di Antonio Cristiano
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Ci sono attaccanti e attaccanti: quelli che fanno gol, quelli che li fanno fare, quelli di tecnica, quelli di potenza, quelli casa e campo e quelli genio e sregolatezza, quelli con lustrini e paillettes e quelli sporchi di polvere. È sempre stato sporco di polvere, Pasquale Luiso. Ha fatto gol, non disdegnava la tecnica, ma è stato tenuto lontano dal grande calcio, si diceva, per la sua testa abbastanza gloriosa da essere ritenuta un possibile problema per le grandi squadre, che pure – a onor del vero – lo hanno seguito. Ha giocato con 18 squadre in 22 anni di carriera, ha segnato gol importanti, si è tolto soddisfazioni, ha fatto esonerare Oscar Tabarez e spaventato Stamford Bridge. Senza sfondare nel grande calcio ma sfondando il cuore di molti grandi appassionati di quel calcio, così lontano così vicino.
Cresce nell’Afragolese, presto passa al Sora: mister Di Pucchio vede questo ventunenne che si presenta come ala e gli dice che no, lui non deve correre: lui deve fare gol, lui deve giocare da centravanti. Luiso esegue, e segna, e tanto: porta i laziali dai Dilettanti alla C2, diventa proverbiale per il suo colpo di testa violento e preciso, dice “se mi crossano una lavatrice, io la colpisco di testa”: viene battezzato e presentato all’eternità come “il Toro di Sora”. Passa al Lecce in Serie A, dura pochi mesi e poi torna in Ciociaria: nel campionato 1993/1994 segna 22 gol e porta il Sora in C1. Va al Torino credendo di essere veramente pronto per la massima serie, ma in Piemonte la pensano diversamente: gioca poco, poi va a Pescara in Serie B e segna 7 volte. Un fugace passaggio a Verona, sponda Chievo, e poi Avellino: la squadra retrocede ma lui fa 19 gol. È il 1996, si trasferisce al Piacenza, in Serie A. Ha quasi 27 anni, è pronto per la Storia.
1 dicembre 1996: al Garilli si gioca Piacenza-Milan. Sulla panchina milanista c’è Tabarez, in attacco la coppia Weah-Simone, in difesa ancora Baresi e Costacurta, Seba Rossi in porta, Eranio e Albertini in mezzo al campo, gioca pure un giovane Tomas Locatelli; nella squadra di mister Mutti c’è Taibi fra i pali, poi Valoti, Tramezzani, Pari, Mirko Conte ed Eusebio Di Francesco. Il primo tempo finisce, a sorpresa, sul 2-0 per i padroni di casa; nella ripresa escono Albertini e Locatelli ed entrano Savicevic e Dugarry. Il francese segna due dei pochi gol fatti in maglia rossonera e in tre minuti porta tutto in parità. Poi arriva il minuto 69: Luiso prende le distanze da Costacurta, addomestica un pallone in area, lo fa rimbalzare e colpisce in rovesciata: l’arcobaleno finisce in fondo alla porta, con Rossi in ginocchio. Gloria, capolavoro. Finisce 3-2, Tabarez viene esonerato e Sacchi torna sulla panchina milanista.
Un anno che finisce con 14 gol, di cui due nello spareggio decisivo per rimanere in Serie A vinto contro il Cagliari. 14 volte la Macarena, diventata esultanza marchio di fabbrica della squadra. Poi si cambia casacca: Luiso si trasferisce al Vicenza di Guidolin, con Murgita che fa il percorso inverso. È il Vicenza che ha vinto la Coppa Italia e che gioca la Coppa delle Coppe. E se in campionato Luiso non segna tantissimo, in Europa è fondamentale: segna otto volte, come le reti in Serie A. Gioca in coppia con Lamberto Zauli, nella squadra in cui militano i futuri mister Di Carlo e Viviani. La squadra che stupisce tutti, perché in Coppa delle Coppe vola e sogna.
16 aprile 1998: a Stamford Bridge si gioca Chelsea-Vicenza, semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe. All’andata, al Menti (lo stadio dell’indimenticabile palo davanti alla telecamera), è finita 1-0 con gol di Zauli. Luiso vuole sognare forte, e dopo mezzora fa 0-1 e zittisce lo stadio inglese con un gran gol. Ma il Chelsea degli italiani Di Matteo, Zola e Vialli non si arrende e vince 3-1, guadagnandosi la finale. Il Vicenza, bellissima Cenerentola, sente suonare la mezzanotte dal Big Ben e ritorna in Italia sulla zucca ma, ci mancherebbe, fra gli applausi.
Cenerentola è anche Luiso, che quella notte vive forse il momento più alto della carriera. Dopo sei mesi, con il Vicenza promesso retrocesso, si trasferisce al Pescara, senza incidere. Poi il ritorno a Vicenza, una promozione conquistata e una Serie A da rincalzo. Arriva la Samp, ancora in B: 10 gol in sei mesi, poi un anno di poche cose, come saranno i successivi con Salernitana, Ancona e Catanzaro. Il pellegrinaggio si conclude, ancora, con la polvere dei campi di periferia: una polvere piena d’amore, perché Luiso chiude la carriera a Sora, in promozione, con 12 gol in 15 partite. Lascia il calcio come ha vissuto gli anni migliori: da toro, senza un matador che lo riesca a fermare.