Lunga ed interessante intervista rilasciata da Massimo Ambrosini a UltimoUomo. Oggi opinionista, l'ex mediano rossonero ha vissuto una storia lunga e intensa con indosso i colori rossoneri, tracciata per lunghi tratti nelle sue parole odierne, in cui s'è parlato anche della fine del rapporto con il Milan, oltre dei trionfi, e delle delusioni. Eccone alcuni stralci.
LO STRISCIONE CONTRO L'INTER - "Prendere lo striscione era stata un’enorme caduta di stile. Mi sono immediatamente accusato di ogni responsabilità e ho affrontato le conseguenze. So bene di aver guastato parte della mia reputazione in quel momento".
LA FASCIA DOPO MALDINI - "Ereditare la fascia è stato difficile. Venivo dopo Paolo e Franco, inevitabile avvertire un certo complesso di inferiorità. Avrei voluto parlarne con Paolo, ma poi alla fine non l’ho fatto. Non sapevo di preciso cosa chiedergli, né cosa lui avrebbe potuto dirmi». Poi aggiunge che al di là dei consigli, sei tu che devi entrare nel ruolo come puoi. Mettendoci quello che hai dentro".
IL COMMIATO DI ANCELOTTI - "Ce lo ha annunciato Galliani in quel momento di abbracci alla fine della partita con la Fiorentina. Ragazzi, Carlo ci saluta. L’anno prossimo l’allenatore sarà Leo e indica Leonardo che era lì come dirigente".
LA CESSIONE DI KAKA' E L'INVOLUZIONE ROSSONERA - "Abbiamo cominciato a capire che le esigenze economiche non erano più quelle di prima. Ha iniziato ad emergere un’incapacità a programmare, a rinnovarsi seguendo una strategia. Prima era fin troppo facile. Avevi la forza economica e il blasone per arrivare a chiunque e chiunque voleva venire al Milan. Nel momento in cui i valori si sono livellati, sono venute a galla le carenze. Si sapeva che alcuni erano agli ultimi anni della carriera, si sapeva che qualcuno non avrebbe rinnovato, si sapeva che qualcuno sarebbe stato ceduto. Eppure non si è agito per tempo. Sono state sottovalutate le conseguenze. Mancanza di risorse, ma anche di idee. Con buone idee puoi sopperire a una minor forza economica. Altri hanno fatto di più e meglio. La sensazione era che la società non si rendesse conto che chiedeva pubblicamente alla squadra cose che erano molto più difficili da raggiungere rispetto a prima. Ci dicevamo che ci stavano caricando di aspettative difficili da mantenere. La società aveva tutto il diritto di compiere scelte differenti dal passato, a patto però di essere chiari con l’esterno. Forse ci credevano più forti di quel che eravamo o forse volevano nascondersi dietro un dito".
LA SCELTA DI GALLIANI DI FAR RINNOVARE I SENATORI SOLO A GIUGNO - "Una sospensione di giudizio che destabilizzava completamente la squadra. Alcuni non la sopportavano e avevano preferito essere padroni del proprio destino prendendo per primi la decisione di andare altrove. Sandro e Rino, per esempio. Mia moglie mi diceva di non attendere passivamente permettendo che altri decidessero per me. Io però non ce l’ho fatta nemmeno allora a considerare di andarmene. Nemmeno di fronte alla prospettiva dei mille problemi delle stagione successiva. Ho sempre pensato che avrei voluto chiudere al Milan ed ero convinto di avere ancora da dare. Poi, quando sono andati via anche Abbiati e Bonera mi sono sentito solo. Ho pensato “Adesso sì che sono veramente cazzi”".
L'ADDIO AL MILAN - "A quell’età non mi volevano più. Avevano tutto il diritto di pensarlo. Peccato per le modalità e le tempistiche. Una gestione sbagliata. L'addio nel 2012? Ci ho pensato. Mi sono risposto che sì, sarebbe stato meglio. Ma poi alla fine riconosco che se non l’ho fatto è perché non riuscivo a vedermi in nessun’altra squadra. Sentivo un senso d’appartenenza enorme. E poi andarsene dopo tutti gli altri sarebbe suonato troppo come un abbandono della nave. L’attaccamento ai colori comunque restava intatto, nonostante non ci fosse più nessuno dei miei compagni di sempre. L’estate del 2013 sarei potuto andare in Premier, mi voleva il West Ham. C’erano anche un paio di squadra negli USA. Non le ho considerate, mi sembravano un salto enorme. Non ero abituato a cambiare e volevo farlo un passo alla volta. Prima un trasferimento in Italia, poi eventualmente l’anno dopo all’estero. Saluto a San Siro? Anche a me era rimasto qui. Per chiudere il cerchio ho voluto giocare ad ogni costo Milan-Fiorentina, a novembre del 2013. Stavo guarendo da uno stiramento e ho stretto i denti. Volevo prendere gli applausi di S.Siro un’ultima volta. Dopo mezzora mi sono arreso al dolore e ho chiesto il cambio. Un saluto veloce ma va bene così".
LA FIORENTINA - "In quel momento era la squadra più interessante, subito dopo le grandi. I primi giorni scherzavo con Montella. Gli dicevo scusa ma io qui cosa c’entro? Il tasso tecnico era alto e non capivo perché mi avessero preso. Ma è come dici tu. Da me si aspettavano soprattutto che li aiutassi ad alzare il livello di carattere ed esperienza europea. Fin dal primo giorno notavo un rispetto particolare da parte dei compagni. Mi riconoscevano uno status di un certo tipo".
FUTURO DIRIGENTE? - "Ci sono delle competenze che credo di avere. Per esempio tecniche, per scegliere i giocatori, oppure gestionali, per affiancare un allenatore e una società nel rapporto con il gruppo. Potrei non scartare a priori una proposta ma ammetto che ora sto bene così".