È la composizione del saluto che insiste sul valore del ricordo. Che Lorenzo Insigne andrà a giocare in Canada o altrove, in fondo, non fa questa grande differenza. Restano il frammento d’addio, la mano che saluta, la conservazione di qualcosa che resterà sempre prezioso. Ed è davvero così?

Semmai qualcosa non lo avvalorasse fino in fondo, non sarebbe soltanto colpa del diretto interessato. Hamsik è andato via in un gennaio anonimo e, come lui, ogni cosa appartenuta al Napoli del dopo fallimento è riparata solo nell’affetto dei tifosi. Di quel che resta, di questo affetto. Ormai, non più lo stesso.

Non importa che Insigne abbia deciso di finirla col calcio che conta per andare a guadagnare di più. Affari personali. Del resto, chi dovrebbe dare conto a chi? La carriera di Insigne, perché la sua carriera coinciderà con il lungo periodo napoletano, è stata piena di attese, speranze, appassionamenti, da una parte. Dall’altra, si è restituita col carico di delusioni e collisioni, gioie sfiorate, di tanto in tanto tenute vive da qualche soddisfazione. Solo un ipocrita negherebbe che i trofei vinti in questi anni non compensano le amarissime delusioni patite a causa di trionfi sfumati e traguardi ambiti a lungo, ma mai realmente raggiunti.

La ‘tensione a’ è stato il limite doloroso e affannato del Napoli di Insigne. E, poco a poco, anche lui ha iniziato a rassomigliargli. Per questo, al di là dell’aspetto economico – che non è da poco – non si può dire cosa lo abbia spinto a lasciare Napoli per andarsene dove la parola responsabilità non ha tutto questo peso. Di lui meglio non dire. Sarebbe un tentativo superfluo e presuntuoso. Anche perché da una parte De Laurentiis ha fatto chiaramente capire che vuole contenere il monte ingaggi e dall’altra il calciatore ha lasciato intendere che aspirava a un contratto superiore, soddisfatto a una cifra enorme da una società di “un altro sistema”, di un altro calcio. Quindi, ogni allusione e ogni fazione diventerebbero puerili e patetiche. Meglio dirsi, rivelarsi ancora una volta.

Il lungo corso non ha condotto a qualcosa di epico e glorioso, non a un saluto che abbia il vigore della commozione. Il lungo corso è arrivato stanco. Tutti avranno pensato “ma vada dove vuole, faccia come crede”. Senza speranza, senza confidare più in qualcosa che conservi quel valore prezioso e incalcolabile. 

Del resto, in tutto questo c’è una logica che a suo modo rasenta la perfezione, ma verso la quale, sistematicamente, si volta la faccia da un’altra parte. Adesso c’è chi dirà che davanti agli ultimi mesi con la maglia del Napoli si dovrebbe parlare di Insigne calciatore, del capitano e della sua lunga permanenza. Se n’è parlato a lungo, pure di quello. In anni in cui il Napoli s’è tirato dietro un altro Napoli. Fino a stancarsi. Gli anni stanchi non dovrebbero mai arrivare.