A Napoli un gruppo di ragazzi si è dato la regola del pallone. Alcuni giovani napoletani, africani, sudamericani e provenienti dall'Europa dell’est, hanno formato una squadra di calcio, adottandola come una bandiera di entusiasmo e di liberazione. Sono i ragazzi dell’Afro Napoli United.

 

L'Afro Napoli è un'associazione sportiva dilettantistica fondata nel 2009. La rosa di giocatori è formata da molti ragazzi provenienti dall'Africa, in particolare ivoriani, senegalesi, capoverdiani, nigeriani e tunisini, ma pure da napoletani dei rioni Sanità, Materdei, Stella, Arenaccia, tutti quartieri simbolo della città. I circa 40 atleti dell'Afro Napoli, grazie a una modifica al regolamento FIGC, potranno disputare quest'anno il campionato regolare di terza categoria. In Italia esistono altre realtà simili a quella dell’Afro Napoli, testimoniate da formazioni di calcio formate da immigrati. La Liberi Nantes, i “rivoltosi” di Rosarno, sono squadre che militano in piccoli campionati, ma che hanno avuto il merito di diventare un punto di riferimento per persone arrivate in Italia sui barconi, venuti da paesi in guerra e in forti stati di miseria.

 

Facendo visita al campo "Buonocore" di San Giovanni a Teduccio, alle porte di Napoli, dove si allena l’Afro Napoli United, è stato possibile raccogliere dichiarazioni e testimonianze sull’esperienza di questi ragazzi, guidati da Antonio Gargiulo, il presidente, da Francesco Fasano e dal mister Sergio Paolucci.

 

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Antonio Gargiulo, Copyright Fantagazzetta

 

Antonio Gargiulo, come è nata l’idea di fondare l’Afro Napoli?

 

"Giocavo a calcio, un po’ come tutti. Spesso succedeva che mancava qualche ragazzo. Capitava che poco a poco, essendoci la necessità di reclutare nuovi calciatori, grazie all’aiuto di altri amici iniziavano ad arrivare ragazzi provenienti dal Senegal, e così, di volta in volta, un semplice gruppo di persone appassionate di calcio si è riempito di ragazzi provenienti da vari paesi dell’Africa, suggerendoci, a quel punto, di pensare a qualcosa di più. Essendo impegnato in attività legate a cooperative sociali napoeltane, come Casba e Dedalus, ho conosciuto molti cosiddetti immigrati, disposti a fare lavori che ormai gli italiani non vogliono fare più. Quello che sembrava un luogo comune si è rivelata una constatazione di fatto. La nascita dell’Afro Napoli è stata una ragione d’integrazione, un simbolo, che ancora riscuote consenso in tutta la città. E questa è stata la prima vera esperienza ad ampio raggio, perché le altre realtà tendono a stringersi intorno a una bandiera specifica. Invece l’AfroNapoli è formato da senegalesi, ivoriani, capoverdiani, oltre che da sudamericani e ragazzi dell’est, verso un modello che potremmo definire intercontinentale"

 

Quali storie hai potuto conoscere dietro il passato dei calciatori dell’AfroNapoli?

 

"Ho conosciuto la mia fortuna, il privilegio di tutti noi, quello che abbiamo avuto la buona sorte di goderci, da persone capitate in un mondo diverso da quello di questi ragazzi. Alcuni di loro sono arrivati qui coi barconi, rischiando la vita, e tutto per un’illusione, per una speranza artificiale. Perché una volta arrivati qui, sono tutti costretti a scontrarsi con le difficoltà burocratiche, le diffidenze e i pregiudizi."

 

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Calciatori dell'Afro Napoli durante un allenamento, Copyright Fantagazzetta

 

Il calcio è stato un approdo provvidenziale per loro?

