Domenico Tedesco sulla panchina del Belgio, Marco Rossi su quella ungherese, Francesco Calzona alla guida della Slovacchia. Sono alcuni dei mister italiani a condurre delle nazionali di calcio. L’arrivo di Carlo Ancelotti alla corte carioca racconta un nuovo evento per la storia del calcio italiano e internazionale. 

Il più grande, il più titolato, l’allenatore vincente per eccellenza l’uomo simbolo della Champions League adesso vive la proclamazione di allenatore della nazionale di calcio più titolata al mondo.
“Re Carlo” siederà sul trono dei pentacampeon. La Seleção Brasileira de Futebol ha eletto una leggenda per riunire sotto un’unica corona la tradizione occidentale di fonte inglese e la frazione antica e ancestrale della sponda creola di quel calcio le cui origini si mischiano a quelle di un mito che non ha lasciato piena e completa memoria di sé.

Il Brasile sente la necessità di ribadire un primato che da oltre vent’anni non ha riportato il titolo mondiale nel paese del calcio. La nazionale che rappresenta il mito più affascinante e letterario del futbol ha steccato troppi campionati del mondo da quel trionfo ormai lontano del 2002 in estremo oriente. Nelle edizioni successive solo delusioni. Quattro volte fuori ai quarti di finale e una sola volta in semifinale, in quella gara che ha segnato la psicologia di una tifoseria, di un popolo e di una selezione nazionale che da quel mortificante 7-1 maturato proprio in patria non si è mai ripresa. La parola Germania ha assunto l’emblema dell’incubo per una nazione che aveva puntato quasi con certezza alla conquista di quella Coppa del Mondo, fino a farne un uso propagandistico, ripercorrendo modalità politiche d’altri tempi. E nel fallimento più completo.

Desta non poche curiosità il fatto che un allenatore da sempre abituato a gestire organici di squadre di club adesso si troverà a fare il ct della nazionale più prestigiosa del mondo. Quella di Ancelotti si è progressivamente trasformata in una filosofia tattica sempre più duttile, soprattutto in relazione a una capacità di allenare i suoi calciatori anche sul piano psicologico, riuscendo spesso a saper prendere anche le personalità più forti e spigolose.

Col Brasile Ancelotti ritroverà elementi come Éder Militão, Vinícius Júnior e Rodrygo Goes, appartenenti alla frangia madrilista che il tecnico di Reggiolo conosce molto bene. 
L’ex allenatore di Milan, Paris e Real va a interrompere una dinastia di allenatori brasiliani che rappresentavano una tradizione istituzionale in linea col forte sentimento nazionalista di un paese che da sempre ha fatto del calcio una ragione di identità politica, dentro e fuori i confini nazionali.

Ecco che Ancelotti andrà ad affrontare una sfida che sa di responsabilità. Nonostante il palmares dell’allenatore emiliano, il tema principale che il tecnico dovrà risolvere sarà quello della fiducia di un ambiente che ha sete di rivincita e che riflette nella propria storia calcistica un sentimento aristocratico, di supremazia, alimentato dal prestigio della selezione nazionale con più Coppe del Mondo in bacheca.

Per Ancelotti questa esperienza potrebbe essere il capitolo ultimo di una carriera che, con un successo, la completerebbe con la massima possibilità di integrazione. Una vittoria con una nazionale e con la più grande delle nazionali.