosciuti e meno conosciuti, di quegli anni. È l’encefalogramma, tutt’altro che piatto, dell’epoca in cui nessuno immagina che una curiosa contemporaneità avrebbe reso ubiqui la contemplazione della leggenda e il sorgere della sua continuazione. Il mito da un uomo all’altro, senza il sangue dei suoi eroi fronteggiati, ma con l’ossequio alla trasmissione caotica della sua profezia. Il passaggio di ogni elemento-significato per la disposizione della formula assoluta, come si accennava al principio, non di un prototipo perfetto del campione, ma della spiritualità e creatività secondo l’uomo votato al miracolo del capolavoro. 

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MARADONA

«Es un cuento de amore».

Maradona viene presentato come un embrione prezioso che, col passare degli anni e delle partite, mostra le linee sempre più luminose della sua alba miracolosa. La descrizione del prodigio assume i tratti di una gestazione postuma a freddo, che si concentra laddove non sembrano trovare spazio le anguste e lacunose considerazioni di ordine morale. Il calciatore del calcio, vicino e lontano, ravvicinato e inafferrabile. Il Maradona del trio autore di 1977 è la polare del grafico di una nazione e, per certi aspetti, dello scenario civile del mondo occidentale. Un carico umano inevitabilmente destinato a reprimersi e ad esplodere al tempo stesso. Il Pibe de Oro sorge a cavallo di uno dei momenti più delicati e drammatici della storia del Novecento latinoamericano. E non solo. 

“La cosa che può sembrare scioccante è che, nonostante un evento così traumatico per la storia dell’Argentina, al tempo il comunicato di Videla non ebbe una risonanza eccezionale, purtroppo gli argentini stavano aspettando quel golpe, che puntualmente arrivò, quasi senza sorprenderli. Molti di loro invece aspettavano con ansia un collegamento importante, ovvero quello da Chorzow, in Polonia, dove doveva scendere in campo l’Albiceleste. Alle 13:45 la musica classica che in quel momento aveva dato tregua ai telespettatori sfumò e partì il collegamento dalla Polonia.”  1977 - L'anno dei tre campioni 

Altri campioni popolano quel panorama. Monzon e Vilas, alfieri inimitabili di quel motto di spirito popolare per cui gli argentini si sono sempre contraddistinti per il desiderio di ammirazione vicariato e incarnato nell’eroe moderno, il portabandiera immortale e umanissimo, in risposta a quell’inconscio violato dalle brutalità di esperienze politiche e collettive drammaticamente traumatiche. Quando Maradona non era ancora diventato una pratica liturgica riassunta in un nome solo. Dal luccichio povero delle Cebollitas all’approdo in Europa, il Diez di 1977 è vagliato istante dopo istante secondo i comprimari che lo hanno assistito, spinto e osteggiato dal mondiale che lo ha visto assente nel 1978 fino all’omesso narrativo che tutti conosciamo. 

“La risposta più bella di Diego è alla domanda «Come sai fare quello che fai?», il ragazzino dice semplicemente: «Desde me acuerdo, siempre tuve una pelota en los pies».” 1977 - L'anno dei tre campioni

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CRUIJFF

«Di qui, da secoli, fumatori di pipa contemplano la medesima pioggia che cade sul medesimo canale». Albert Camus, La caduta

Cruijff secondo 1977 non poteva che essere descritto attraverso i segni che hanno determinato la nascita del linguaggio del gioco del calcio. Meglio ancora, del linguaggio del suo sviluppo. Il nome del Profeta del goal è legato al mito di Aiace (il nome Ajax deriva da quello), alle vicende della seconda guerra mondiale che hanno visto i Paesi Bassi dividersi tra l’invasione nazista e il collaborazionismo e la silenziosa e pulsante tensione di un luogo apparentemente in disparte, ma fortemente condizionante.

La squadra dell’uomo che ancora oggi rappresenta l’incarnazione dell’intelligenza calcistica per eccellenza avrebbe applicato modelli di gioco tutt’oggi in voga. E, quel Cruijff arrivato da difficili e sfortunate vicende familiari, che avevano attirato la sensibilità del club dove il suo nome sarebbe diventato leggenda, avrebbe portato quello sviluppo di quel linguaggio di gioco fino ai successi di chi senza paura avrebbe colto i suoi insegnamenti. Prima, però, c’è stato il Cruijff calciatore. Chi lo ha visto giocare ne ha poi parlato come chi ha avuto il privilegio di assistere alle performance di un genio della musica contemporanea. Come chi ha visto Glenn Gould dal vivo, o i Pink Floyd, o Jimi Hendrix

"Sì, perché il calcio, come l’architettura, è una forma d’arte collaborativa. E proprio come l’architettura olandese, il modo di giocare con cui gli olandesi avrebbero ammaliato il mondo – come sapientemente descritto da David Winner nel suo meraviglioso libro Brilliant Orange. Il genio nevrotico del calcio olandese – si svilupperà attraverso la disciplina e la collaborazione. «Nessuno prima aveva immaginato e strutturato il proprio gioco in modo così astratto e architettonico come gli olandesi»." 1977 - L'anno dei tre campioni

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PELÉ

«Ho trentasette anni, ne ho passati ventidue nel calcio, è il momento di riposarmi. È meglio andarsene quando la gente ancora chiede di te, non quando vogliono che te ne vai». Pelé

Il 1977 per Edson Arantes do Nascimento non può che collocarsi nel segno dei N.Y. Cosmos e il successo raggiunto con la squadra statunitense nello stesso anno nel campionato NASL. Già allora risuonò come un paradosso che la “Perla nera” avesse chiuso la sua gloriosa carriera con la maglia di un club nordamericano, negli anni in cui per i brasiliani una cosa del genere risuonava quasi come un guasto. 

Eppure, il libro 1977 sottolinea, attraverso le testimonianze dei cronisti del tempo, che l’esperienza di “O Rey” negli Stati Uniti non può essere ridimensionata in una passerella d’onore. Allora, i calciatori e le persone vicine alla squadra del N.Y. Cosmos capirono che la presenza del più grande non sarebbe servita solo per aiutarli a vincere, per poi interrogarsi sul proprio valore senza di lui, ma proprio per consacrare la fedeltà ai colori anche grazie all’avvento di un calciatore così. La vittoria di quel campionato se pure non fosse arrivata, non avrebbe scalfito questo sentimento. E solo una leggenda vivente come quella di Pelé avrebbe potuto spingere una squadra a sentirsi grande in un paese dove il calcio veniva considerato qualcosa di secondario, quasi un ripiego, una sperimentazione ludica e basta. Infatti, meno di vent’anni dopo, gli Stati Uniti avrebbero ospitato un’edizione della Coppa del Mondo.

"In quel periodo, nel 1977, in Jugoslavia spopolava Skalinada, la hit di Oliver Dragojevic, uno dei più celebri cantanti croati di tutti i tempi. È una breve canzone sulla solitudine, sulla difficoltà di incontrare la felicità. Ma non è una canzone triste, perché ha al centro del refrain l’immagine della scalinata (da cui il titolo): «Ogni scalino, ogni passo è un’altra speranza», canta. «Il mio destino, non lo vedi, è una strada senza sole nel giardino della vita. E quello che mi resta è solo questa canzone»." 1977 - L'anno dei tre campioni