Un libro già citato in altre occasioni all’interno del Memento, al 38’ “racconto-minuto” del secondo tempo recita così:

“Epopea dei palloni perduti. Sono le briciole di Pollicino che dovrei ritrovare per risalire il sentiero di casa. Quanti palloni! E ovunque. Nei fiumi, innanzitutto, che appena toccata l’acqua, scappano via veloci. Nei laghi, più pacifici, ma non meno insidiosi. Qualcuno al mare, molti sopra gli alberi, incastrati sui rami più alti a formare un groviglio inestricabile, una specie di simbolo araldico. E quanti finiti bucati! Quelli di plastica leggera, che volavano via alla prima brezza (“a vento”, si diceva, guardando le inverosimili parabole tracciate quando li si colpiva con violenza), ma anche gli altri, via via divorati dai i cespugli, dai vetri, dalle spine. In definitiva, non c’è pallone che non si sia perso o forato. E forse tutto questo vorrà dire pure qualcosa.”

Il frammento del libro Addio al calcio, di Valerio Magrelli, con poche parole descrive una metafora della parabola mortale del pallone. Ma, al tempo stesso, non si dimentichi che può andare via la sua presenza fisica, la sua rappresentazione del momento, di un momento, ma non il mondo dei suoi significati.

La prova è nella sua stessa storia, in quella che il presente, recuperando gli accadimenti del passato, raccoglie in quello che viene chiamata storia. I personaggi che vengono raccontati, le storie personali che vengono recuperate, i fatti legati a eventi di maggiore e di più vasta entità, i legami con altri fenomeni e tutto quanto, come regola umana conviene, si fonda col gioco più famoso al mondo, non esisterebbero più se dipendessero soltanto dal momento in cui si svolge la loro parte vitale. Sin dagli antichi, il ricordo e la sua trasmissione conferiscono dignità a chi ha avuto il merito di lasciare una traccia degna di stima e di essere menzionata. E allora, ecco che i racconti di tutto quanto sia parte degli aspetti più profondi dell’esistenza umana, individuali e collettivi, restituiscono vita ai palloni perduti.

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In fondo, se non esistesse facoltà di ricordarlo, ognuno a proprio piacimento, secondo se stessi, il calcio probabilmente non avrebbe senso. Soccomberebbe all’unico consumo che la nostra epoca non è ancora riuscita a imporre. L’assenza del ricordo. Il recupero commosso e sorridente davanti a un bicchiere bevuto con qualcuno per il quale l’unica preoccupazione è trovare le parole giuste per dirgli addio, persino al di sopra della possibilità di ricordare il suo nome, come canta la Stay dei Pink Floyd che pure si diedero al pallone. Il trauma “felice”, l’impressione duratura di un istante a cui inchiodarsi con un affetto senza volto e senza voce. Qualcuno a cui abbiamo voluto bene senza averlo conosciuto.
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Se il calcio vivesse soltanto del suo adesso, che senso avrebbe ricordarsi di Erasmo Iacovone? Talento spezzato a ventisei anni, scomparso per essersi trovato nel mezzo di un inseguimento della polizia a un’auto rubata, figlio di un portalettere trasferitosi a Tivoli per garantire ai figli più opportunità per il futuro, di certo più difficile da realizzare con soddisfazione in un paesino di mille abitanti. E Corrado Viciani? L’allenatore della Ternana dei primi anni ’70, quel mister da molti ormai dimenticato che fu in grado di far giocare la squadra con un sistema tattico spettacolare e precursore di quello che avrebbe poi rivoluzionato il calcio con allenatori più celebri e fortunati. Oppure il ricordo di Djalma Pereira Dias dos Santos, calciatore brasiliano due volte campione del mondo, mai espulso in carriera e modello di comportamento come pochi altri. Calzolaio col sogno di volare, impeditogli da un incidente alla mano. O Giovanni Roccotelli, colui che faceva la rabona. Calciatore senza paura e con tanta voglia di giocare, considerando che non partiva spesso titolare. Tutti “palloni” che hanno smesso di rimbalzare. Destinati, come tanti altri, ad affidarsi al racconto, a quell’archivio in cui senza merito o demerito si può finire sotto un cumulo di polvere o in scaffali più consultati.

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Il Memento di Fantagazzetta nel corso di quasi dieci anni ha sistemato il suo archivio, raccontando storie e aneddoti legati al mondo del calcio. Libri, film, musica, arte, vecchie fonti giornalistiche hanno fatto da corredo e da riferimento a quello che è stato un percorso che ha fatto tappa presso le guerre mondiali, le dittature, drammi personali, episodi grotteschi, glorie e insuccessi, misteri e altre faccende irrisolte. Calciatori diventati badanti per sbarcare il lunario, calciatori che tali non erano mai stati, calciatori che tutti avrebbero voluto essere o altri dei quali nessuno avrebbe voluto vestirne i panni.

Adesso, però, dopo quasi dieci anni, il Memento fa come molte delle storie che ha deciso di raccontare durante questo percorso, congedandosi con la speranza di aver lasciato ai suoi lettori almeno una cosa da ricordare e da consegnare a qualcun altro. Se una soltanto resterà, allora niente di questo tempo finirà perduto. Come i palloni di Valerio Magrelli, che, sia pur “forati, divorati e persi”, avranno sempre qualcosa da dire.