Si è molto sentito parlare in questi ultimi mesi di un'Italia di qualità, di un'Italia che finalmente, col nuovo CT Prandelli, ha deciso di svestire i panni catenecciari per dedicarsi anima e corpo alla pura tecnica sopraffina e al gioco di classe e di splendida veduta per gli occhi. Inevitabile, e non solo in questi ultimi mesi, l'accostamento qualità-Spagna, figlio di quello qualità-Barcellona, e dunque giù con i titoloni di una nazionale vestita si d'azzurro, ma con un cuore e un gioco tutto alla spagnola. La domanda sorge spontanea: ma siamo sicuri?

 

Anzitutto, una considerazione generale. Il gioco dei campioni d'Europa e del Mondo, sia per club che per nazionali, ha sicuramente incantato ogni singolo amante e spettatore di questo sport, ma siamo veramente convinti che sia un modulo riproducibile anche in altre realtà? O che, forse ancor peggio, sia l'unico modo al giorno d'oggi per ottenere risultati? Qui non si sta parlando di moduli o schieramenti tattici, ma di capacità uniche e straordinarie, difficilmente, per usare un eufemismo, riproducibili in altre realtà calcistiche. Qualche dubbio sorge.

 

Ma torniamo alla nostra amata nazionale, la quale, pur non senza difficoltà, sta ottenendo discreti risultati. Certo, ancora troppo presto per emettere giudizi, ma qualche linea di fondo è stata tracciata. La squadra andata di scena contro le Far Oer ha primeggiato nei primi 25 minuti, poi d'improvviso è crollata fino a concedere un palo e una traversa alle modeste isole. Tenuta atletica a parte, proviamo a tracciare un sunto riferendoci anche alla sfida amichevole giocata con la Spagna stessa circa un mese fa.

 

Punto nevralgico del nuovo modo di gioco è il centrocampo, con una mediana tutta qualità e poca corsa: Pirlo, Thiago Motta e Montolivo non sono dei veri e propri mastini, ed il loro modo di giocare, soprattutto per i primi due citati, vuoi per l'età, vuoi per costituzione calcistica, vuoi per altri motivi, sembra prescindere dalla corsa sfrenata e dal movimento continuo. Un pò, giusto fare un esempio, tutto il contrario dei moduli spagnoli. De Rossi è invece il classico tuttofare, chiamato in una mediana del genere più a dare equilibrio che a crear gioco: peccato che la sua involuzione sia davvero preoccupante. I tre di cui prima hanno dato prova di saper, punto meno punto più, in qualche modo coesistere, anche se un test impegnativo vero e proprio deve ancora arrivare: certo è che leggere insieme questi nomi qualche perplessità la suscita. In avanti invece fiducia a Rossi e Cassano, scelta che ci può stare, ma che esclude un predatore d'area come Pazzini e il giocatore più talentuoso degli ultimi anni, e cioè Balotelli. Il reparto arretrato non lascia alternative, anche se le condizioni di Ranocchia e Chiellini destano qualche perplessità, mentre Criscito più di Maggio sembrano ancora dimostrare qualche lacuna sotto il piano tattico.

 

Insomma, di spagnolo poco e nulla, e un'incognita grande quanto una casa sulla possibile convivenza di quel particolare tipo di centrocampo. Spagna e Barcellona corrono 90 minuti; noi, per 90 minuti, a stento riusciamo a stare in campo: ok l'inizio di stagione, ma viene difficile pensare che durante l'anno la condizione atletica di Thiago e Pirlo soprattutto possa concedere ai due il grande movimento di cui necessita un gioco dalle mille triangolazioni. Soprattutto, dispiace dirlo ma è necessario ammetterlo, la Spagna è avanti anni luce sotto un piano tecnico, indispensabile per questo tipo di gioco: basti pensare che il difensore centrale si chiama Piquè, uno passato alla storia, oltre che per la formosa Shakira, anche per un recentissimo colpo di tacco in area avversaria a servire l'accorrente Messi: roba che neanche il più fantasista dei fantasisti avrebbe pensato. Riserve e certezze su questa nostra nazionale: chissà se giocando ad imitare potremmo finalmente trovare una nostra identità.

 

Andrea De Pasquale