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Domenica scorsa, allo Stadio San Vito, s'è rigiocato dopo molti anni il derby di Calabria tra Cosenza e Catanzaro. Il match si è chiuso sullo 0-0: come scrive il nostro Edoardo Cozza nel suo consueto punto sulla Lega Pro, sugli spalti - a differenza di quanto sosteneva chi paventava scontri tra tifoserie e clima assolutamente insostenibile - è stato spettacolo allo stato purissimo. Il tutto s'è celebrato sottoforma di magistrale festa, con 10 mila cosentini e 800 giallorossi a darsi battaglia di tifo tra cori, sfottò ed entusiasmo per una sfida sempre molto attesa. Il tutto è stato perfettamente raccontato dalle suggestive immagini che un video della stessa società rossoblù, a firma Ilenia Caputo, ha divulgato questo pomeriggio.

Io, no, non c'ero, a differenza del febbraio scorso, quando ebbi la fortuna di assistere dal vivo al regalo che quei 16 mila fecero al Cosenza, per il suo compleanno. Il suo centesimo compleanno. La domenica, d'altra parte, qui a Fantagazzetta, l'attenzione deve essere giocoforza concentrata sulla Serie A. Ma, da buon tifoso rossoblù, avrei voluto esserci. Quanto avrei voluto esserci.

Per questo ho provato a raccontar(me)lo a parole.

Lo chiamano 'derby' sin dal 1779, quando Edward Smith Stanley, Conte di Derby, inaugurò una corsa di puledre che potesse piacere al pubblico almeno quanto quella, ben più famosa, del colonnello Barry Saint Leger. E lo divenne, sin dall'anno successivo.

Il nostro, certo, non lo aspettavamo da 234 anni: ma è come se lo fossero.

Dicevano che sarebbe stato un divampante incendio. Che, forse, sarebbe stato meglio non andare allo stadio. Dicevano che le fiamme della rivalità avrebbero trasformato quei 90, e più, minuti, nell'ennesimo spot alla violenza. Dicevano. E non capivano che, si, fuoco sarebbe stato. Ma sacro e catartico: quello che riscalda i cuori di chi ama. Un rogo rosso come la passione, solcato da una lacrima di blu che basta a trasformare la pancia del San Vito in culla della vita.

Dicevano che avremmo perso, ed invece stavamo per vincere. Il gol non l'abbiamo segnato, né noi, né loro: ma solo all'apparenza. Perché il gol, forse quello più importante, l'ha fatto chi ha smesso di essere una semplice cornice fremente e festante, per assurgere al rango paradisiaco di fuoco sacro.

Il secondo, statene certi, lo segneremo al ritorno. E Sir Edward Smith Stanley, cui dobbiamo questa giornata, sarà nuovamente fiero di noi: almeno quanto lo siamo noi, della nostra Calabria rossoblù.