Domenica 05 ottobre 2014, ore 18:27. L'ennesimo terremoto arbitrale sconvolge l'angelico mondo del calcio italiano.

Alla Juventus viene accordato un rigore per un presunto fallo di mano di Maicon su un calcio di punizione di Pirlo. Il popolo del web che non vede di buon occhio i colori bianconeri si scatena subito, ritirando fuori i soliti slogan, quelli che erano stati un po' accantonati dopo il famigerato gol di Muntari.

La partita prosegue, alla Juventus viene accordato un nuovo calcio di rigore, anche questo dubbio. La polemica e le invettive diventano quasi d'obbligo. Scatta la caccia allo juventino ladro e a chi riesce ad alzare ulteriormente i toni, coadiuvati egregiamente dalle dichiarazioni post-partita del capitano e simbolo giallorosso Francesco Totti, dal tweet di monsieur Garcia e dalle piccate repliche di Pavel Nedved.

 

Poi, finalmente, accade il miracolo. In mezzo al parapiglia di denuncie, interrogazioni parlamentari, nuovi Moggi e chi più ne ha più ne metta, interviene un novello Jake Blues. Il presidente giallorosso James Pallotta, come il compianto John Belushi, vede la luce e indica la retta via della sportività. Calm down, direbbe nella sua lingua madre, calmiamoci un po', ha dichiarato nella lingua di Dante.

 

Parole decise, ma non dure, che stanno ad indicare quanto i toni siano stati alzati per quello che, fino a prova contraria, rimane la cosa più importante tra quelle meno importanti: un gioco, quello più bello del mondo sì, ma pur sempre un gioco. La strada indicata da Pallotta è dunque quella giusta e fa ancora più specie che ad indicarla non siano persone rappresentative del nostro mondo sportivo (e anche politico), ma sia uno straniero, anzi un americano, popolo che fa dello showbiz quasi una ragione di vita.

 

Chiudiamo la porta alle polemiche, alla necessità di fare indici di ascolto sempre più alti, mettendo da parte le inquadrature che mostrano quanti peli ha sulla mano Maicon o se Lichtsteiner aveva le unghie troppo lunghe mentre si attorcigliava su Totti. 

 

Lasciamo parlare il campo dunque perché, alla fine, è sempre lui il giudice supremo, senza possibilità di appello. 

 

Luca Tonazzini