concessa alla Gazzetta dello Sport dell'addio al club toscano e del suo futuro in panchina.
Intervista ad Andreazzoli
Addio all'Empoli? «Dopo l’esonero dell’Empoli ho ricevuto tanti messaggi che mi hanno reso felice. Soprattutto quelli dei giocatori, che non dimenticano il rapporto che abbiamo costruito». La storia con l’Empoli è finita all’improvviso e nel cuore di Andreazzoli ha lasciato una ferita. Parlandone, il tono dell’allenatore non è mai polemico o rancoroso. Però è percepibile il senso di ingiustizia che pervade la sua anima.
Rabbia?
«Mi arrabbio quando non riesco a gestire certe situazioni oppure quando mi viene impedito di farlo. Poi passa».
È stata la sua stagione migliore?
«Sì, se consideriamo la salvezza conquistata in anticipo e la crescita del valore tecnico ed economico dei giocatori. Potevamo fare di più, forse, ma c’erano i presupposti per fare molto di meno».
Si aspettava l’esonero?
«No, è stata una sorpresa. Però a me interessava soprattutto finire il lavoro interrotto anni fa, dopo l’ingiusta retrocessione del 2019. Era un debito che avevo nei confronti di me stesso e dell’ambiente. E quest’anno ci siamo salvati in anticipo, contro ogni pronostico. A volte, quando raggiungi un obiettivo, sembra quasi che sia dovuto, non conquistato».
Il suo lavoro a Empoli era davvero finito?
«Avrei voluto dare un’identità più definita alla squadra, fare in modo che crescesse seguendo magari il modello del Sassuolo. Nonostante i risultati negativi, per altro non dovuti solo a demeriti nostri, la squadra è migliorata nel ritorno. Dopo l’ottima andata, se qualcuno ha mollato, non sono stato di certo io, ma chi si è sentito al sicuro e a gennaio ha fatto cassa».Intervista ad Andreazzoli sul futuro
Che cosa chiede alla prossima avventura?
«Di poter costruire una squadra non in maniera estemporanea, ma portando avanti il lavoro. Di curare i dettagli, che fanno la differenza. Mi piace la Serie A, è lì che voglio allenare».
In Italia manca il talento o chi lo coltiva?
«Il talento nasce con l’individuo, bisogna avere una strategia per farlo rendere al meglio. Non si dà la possibilità ai ragazzi di sbagliare, di esprimersi. Bisogna avere voglia e pazienza di rischiare sui giovani».Intervista ad Andreazzoli sui talenti dell'Empoli
Come si fanno crescere Viti, Asllani, Pinamonti?
«Quando un ragazzo ha talento, non devi metterci troppa roba: devi accompagnarlo, non usarlo. Devi seguirlo, spiegargli le cose, lasciarlo giocare, ogni tanto tenerlo fuori. Asllani pensa solo al calcio, corre più di tutti, capisce al volo, se sbaglia è il primo a riconoscere l’errore. A Empoli volevano mettergli un premio sui minuti giocati: lui l’ha voluto sulle presenze da titolare, anche se rischiava di non prenderlo. Anche Viti è molto bravo. Su Pinamonti ho inciso perché sono andato oltre il giocatore, che ha buone qualità ma deve ancora tirarle fuori tutte: ho scelto la persona, che avevo conosciuto a Genova. Gli serve un supporto per rendere al meglio e a Empoli l’ha avuto».
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