“Il calcio è una cosa molto semplice. Quando hai la palla devi cercare di fare goal, quando non ce l’hai devi cercare di non subirlo”. Il battibecco andato in onda subito dopo la finale di Coppa Italia tra Massimiliano Allegri e Mario Sconcerti ha estratto quella frase, pronunciata dall’allenatore della Juventus, che ha in sé la diagnosi parziale di una dialettica pallonara che ha sfinito pure chi ci sta dentro fino al collo.

Al di là degli episodi, al di là di come sono andate le cose, delle ragioni, delle bugie (o delle non verità, fate voi), l’epilogo di questa stagione ha consegnato ancora una volta, forse ancora di più, i sintomi di una stanchezza che proviene dalla fatica di un circuito che si consuma a caldo, interrogando i suoi protagonisti laddove quello che si presume sia un nervo scoperto altro non è che l’incapacità, spesso da parte dei giornalisti, di riuscire a controllare la propria sacrosanta e inoppugnabile lettura delle situazioni.

Non è la prima volta che succede. Risuona stridente la richiesta di dare spiegazioni rispetto a qualcosa che si ritiene in crisi a chi ha appena raggiunto un successo? Spesso le domande dei giornalisti, invece che occuparsi della materia “viva”, di quanto appena accaduto, sempre ammettendo che sia così interessante questa cultura mediatica della considerazione ad ogni costo (sarebbe forse più intelligente chiedersi se sia davvero così), arretrano di qualche momento per rimuginare su situazioni che una specie di coscienza remota trova più stuzzicanti. E allora non tarda a verificarsi quel paradosso che crea imbarazzo, causando un corto circuito in cui, poi, non tutti sono in grado di destreggiarsi. Si sollecitano le tensioni attraverso provocazioni col retrogusto della dietrologia.

Spesso questo metodo, ormai indotto da una domanda di consumo giornalistico (tutto deve rispondere alla reazione clamorosa, polemica, fino al rischio del fastidio, in questa dialogica che deve immediatamente trasferirsi sulla piattaforma della macro polemica virtuale dei social network), nasconde anche trattamenti e reazioni non del tutto paritarie. Alle uscite ritenute scomposte degli allenatori, dei calciatori, dei dirigenti, le reazioni della stampa mutano a seconda delle appartenenze, dimostrando a volte una sudditanza, un dimensionamento “a seconda di”. Che l’allenatore della Juventus abbia attraversato una stagione particolare, caratterizzata da una messa in discussione che, al di là dei successi raggiunti, ha sottoposto il comportamento della sua squadra a una critica che ne ha giustamente rilevato dei momenti discutibili, per molti anche al di sotto delle aspettative, è una questione attendibile. Ma rilevabile dopo una vittoria per 4-0 in una finale? E valga lo stesso per tanti altri episodi di domande a ritroso per altri allenatori.

Certe dichiarazioni, certi atteggiamenti arroganti e inopportuni, esageratamente infastiditi, sì, non denotano serenità (non va dimenticato che sulla propria serenità nessuno ha il dovere di dar conto a tutti i costi), e non ne giustificano l’adozione continua. Ma, al tempo stesso, l’arte del domandare non farebbe bene a tenere in considerazione la “semplicità” (che così semplice non è) di quello che è il momento quando è il momento? Si eviterebbero pure le disparità di cui sopra, i trattamenti diversi e le reazioni diverse. Un tempo era così, da parte di giornalisti che hanno partecipato e contribuito non soltanto alla cronaca del calcio, ma pure al pensiero sul calcio. “Quando hai la palla devi cercare di fare goal, quando non ce l’hai devi cercare di non subirlo”. Involontariamente, una metafora più profonda di quello che appare.