La felicità è legittima e coincide con la possibilità di confidarvi. Poche volte il realismo ha misurato senza delusioni l’attendibilità di certi fondamenti. A Napoli il sapore della meraviglia compete con la sua storia che sa di una malinconia eterna. Un’abitudine antica a sentirsi dentro la pienezza della gioia e a vederla poco a poco cadere per lasciare posto a quella tremenda e violenta nostalgia. È accaduto tante volte. È accaduto persino con Maradona. È accaduto quando il tempo e la mano del genio avevano sentenziato l’assegnazione di quella felicità come meta raggiunta e inappellabile. Pure quando la gloria si era seduta accanto per consolare gli anni delle delusioni. 

Adesso l’interrogativo è nuovamente quello. È tutto veramente confidabile in una lunga prosecuzione? Troppi elementi, per nulla affidati al caso o a un momento, lasciano pensare che quell’interrogativo cada con l’inquietudine di un 'forse è così' fondato su una serie di suggerimenti confortanti e solidi quanto l’entusiasmo che Simeone ha tenuto a sottolineare dopo la partita. “Voi non lo sapete, ma dietro tutto questo c’è un gruppo bellissimo in cui nessuno vuole essere più di un altro”. Parole mature e spedite come il gioco di questo Napoli.

Il goal di Raspadori in carta copiativa tra Hamsik (lo slovacco ne segnò uno identico a Bologna) e Mertens, quella certa maniera di avventarsi sulla palla e tutto il seguito che non ha bisogno di presentazioni hanno mandato in scena l’anti turbamento al vantaggio degli olandesi. Il 6-1, che pure con lo scarto di reti vendica il 4-0 subito più di mezzo secolo fa proprio in Olanda dall’Ajax di Cruijff, è l’es che il Napoli ha riconosciuto proprio dove il calcio odierno ha mosso i suoi primi passi. Proprio dove quella totalità tattica cinquant’anni fa si è sovrapposta alla versione italiana e napoletana che Vinicio portava avanti in serie A senza riuscire a vincere (ma lo avrebbe meritato) è avvenuta la metamorfosi che potrebbe avere il volto dello svelamento di qualcosa covato da tempo. E che aveva bisogno di qualcosa per venire fuori una volta per tutte.

Ma l’interrogativo resta. Il Napoli dovrà convincere Amleto a indossare la maschera di Pulcinella. Dovrà interrogarla, chiederle di restare indomita e seria, abnegata e sfavillante come quel gruppo di tutti i calciatori che un allenatore guascone e spavaldo sta guidando autorizzandolo alla gioia del calcio. E la storia di questo sport insegna che non esiste metodo migliore che tenersi stretta la sua parte bambina. Il rigore e la strada hanno il volto dei più grandi. E l’incanto non può avere fine. L’interrogativo, però, resta lì. Quel tormento non andrà via facilmente. Aspetterà soltanto di essere costretto alla resa con la certezza di qualcosa che aleggia rumorosamente come un fantasma meraviglioso. Questo Napoli è davanti a uno spettro del quale una folla sconfinata da tanto tempo è innamorata senza saperlo. 

Una cosa importante. Non confondetelo con quella cosa infima e ingannevole chiamata futuro. Restare nel presente. Goderselo sapendogli dire di aspettare. “Imprese di gran momento”, come è scritto proprio nell’Amleto. Perché quella cosa pericolosa chiamata futuro potrebbe chiedergli di farne parte. E allora quell’interrogativo avrà una risposta che non saprà di malinconia.