 

"Sì, in misura determinante. Il calcio è una grande cassa di risonanza. Puoi giocarlo ovunque e raccoglie chiunque, riunendo storie, aneddoti personali, necessità. Ha una funzione terapeutica, un grande valore umano. E Afro Napoli ha saputo resistere a molte difficoltà, durando a lungo, a differenza di altre esperienze che purtroppo non sono riuscite a consolidarsi nel tempo. Inoltre, noi dell’Afro Napoli abbiamo un contatto col territorio ben radicato, anche con alcune rappresentanze sindacali, con il centro “Insurgencia”, e altre realtà vicine alle sensibilità legate ai temi dell’immigrazione."

 

In una città come Napoli è stato più facile o più difficile?

 

"Di sicuro più facile. Alcuni di questi ragazzi sono andati a lavorare al nord, ma poi hanno scelto di ritornare al sud, in particolare a Napoli, una città che nonostante le sue mille contraddizioni, è storicamente abituata all’alterità. La città stessa fonda la sua storia nella conoscenza e nelle esperienze di grandi civiltà, e questo gli immigrati lo percepiscono, avvertendo in maniera positiva un notevole livello di accoglienza."

 

A questo proposito come giudichi il comportamento di certe tifoserie e, di reazione, degli organismi istituzionalizzati?

 

"Il problema è socio-culturale. Si tratta di un fenomeno che non può essere risolto con un giudizio sbrigativo, come spesso avviene, perché la ragione è radicata, fa parte di un sistema di stereotipi e di pregiudizi. Napoli è una città che conosce anche gli effetti di simili comportamenti, perché li subisce. Allora comprendi come l’aspetto “razziale” sia ancora legato a effetti storici antichi. Non è peccato dire che forse il sud del mondo è servito come mano d’opera, a tutti livelli, dai tempi delle immigrazioni interne fino a una vasta scala globale molto più brutale. Tornando al razzismo nel calcio, non credo serva a qualcosa chiudere i settori e gli stadi. La battaglia è culturale ed è molto più complessa."

 

Monaam è un ragazzo tunisino, classe ’81 e anni di distanza dal proprio paese. Monaam, tu sei tra i veterani dell’Afro Napoli. Quanto ti è servito durarvi così a lungo?

 

"Ho conosciuto Antonio Gargiulo nel 2007, e devo ringraziarlo perché mi ha dato l’opportunità di giocare a calcio. Sono partito per l’Italia per motivi economici, per cercare un lavoro migliore, ma prima di tutto ho trovato una cosa che potrà sembrare assurda. Ho realizzato una specie di sogno, perché molti miei amici avrebbero voluto diventare calciatori in Italia, e qui, all’Afro Napoli, anche se militiamo in categorie minori, ti senti un calciatore di un paese importante, dove il calcio ha un grande valore. Ho ritrovato vecchi entusiasmi, soprattutto grazie a questo."

 

Koffi invece è ivoriano ed è stato conquistato dalla città. Pure se da immigrato, una condizione spesso molto discussa, lui si sente a casa propria e l’esperienza con l’Afro Napoli United ha un peso importante rispetto all’accoglienza ricevuta. Adam ha 18 anni e fa il portiere. Adam è napoletano a tutti gli effetti, perché è nato a Napoli. Un effetto curioso che ricorda gli anni del dopo guerra. E Adam non risparmia battute sulla sua città: "A guardarmi non si direbbe che io sia napoletano, eppure qua ci sono nato. Parlo il dialetto come prima lingua. La cosa che amo di più della mia città? La sua accoglienza."

 

All’Afro Napoli è valsa la regola di Mae West: “Mi piacciono solo due tipi di uomini: gli stranieri e quelli del mio paese”. In fondo lo straniero non esiste. E se c’è, può essere tanto il tuo vicino, quanto l’uomo che ti sta più lontano. Tuttavia, nell’Afro Napoli si vivono altre preoccupazioni, ma si vivono con entusiasmo.

 

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Portiere dell'Afro Napoli durante l'allenamento, Copyright Fantagazzetta

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

Giuseppe Secondulfo