di Elio Goka
Bruno Pesaola, intelligenza, carisma e anticipazioni di futbol manageriale. Pesaola, per citarne una, è stato un allenatore che nel 1968 ha fatto comprare Claudio Sala, grande centrocampista del Torin, al Napoli per 50 milioni di lire per poi rivenderlo a 480 milioni di lire.
Se Vinicio ha introdotto a Napoli, quanto gli olandesi dell’Arancia meccanica col grande Ajax, le prime innovazioni tattiche con moduli e schemi a tratti rivoluzionari, il “Petisso”, da allenatore, già nei primi anni ‘Sessanta, aveva lanciato gli stessi segnali nell’innovazione di carattere manageriale. Come? “Nel calcio ci vuole prima di tutto competenza” ha sempre sostenuto il Petisso argentino con passaporto napoletano. E il suo senso del pallone, fatto di fatica e di progresso, interprete perfetto di quella parabola “euro creola” che nel mondo del calcio aveva fatto capolino con le imprese dell’Uruguay di Obdulio Varela, aveva pure dovuto scontrarsi con la voglia di cambiare tutto nella smania geniale dell’Antonio malinconico, quel Pisapia rattristato protagonista dell’Uomo in più, la pellicola tutta napoletana di Paolo Sorrentino, dove il Petisso diventa il “Molosso”, con chiara ispirazione al Pesaola allenatore, in controtendenza con lo schema a quattro punte di Pisapia (alias Agostino Di Bartolomei) ostinatosi su quello che in fase offensiva avrebbe dovuto rappresentare “l’uomo in più”.
Eppure, nel film di Sorrentino, nonostante il Molosso non sia convinto fino in fondo delle idee tattiche del suo allievo prediletto, è l’unico a incoraggiarlo fino alla fine, avendone intuito il fondo profetico e innovativo. Quello è il Petisso, primo grande sinistro a Napoli, prima ancora di Sivori e di Maradona, attaccante raffinato e allenatore dalle grandi imprese. Come? “Nel calcio ci vuole prima di tutto competenza”, diceva Pesaola.
Se nella sua carriera di calciatore il Petisso aveva fatto miracoli alla sua gamba malconcia standosene nei fanghi di Ischia contro consigli medici che gli avevano imposto di rompere la gamba per rimetterla in ordine, da allenatore la sua sottile forma di ostinazione aveva trasformato in miracoli sportivi i risultati successivi ai suoi approdi gentili.
Dopo sette anni (1961-1968), alternando il Napoli e due esperienze nella provincia vesuviana (Scafatese e Savoia), nell’ultima partenopea Bruno Pesaola raggiunge un ottimo secondo posto. Sono gli anni di Sivori e Altafini, due caratteracci da mettere d’accordo. Nessuno ci riuscirà, pensano in molti. Pesaola ci riesce, con la sua furbizia diplomatica che ratifica la distensione tra un brasiliano e un argentino, sotto una bandiera, quella azzurra, che mai aveva visto una coppia di attacco così forte. Ma è nel destino del Petisso entrare nella storia del Napoli. Ci era già riuscito con una grande prestazione alcuni anni prima, nella partita inaugurale dello Stadio San Paolo, dove il Napoli aveva battuto la Juventus per 2-1. Da allenatore conquista la Coppa Italia col Napoli, nella stagione della promozione in A. Il Napoli di Pesaola è l’unica squadra che, da militante in B, ha vinto la Coppa Italia.
Quando, nel 1968, Pesaola arriva a Firenze, i viola hanno venduto i loro pezzi pregiati. Nessun problema per l’allenatore argentino che, davanti, nonostante tutto, a una buona programmazione della società toscana, costruisce un undici capace di battere la concorrenza delle favorite Milan e Juventus. Fiorentina campione d’Italia. L’anno successivo i viola confermano la loro forza in campionato (pur senza vincerlo) e conducono ottime prestazioni in Coppa dei Campioni e in Coppa Italia.
La sua vita da predestinato è a Napoli, dove torna nella stagione 1976\1977, dopo aver vinto, nel 1974, una Coppa Italia col Bologna. Nel 1976 conquista la Coppa italo-inglese, trofeo vinto dopo aver battuto il Southampton, squadra detentrice della FA Cup. Oggi quel trofeo non esiste più. Nel 1977 Bruno Pesaola assiste allo "scippo" dell’Anderlecht, in semifinale di Coppa delle Coppe, quando, grazie a un arbitraggio da inchiesta, il signor Matthewson consente alla squadra belga di rimontare il passivo subito al San Paolo, negando, di fatto, l’ingresso in finale ai partenopei. Ma il miracolo più grande Pesaola lo compie nella stagione 1982\1983, quando rileva il Napoli nel finale di campionato e lo conduce a un’isperata salvezza. Il suo bacio al Rosario durante un rigore decisivo calciato da Ferrario resterà nella storia del calcio napoletano.
Bruno Pesaola, una figura che sembra uscita da un romanzo di Charles Bukowski. Sigarette, poker e ironia. Il Petisso, il piccolo grande uomo avvolto nel suo scaramantico cappotto di cammello anche a giugno. Il suo medico diceva che Pesaola aveva sempre freddo, per questo indossava il suo cappotto anche quando non era necessario. E, secondo proprio il suo medico, pare che Bruno Pesaola debba ringraziare la sorte di non essersi trovato sull’aereo precipitato a Superga. In quel periodo, per sostituire Ossola, il Torino aveva individuato in quest’ala sinistra, il giovane Pesaola, un potenziale talento. Pesaola non andò al Torino perché in quell’anno avrebbe dovuto prima adempiere agli obblighi del servizio militare.
Oggi in panchina non si può più fumare. La coscienza di Zeno ha persuaso il salutismo di uno sport che, a ben vedere, avrebbe bisogno di ben altri interventi salutari. Uno come il Petisso di sicuro sarebbe tra i medici migliori.