Il futbol come la chiave di violino di un pentagramma chiamato malinconia. Per decenni l’Italia del calcio ha subito le aspre critiche dall’estero, per essersi avvalsa del “poker oriundo”, facendo vestire spesso la casacca azzurra a calciatori provenienti da altri paesi, ma pur sempre con chiare origini italiane. Una volta il calcio era come una delle navi che facevano su e giù per il mondo, cariche di talenti e di nostalgie, come le migrazioni di massa e i carichi di caffè.
Uno segnato dalle peripezie delle tratte migratorie è stato Miguel Angel Montuori, un indio figuro dall’aspetto vissuto e dalla faccia triste, finito quasi per caso nel calcio dei professionisti, un po’ per opera e virtù dello spirito santo, se pensiamo che a segnalarlo alla Fiorentina fu un sacerdote che aveva bazzicato nel mondo del football, e che con Miguel vide bene più di quanto non avessero fatto i pochi e diffidenti osservatori sudamericani.
Miguel Angel Montuori nasce a Rosario di Santa Fè, nel 1932, da genitori di origini italiane, poi emigrati in Argentina. Da ragazzo, al calcio Miguel ci gioca, ma solo per strada, iscritto a quel liceo eterno della vita che è il classico della periferia. Un giorno, colpisce l’attenzione di un certo De Mari, ex calciatore del Racing Avellaneda e osservatore argentino in giro per le città in cerca di giovani talenti per conto della sua ex squadra. Ma nel club di Buenos Aires per Miguel non c’è spazio. Allora il Racing lo spedisce in Cile, nella Univesidad Catolica di Santiago, dove Miguel Angel vince il campionato e si mette in mostra per le sue doti tecniche.
Nel 1955, Padre Volpi, sacerdote italiano che viene da vecchi trascorsi calcistici, lo vede giocare e ne rimane colpito. Lo segnala così a Luciano Giachetti, direttore sportivo della Fiorentina, che a sua volta lo fa ingaggiare dal presidente viola Enrico Befani. Nessuno conosce Miguel Angel Montuori. Solo Padre Volpi sostiene che quello è un grande calciatore. A Firenze non sono convinti delle qualità di Miguel, ma devono presto ricredersi. Cinquantamila dollari alla Universidad di Santiago è la cifra versata nelle casse della società cilena, che non si sarebbe aspettata di chiudere l’operazione a un prezzo così alto.
Montuori entra subito nei piani tattici dell’allenatore Fulvio Bernardini, che lo schiera dietro le punte Virgilio e Julinho. 2 ottobre 1955, a Torino la Fiorentina batte 4 a 0 la Juventus, che aveva anch’essa contattato il calciatore, che però aveva rifiutato di andare in bianconero. Montuori segna il primo goal e gioca una grande partita. Grazie alle sue giocate sopraffine e a una grande squadra, i viola dominano il campionato. È scudetto, e Miguel Angel Montuori diventa l’idolo di Firenze, che lo chiama “Michelangelo”, in onore del suo palleggio artistico e del suo dribbling geniale. Dopo altri quattro campionati conclusi al secondo posto e una lunga serie di goal segnati con la maglia gigliata, Montuori subisce un infortunio.
Nel 1961, per sondare lo stato fisico e la fase di ripresa del calciatore, l’allenatore della Fiorentina, Nandor Hidegkuti, grande fuoriclasse della nazionale ungherese anni ’50, decide di schierarlo in una partita tra la squadra riserve e il Perugia. A causa di un maldestro rinvio di un difensore, Miguel viene colpito tra l’orecchio e la tempia da una violenta pallonata. Conseguenze, il giorno dopo Montuori ci vede doppio. È necessario un intervento chirurgico per guarire la diplopia scaturita dal colpo. L’intervento sembra avere successo, ma il giorno successivo metà del corpo di Miguel è paralizzato e occorre un’altra operazione per evitargli la morte.
A 28 anni la carriera del fuoriclasse argentino è finita. Quel che è peggio, Miguel subisce gravi conseguenze a livello cerebrale. Perde la dimestichezza anche dei ragionamenti più banali, e per dignità e notevole senso della discrezione che lo avevano sempre contraddistinto, decide di ritirarsi in casa senza quasi mai ricevere visite. Inizia una terapia e si iscrive a un corso di scacchi. Nel 1962 sembra guarito, e inizia a collaborare con una rivista fiorentina.
Nel 1963 Miguel scopre che le sue continue emicranie sono un aneurisma covato già da tempo. Un nuovo intervento chirurgico, a sue spese, gli procura nuovi disagi. Decide di provare a fare l’allenatore, ma si accorge di non sentirsi tagliato per quel tipo di professione. A causa di ulteriori problemi di salute e di precarie condizioni economiche, nel 1971 Miguel vende la sua casa di Firenze e ritorna con la moglie in Cile, dove allena le giovanili della Universidad Catolica. Due dei suoi quattro figli si trasferiscono in Italia, dove studiano e avviano definitivamente la loro vita familiare e professionale. Miguel ha il desiderio di tornare in Italia e rivedere Firenze, ma non ha le possibilità finanziarie per affrontare un viaggio molto costoso.
Nel 1988, a sua insaputa, i vecchi compagni di squadra dello scudetto gli organizzano una sorpresa. Invitano lui e la moglie a Firenze, per una festa in onore dei più grandi numeri dieci di sempre della Fiorentina. Il 29 maggio di quell’anno, Miguel rivede i suoi figli e i nipoti che non aveva conosciuto. Ma riceve pure un inaspettato regalo. I suoi amici di un tempo gli hanno comprato una casa completamente arredata e il comune di Firenze decide di dargli lavoro come bibliotecario, mentre il presidente Elio Boschi gli affida l’incarico di osservatore.
Dopo dieci anni, Miguel Angel Montuori si spegne a causa di un male incurabile. A Firenze da molti tifosi viola è considerato il più grande numero dieci della storia gigliata. Miguel amava la vita semplice, ma più volte la malasorte andò a bussare alle porte della sua serenità. Ma ogni volta, Miguel seppe aprire, farla entrare e aspettare di vederla andar via. Fu il suo bagaglio di sempre, e questa è la storia di Miguel Angel.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka