Se dopo una grande carriera, a cinquant’anni suonati esegui una rovesciata perfetta in uno dei più importanti stadi argentini, allora gli dèi dovettero pensarti fatto apposta per il pallone quando fecero il mondo e il futuro.

 

Una rovesciata perfetta l’ha eseguita Enzo Francescoli, durante un’esibizione di lusso dedicata all’addio al calcio di Ariel Ortega, “El Burrito”, e stavolta i soprannomi contano più del solito. Già, perché per Enzo Francescoli è da dovere di cronaca ricordarsi dei suoi “onori anagrafici”.

 

Enzo Francescoli Uriarte nasce a Montevideo nel 1961, diventando presto calciatore di notevole talento destinato ai grandi palcoscenici del futbol.
Quando, nel 1983, il River Plate acquista Francescoli dal Montevideo Wanderers, l’operazione costa al club argentino circa 50000 dollari. Il passaggio dell’Uruguayano al River avviene anche grazie all’aiuto economico del Banco di Napoli, che era intervenuto già per il passaggio di Ramon Diaz all’ombra del Vesuvio. Il Banco di Napoli farà lo stesso anche l’anno successivo, ma per portare a Napoli Maradona.  

 

La carriera del “Flaco”, uno dei suoi primi soprannomi a causa della sua corporatura poco robusta, non è stata l’inseguimento a ribalte prestigiose e a contratti milionari. Francescoli ha giocato dove lo hanno voluto, passando prima dal River Plate a una squadra sconosciuta di Parigi, e poi dall’Olimpique di Marsiglia al Cagliari di Mazzone.
Le origini italiane di Enzo non gli avrebbero potuto certo evitare di assaggiare il campionato tricolore. Ma presto, in un Cagliari delle meraviglie, in compagnia di altri due uruguayani niente male, Herrera e Fonseca, “El Principe”, altro soprannome di Enzo, scala le classifiche del carisma affermandosi come uno dei migliori calciatori del campionato di serie A.

 

Nel 1990 arriva per assaggiare la serie A italiana, ma è la serie A ad assaggiare lui. Memorabile un goal segnato alla Sampdoria in una prima di campionato. In Italia El Flaco impara ad “arretrare”, a farsi leader tattico in posizioni più abbassate rispetto al suo ruolo naturale, quello del tipico fantasista sudamericano, tutto libero arbitrio e spirito creativo. Prima di lasciare l’Italia, Francescoli gioca una stagione nel Toro, davanti alla curva Maratona che subito si affeziona al centrocampista sudamericano, soprattutto perché per anni Gianni Agnelli lo aveva inseguito senza mai riuscire a portarlo nella Torino bianconera.

 

Dopo un anno col Torino, Francescoli torna nel River Plate, la squadra forse a lui più cara e dove il fuoriclasse uruguayano ha potuto meglio esprimersi, riscuotendo stima e soddisfazioni.
Nella sua carriera Enzo Francescoli vince 5 campionati argentini, un campionato francese, una Coppa Libertadores e una Supercoppa sudamericana. Con l’Uruguay vince tre volte la Coppa America e Pelè lo inserisce nella sua lista personale di 125 calciatori scelti tra quelli di primo millennio.

 

Ma torniamo ai nomi e ai soprannomi del nostro Uriarte. “El Flaco” gli fu assegnato per la sua corporatura, soprannome poi attribuito ad altri calciatori che lo hanno lontanamente ricordato per movenze e aspetto. “El Principe” per il suo carisma e la sua classe di giocatore. A Diego Milito è stato dato lo stesso soprannome a causa della somiglianza col fuoriclasse uruguayano.
Zinedine Zidane ha chiamato il suo primogenito “Enzo”. E sapete perchè? In onore del grande Francescoli, calciatore da sempre ammirato da Zizou.
Intorno a Francescoli si muove una nomenclatura di rispetto, un codice di simbolici ossequi riservato a quelli come Enzo, El Flaco, El Principe, l’Uriarte secco secco che quando indossava la maglietta larga sembrava si portasse addosso una bandiera.

 

Una volta, Enzo Francescoli Uriarte ha dichiarato: “Non sarà il calcio a lasciarmi, non mi troverà seduto. Quando arriverà quel giorno vorrei si dicesse: Che gran calciatore, sì, ma che bella persona. Che Beto Alonso possa dire: Ho giocato con Francescoli e non sapete che gran tipo era. Che quando tra trent’anni incontrerò Pumpido o Gallego per la strada, possa salutarli con un abbraccio. Perché non esiste solo il calcio. Bisogna pure prepararsi per dare un buon consiglio e avere l’animo di una brava persona”. Quanto è bello il calcio quando, senza volerlo, battezza uomini e cose.

 

Elio Goka