Napoli Juventus uno a due per un attimo è sembrata la scena del crimine. Tutti gli elementi di una categoria, di un campionato, di una condizione generale. Se il calcio dovesse legarsi solo al segno della vittoria, la sua passione finirebbe nelle soffitte insieme ad almanacchi presto dimenticati. Il vogliamo vincere, il dobbiamo vincere e l’imposizione del successo a tutti i costi conservano quel “fondo di fascismo che si annida dietro la filosofia del risultato”, come ha detto Valdano. Una delle più grandi fatiche del calcio di oggi è trovare argomenti. Se ne parla talmente tanto – questa pure l’abbiamo sentita spesso – che si sceglie di parlarne quasi sempre allo stesso modo. C’è un tale affanno di polemiche e giri di parole che poi si finisce per sostare al palo del risultato e prendere in considerazione soltanto quello. 

Attenzione però, non si tratta di una via sbrigativa verso il pragmatismo, ma di una soluzione di comodo per togliersi dagli impicci e dagli imbarazzi di dover riconoscere un po’meno solidi e sacrali i totem di quel pallone che pare aver scelto anzitempo i predestinati al successo e gli sventurati destinati soltanto a sfiorarlo. A volte, è un giro di occasioni e di casacche. Ogni tanto, anche se mette in dubbio tutte le certezze che con spocchia e arroganza vengono portate avanti, andrebbe ricordato.

Napoli-Juventus è stata una partita strana. Al di là di come sia finita, non dà possibilità di perfezione. Una partita in cui meriti e demeriti sembrano essersi sommati addosso a ogni protagonista in campo. Pjanic prima marcatore su punizione, poi ingenuo a farsi cacciare. Ronaldo prima decisivo nel causare l’espulsione che di fatto ha cambiato la partita, poi recluso in un torpore un po’ indolente che non lo ha mai visto dentro il gioco. Insigne grande cuore e volontà, con l’assist decisivo per il goal di Callejon e poi impreciso e sfortunato nel momento che avrebbe procurato il pareggio al Napoli e, forse, una manciata di minuti in cui chissà cosa avrebbe riservato l’effetto pareggio. Angeli e demoni intorno agli stessi pentoloni. Anche se, va riconosciuto, i coperchi più insidiosi sono stati riservati a un Napoli che quest’anno sembra avere un rapporto al limite dell’inquietudine in certi tipi di partite. E sempre con gli stessi protagonisti. 

È iniziato tutto in quell’Inter-Napoli in cui in una frazione di secondo Insigne si è fatto ipnotizzare da Handanovic e Zielinski da Asamoah, per un mancato 1-0 che avrebbe capovolto la sconfitta maturata un minuto dopo e, probabilmente, avrebbe indirizzato pure la psicologia del campionato verso altre possibilità. Gli stessi Zielinski e Insigne che con Milan, Fiorentina e Torino non sono riusciti a centrare la porta quando avrebbero potuto farlo senza grandi difficoltà rispetto alle loro capacità tecniche. Gli stessi che con la Juventus, in una gara simbolica più che di classifica, hanno cifrato quel marchio blocco-sfortuna che sta caratterizzando una parte del campionato partenopeo. Tutto, ancora una volta, in una partita che se si vanno a leggere i report statistici, non concede dubbi di valutazione.

“Abbiamo il VAR, andate a vederlo”

Il commento di Carlo Ancelotti riassume bene quello che in certe partite avrebbe il potere di relazionare in tempo reale decisioni che, forse, sarebbero accettate con maggiore serenità. L’espulsione, o presunta tale, di Meret avrebbe meritato tempi e modi più “approfonditi” da parte dell’arbitro, in considerazione di una serie di elementi interni all’azione che forse, almeno questa è stata la sensazione, sono stati licenziati in maniera troppo sbrigativa. Un episodio che ricorda proprio quello di una Napoli-Juve di qualche anno fa. Di quando Zalayeta si procurò un rigore che scatenò le proteste della Juventus e le polemiche del caso. La parte finale di quell’azione vide l’attaccante del Napoli saltare Buffon e cadere senza impatto concreto con il portiere bianconero. Il giocatore del Napoli fu prima squalificato dal giudice sportivo per aver simulato, poi si vide sanare la squalifica per una revisione del filmato sull’episodio in cui il fallo non era stato relativo all’uscita del portiere, ma a una trattenuta del difensore a danno del centravanti del Napoli. L’episodio di Ronaldo, quindi, è ben diverso, e, come sottolineato in alcune redazioni televisive (tra queste Sky), va valutato in un margine discrezionale dell’arbitro in base a una regola che non punisce oggettivamente il tipo di intervento, ma lascia all’arbitro la valutazione sull’entità del tentativo (sempre ipotetico) di fallo in caso di non contatto con il calciatore che lo subisce e che evita il contrasto per salvaguardarsi da eventuali effetti dannosi.

La cosa che conta di più, forse, va oltre l’arbitraggio. Anche perché, ripercorrendolo da cima a fondo, quello di Rocchi è stato segnato da meriti e demeriti, nella stessa dimensione delle contraddizioni dei calciatori protagonisti della partita. Dalla decisione un po’ troppo affrettata dell’espulsione di Meret alla mancata espulsione nel finale di Koulibaly (una non decisione che pare aver avuto più una ragione diplomatica). Quest’ultima, però, ulteriormente viziata dalla precedente ammonizione comminata al difensore per un intervento che non era neanche falloso, ancor meno da ammonizione. Ecco, forse, la probabile sopraggiunta compensazione. 

Tornando alla cosa che conta di più, quelli che sono gli aspetti più significativi, intimi e profondi di Napoli Juventus uno a due covano un’attesa paziente e lungimirante dentro i propositi di Ancelotti, che pure, nonostante il suo Napoli suoni a memoria il suo gioco orchestrale, ieri sul cambio Callejon Ounas qualche perplessità l’ha suscitata, benché giustificabile da una situazione compromessa dalla necessità di dover rinunciare presto a Milik per riassestare poco a poco una squadra “sconvolta” dall’espulsione del portiere. Ancelotti, che dalla sua squadra vuole e si aspetta ancora di più, è quello che crede di più in questo Napoli, è quello che più di tutti riesce a guardare dove il suo lavoro sta cercando di andare. Più della critica, più dei suoi stessi tifosi, chissà se anche più della società. 

Ancelotti sa bene che i sedici punti di distacco dalla prima sono tanti, ma non sono neppure rispondenti ai valori reali. Sa bene che sono colmabili, che il suo credo ha la forza e le idee di appaiarsi vincendo i protocolli asserviti di certa stampa, di certe televisioni e anche le pretese patetiche e incontentabili di una parte dei tifosi. Forse, non è follia sperare che il Napoli abbia trovato la panchina giusta, quella in grado di prendere il meglio dei suoi predecessori eliminando il peggio. Questo Napoli sembra non aver subito il trauma dell’addio di Hamsik e dell’infortunio di Albiol. In altri tempi, molto probabilmente, sarebbe stato un problema. Il resto è un prontuario noioso e superficiale.