Degli attaccanti

Quando arrivò a Napoli, durante la costruzione per mano di Rafa Benitez, i mugugni e le perplessità non furono pochi. Trattamento riservato a non pochi calciatori arrivati all’ombra del Vesuvio durante la gestione del tecnico spagnolo. Mertens, Koulibaly, Callejon, per esempio. Di lui dissero che era macchinoso, poco utile a una squadra che aspira a fare il salto di qualità. Certo, in quegli anni a Napoli davanti a lui c’era Higuain. Benitez, però, ovviamente non disdegnò di utilizzarlo impiegandolo di tanto in tanto anche come titolare, facendo sì che il colombiano collezionasse 37 presenze, per un totale di 11 goal in una media realizzativa che, rispetto ai minuti giocati, non ne registrò un rendimento da non tenere in considerazione. 

Nonostante tutto, l’arrivo di Sarri non gli valse la benedizione a qualcosa di più, perché sotto la guida del tecnico toscano Duván Esteban Zapata Banguero, di fatto, scomparve dai piani del Napoli. C’è chi dice che fu la società a non volerlo più tenere in considerazione e c’è chi dice che non piaceva al suo nuovo allenatore. Tuttavia, Zapata ha lasciato Napoli per approdare a Udinese e Sampdoria prima di arrivare a Bergamo con l’Atalanta. Ed è qui che l’attaccante colombiano si è tolto la soddisfazione di andare oltre le attese modeste intorno al suo potenziale, collocandosi sopra nomi molto più blasonati nella classifica cannonieri. 

Insieme a Quagliarella, l’attaccante nerazzurro ha dato una lezione di umiltà a quella parte di Serie A dal tono glamour e aristocratico, a quella faccia del calcio che distribuisce onori ed elogi a seconda delle procure e degli ingaggi, invece da quello che si vede realmente sul terreno di gioco. È chiaro che da qui a diventare un calciatore di grande calibro ce ne passa, e non si sa ancora se Duvan Zapata lo sia veramente, ma i suoi numeri stagionali, che per adesso si accostano a quelli degli attaccanti migliori attualmente in circolazione, dicono di un ripensamento collettivo che, ancora una volta, dimostrano quanto sia importante credere al lavoro di scoperta e costruzione delle cose che, invece che farti comprare la gloria e il successo, ti consente di costruirtelo. Ma occorre tempo. Il tempo impiegato dall’Atalanta in questi anni, da quelli come Zapata.

A proposito di chiacchiere

Il dopo Napoli-Cagliari ha mandato in scena l’ennesimo tentativo di sproporzione. Le proteste del direttore sportivo dei sardi sono state smontate dalle spiegazioni tecniche di Rizzoli che, dagli studi della Domenica sportiva, ha chiarito per filo e per segno le ragioni della decisione presa dall’arbitro allo scadere della partita. Sottolineando la presenza di un protocollo, Rizzoli ha anche fatto riferimento alla presenza di uno strumento a disposizione della sala Var, che, grazie al supporto di un software, consente un’analisi oggettiva dell’episodio. Infatti, stando all’attendibilità del calcolo effettuato dal cursore, il fallo di mano in questo caso determina l’assegnazione del calcio di rigore.

“Il sistema ha una linea vettoriale precisa al centimetro sia in orizzontale che in verticale che fa la proiezione del pallone nel momento in cui viene toccato dal braccio. E’ una cosa precisa che certifica che la palla è dentro. L’importante è dove è il pallone nel momento in cui tocca il braccio. Non ci sono dubbi se è dentro o fuori, perché è su una linea precisa. Basta che tocchi la linea per essere dentro.”

Diversamente, a Sky, dove forse non erano a conoscenza di questi elementi tecnici, lo sfogo del dirigente cagliaritano ha trovato terreno fertile, soprattutto quando dallo studio qualcuno ha richiamato all’attenzione dei presenti il concetto di sudditanza. Una rievocazione che ha del grottesco, considerando che durante Napoli-Chievo, per citarne una, alla squadra di Ancelotti sono stati negati due calci di rigore (uno molto evidente), nonostante il Var. Riesce davvero difficile pensare alla sudditanza dell’ultima in classifica a danno della seconda. Con tutto il rispetto. Peccato che in certi studi televisivi alcune rievocazioni non si verifichino par condicio.

Inoltre, varrebbe la pena ricordare un altro aspetto sfuggente. Nonostante i chiarimenti di Rizzoli, il direttore cagliaritano ha proseguito a sostenere la sua posizione alludendo più a una questione di opportunità di assegnazione che di merito tecnico, peraltro incontestabile alla luce delle parole di Rizzoli, della decisione. Ma - sarebbe bene sottolinearlo più spesso invece che accogliere con moderazione e doveri di pacatezza in nome di chissà quale protocollo (a proposito) sfoghi e uscite prive di fondamento - calci di rigore, offside e ogni altra applicazione del regolamento sono uguali al primo e all’ultimo minuto. Un rigore non è una questione di opportunità, ma di regolarità. Se c’è, si concede. Una volta e dieci volte, dopo dieci secondi e all’ultimo secondo. Il momento non può regolare il volume della protesta. Forse, sarà stata più la rabbia per la sconfitta. Di quello, però, non possiamo essere sicuri. E stavolta non c’è var che arrivi in soccorso.